ho
condotto questa ricerca d'archivio sulla chiesa di S. Gottardo in corte, coadiuvato nella ricerca bibliografica e delle immagini da mia moglie lelia Romano,
all’inizio degli anni 80 del Novecento tempo in cui mons. Ernesto Pisoni ne era il Rettore .
Floriano
Pirola
SAN
GOTTARDO IN CORTE
UNA PICCOLA CHIESA NELLA STORIA DI
MILANO
… San Gottardo - una chiesuola che, per
esser quasi tutta rinchiusa fra i corpi di fabbrica del palazzo reale di Milano
pochi, anche fra i milanesi, avrebbero forse notato, se al di sopra di essa non
s’innalzasse il campanile di Azzone, purissimo gioiello d’arte medievale1.
Questa
piccola chiesa sorse in Porta Orientale, accanto all’Arcivescovado e all’antica
basilica di Santa Maria Maggiore, inserita nel complesso del Broletto vecchio, che,
con Azzone Visconti, divenne il Palazzo signorile.
Intorno
a questa chiesa si é consumato l’ultimo atto del Comune, è iniziata la Signoria
ed é continuata la Storia di Milano.
Il Broletto vecchio
Nel
secolo XII, dopo che gli arcivescovi di Milano cedettero ai consoli della città
i poteri civili, l’assemblea si radunò in brolio, spazio attiguo alla sede episcopale, conosciuto come Brolio dell’arcivescovo, o Brolo
grande. Brolium, sia che il termine abbia una derivazione celtica o greca come
è stato scritto, nel latino medievale serviva ad indicare un’ area verde recintata. Ma il nostro Brolo
comprendeva edifici, giardini ed altri spazi: dall’ Arcivescovado, a Santo
Stefano, a San Nazaro e alle mura romane. Fu, dunque, nella prima parte di
questo secolo che venne edificato
l’edificio consolare, detto nella forma diminutiva Broletto. Galeazzo II Visconti, verso la metà del 1300, apporterà al
Broletto non pochi rifacimenti arrivati fino a noi. Il Broletto vecchio fu l’antica residenza del Comune presso il
palatium ed il Broletto dell’arcivescovo
e la Chiesa metropolitana. E con tale denominazione passò attraverso la
crisi delle istituzioni comunali e l’affermazione della signoria: il
rovesciamento del governo comunale giudicato instabile,
causa di disordine e di conseguenza non più idoneo a sviluppare l’egemonia
milanese che si era rafforzata dopo la pace di Costanza fino alla discesa di Federico II in
Italia. Il terziario Bonvesin de la
Riva, poeta lombardo del Duecento, celebrò quell’egemonia nel 1288, sul finire
del periodo comunale. Nella sua minuziosa descrizione delle Grandezze di Milano, nella sua
topografia, demografia ed edilizia, si legge: ... Perambulentur universe mundi civitates, vix aliquis tanti tamque mirabilis pulcritudinis opus
inveniret…Habent singule binas turres…mura nelle quali, si aprono sei porte
e sei pusterle E, al principiare della
Signoria, nel suo zibaldone, Chronicon extravagans, Galvano Fiamma:… Perambulentur universe mundi civitates, nec poterit inveniri tanti
tamque mirabilis pulcritudinis opus, loda il tempo passato della grande
Milano, deplorandone il lusso e le mode importate da fuori. 2
Dal Comune alla
Signoria
Per
un certo periodo il Comune fu ben
accetto ai milanesi. Ma le continue guerre contro le città lombarde alle quali
essi diedero il proprio contributo, le aspre lotte tra le diverse categorie di
cittadini e dei partiti che pesarono ulteriormente sulla città, ne logorarono
lo spirito di sopportazione. E mentre il Comune naufragava tra le critiche di
inadeguatezza ai tempi, di causa di mali
più che di vantaggi i milanesi speravano
nel nuovo: una situazione nuova che alcune famiglie emergenti in città
interpretaranno. In un antagonismo che
sfocerà in conflitto armato tra le famiglie Della Torre e Visconti e i loro
rispettivi seguaci. Alimentato dalle condizioni
economiche, sociali e politiche sorte a Milano nel periodo comunale.
Situazione che porrà termine al Comune
dando principio alla Signoria, sistema nuovo di potere, che si imporrà con la
forza e con la forza si manterrà,
approfittando dei contrasti interni e dell’assenza del potere
imperiale.
L’ascesa
al potere dei nuovi Signori passava attraverso l’istituto del podestariato o
l’ufficio del capitano del popolo. Chi vi perveniva era già
signore della città, anche se esercitava il potere quale anziano
del popolo come Martino, nipote di
Pagano. Sarà con Filippo Della Torre, nominato podestà perpetuo che si entra nella Signoria, che Napoleone o Napo,
nominato anziano a vita,
consoliderà. Nel 1287, dieci anni dopo
la sconfitta di Napo Della Torre a Desio, Matteo Visconti verrà fatto eleggere dallo zio, l’arcivescovo
Ottone, capitano del popolo. E
nominato Vicario imperiale nel 1294.
I
Della Torre governarono sostenuti da una fazione guelfa e dalla borghesia
composta da grandi e piccoli mercanti .
I Visconti, sostenuti da una fazione ghibellina e dalla nobiltà
cittadina e rurale. I due nomi guelfo e ghibellino designavano di solito il
partito favorevole al papato e quello favorevole all’ impero. Ma dietro queste
voci si celavano realtà diverse, lotte di predominio tra famiglie a cui poteva
seguire l’avallo di imperatori o pontefici.
Dal
Signore la Città attendeva un governo capace di portare alla pacificazione
interna, all’ ordine ed alla sicurezza ed a garantire i traffici di fronte
all’avanzare della società capitalistica già ricca dell’esperienza comunale. Questa forma di governo, che dagli ultimi
decenni del Duecento ai primi del Trecento introdusse la Signoria, venne
definita da giuristi del tempo “di un
tiranno”, vale a dire un governo
tecnicamente di fatto, senza titolo giuridico.
Difatti, una volta raggiunto il potere, il Signore ne cercava la legittimazione, il riconoscimento di un
imperatore o di un pontefice il più delle volte pagando grosse somme di denaro 3.
E assoldando professionisti della guerra, che diedero vita alle
Compagnie di ventura.
Per
il raggiungimento della nuova condizione economica e politica si erano battuti,
dunque, i Della Torre incalzati dai Visconti, che la battaglia di Desio nel
1277, vinta dall’arcivescovo Ottone Visconti, fece prevalere.
Il
Trecento inizia bene per i Visconti. Anche se, nel settembre 1302, li vedrà di
nuovo banditi da Milano con i loro partigiani. Il potere dei Visconti sarà così
interrotto dal ritorno dei Della Torre fino al 1310. In questo anno Enrico VII di Lussemburgo tentò, a Milano, di unire con
giuramento di pace la famiglia dei Visconti a quella dei Della Torre. Fallito
il tentativo, entrambe le famiglie vennero
bandite. Ma i Della Torre perdettero definitivamente la signoria, e le
loro case vennero distrutte: l’ attuale via Case rotte ricorda
quell’evento. Mentre l’anno seguente lo
stesso imperatore, incoronato re d’Italia in Milano, richiamò Matteo conferendogli la dignità di Vicario
imperiale della Città e del suo contado,
dietro l’ esborso di 50.000 fiorini d’oro.
E
sarà lui il Signore di Milano, eletto dominus et rector generalis dal
Consiglio generale della Città, che confermerà lo stato visconteo. 4
Lui, che comprava gli uomini più che affrontarli con le armi.
Ombre
e luci del periodo visconteo si
alternano nella cronaca di Pietro Azario
5,
pur fra errori storici ed equivoci, espressioni e giudizi su avvenimenti, costumi e personaggi. Dei Visconti egli scrisse pure: “multa dicebantur, quae non faciebat; multa
faciebat, quae non dicebantur”. La verità su come e che cosa realmente avvenne nella Corte viscontea é morta, però, insieme ai personaggi
che si alternarono al potere.
E’
questa una delle ragioni per cui nella storia le cose sono state chiamate
raramente con il loro nome: la sostanza
è una cosa; l’appellativo è un’altra. Senza dimenticare che la parola del
vincitore diventava, e diventa, così verità. Naturalmente chi aveva vinto era in
grado di imporre la sua teoria, la sua volontà. Il vinto aveva torto perché era
stato vinto. E scoprire la verità vera non era facile.
Azzone
Visconti
Azzo
o Azzone nacque a Ferrara nel dicembre
1302 da Galeazzo Visconti, primogenito di Matteo I e da Beatrice di Obizzo
d’Este, vedova di Nino Visconti di Gallura, esuli. Il nome Azzo si tramandava
nella casata estense: Azzo VII era stato podestà di Ferrara nel 1240 e, in quel
momento della Città era Signore Azzo VIII, fratello di Beatrice. Il matrimonio del ventitreenne Galeazzo con Beatrice di nove anni maggiore di lui, venne
sontuosamente celebrato nel 1300 in Broletto. Questo matrimonio contribuì a
consolidare lo stato sociale della famiglia Visconti.
Azzone
visse la prima parte della sua esistenza agli ordini del padre Galeazzo e del
nonno Matteo, che papa Giovanni XXII, in momenti diversi, colpì con la scomunica insieme all’intera famiglia, a
Milano ed alle città ad essa soggette.
A Matteo,
come ai suoi successori, il pontefice non perdonò la politica e soprattutto le
confische e il saccheggio dei beni ecclesiastici utilizzati per il rafforzamento
della Casata e del suo potere politico.
Matteo
muore nel 1322 e Galeazzo, Signore di Piacenza dal 1311, é acclamato suo successore
nella Signoria di Milano. Mentre
Piacenza gli si rivolta contro, costringendolo alla fuga assieme al figlio. Tre
anni più tardi, Azzone occupa per il padre Borgo San Donnino, ottenendo poco
dopo la Signoria di Cremona.
L’imperatore
Ludovico il Bavaro, sceso in Italia nel 1327, entra in Milano e in
Sant’Ambrogio cinge la corona ferrea. Fa
incarcerare Galeazzo e Azzone nelle prigioni del castello di Monza, che lo
stesso Galeazzo aveva fatto costruire, dove rimangono fino agli inizi del 1328.
Liberati,
Galeazzo Visconti muore a Lucca e Azzone gli succede nella Signoria.
La
moglie di Galeazzo verrà sepolta nella chiesa di San Gottardo nel 1334.
A
ventisette anni Azzone diviene Vicario imperiale, versando all’ imperatore 60.000
fiorini d’oro, e assume il governo di Milano.
Preso
possesso della città, egli entra subito in trattative con il pontefice tramite
i cugini d’Este e ottiene la sospensione dell’interdetto. Inimicandosi l’imperatore
che per un mese pone l’assedio a Milano. Il Bavaro si allontanerà dalla città
solo alla consegna da parte del Visconti di altro denaro.
Dopo
questo assedio egli provvide al rafforzamento delle fortificazioni, sostituendo gli
argini di terra, il terraggio, con solide mura, rafforzando e in
parte rifacendo le porte… delle quali
il Barbarossa l’aveva privata nel 1162.
Porta Romana, o porta potestatis
secondo il Fiamma perché vicina alla sede del podestà nel Broletto vecchio,
rimase incompiuta nei suoi due archi. Azzone fece chiudere quello a
settentrione ed erigere sopra l’altro una torre chiusa da ogni lato,
conosciuta con il nome di
Comuna, e verso la città lo
munisce d’un recinto merlato a guisa di rivellino e ne difende l’accesso con
triplice saracinesca 6.
Azzone demolisce l’ultimo residuo nominale del Comune, facendosi
conferire ufficialmente la Signoria con il titolo di dominus generalis. Egli proseguirà
nel tentativo di avvicinamento alla Santa Sede con l’invio di ambasciatori al pontefice in Avignone senza ottenere la
definitiva assoluzione da Giovanni XXII, che
continuerà a diffidare della
politica viscontea.
Nel
1330 Azzone è acclamato Signore di Milano. In questo stesso anno sposa Caterina
di Savoia Vaud.
Definito
dagli storici uomo di indole mite, prudente, nella sua esistenza non proprio
tranquilla, il Visconti si circondò di artisti.
Giovanni De Castro scrisse della famiglia Visconti: é vero che i
Visconti chiamarono a sé artisti e poeti; ma lo fecero, per lo più, a pompa di protezione
e perché ce n’era l’uso…Fu una signoria tutta militare, e se togli Azzone e
l’arcivescovo Giovanni
7 […].
Actius Vicecomes, secondo il Vasari, avrebbe
chiamato a Milano nel 1335 Giotto, e Giovanni di Balduccio, pisano, considerato
l’artefice del suo monumento funebre. Alla sua corte chiamò pure uomini colti e
ministri, come noi li definiamo, capaci.
Uno di questi fu Francescolo Pusterla, la cui vita, nelle lotte senza
esclusioni di colpi in quei tempi non temperati da profonde idee morali né da
convinzioni religiose e in cui l’arbitrio del Signore era legge, venne
sacrificata insieme a quella della moglie Margherita Visconti, cugina germana di Luchino e di Giovanni, sull’altare della ragion
di stato tra il 1340 e il 1341e che Cesare Cantù immortalò.
Si
susseguono guerre e tregue. Il Signore
di Milano aderisce alla Lega di Castelbaldo. Partecipa alla vittoria di Ferrara;
occupa Bergamo,Treviglio, Vercelli e Cremona.
Alle quali seguono Como e Lecco. A Lecco, che suo nonno Matteo,
sconfitti la prima volta i Della Torre, aveva distrutto nel 1296, Azzone tra il
1335 e il 1338, vi fa costruire un ponte a otto arcate che, con la via che ad esso conduce, porta
ancora il suo nome.
Occuperà,
quindi, Lodi, Crema, Caravaggio, Romano, Borgo S. Donnino, Piacenza e alla fine
della sua vita anche Brescia.
La
Signoria viscontea venne estesa dai
confini di Verona, dove gli Scaligeri erano alleati dei Visconti, a quelli del
Monferrato, dove i Monferrini erano alleati dei Della Torre. E i Comuni, uno dopo l’altro, cessarono di
esistere.
Il governo di Azzone: 1329-1339
Nel
secolo XII, in particolare dopo la pace di Costanza del 1183, a Milano si
scavano canali e una serie di rogge delle quali beneficiò anche l’irrigazione
dei campi e il funzionamento dei mulini. Dagli inizi del XIII secolo è nota,
infatti, l’esistenza del Naviglio Grande, che nel 1211 arriva alle porte della
città presso il ponte di S. Eustorgio, non distante da Porta Ticinese 8 .
Azzone,
a sua volta, fa scavare canali di scolo delle strade cittadine, cloache, che,
dopo quelle romane, lasciarono un segno di un certo rilievo. Il Fiamma accenna
a cloacae subterraneae che
attraversavano la città, nelle quali scolavano le acque putride, impedendone il
deposito lungo le vie. Un condotto fognario all’aperto esisteva già. Era il
grande fossato, che circondava le mura fatte costruire da Massimiano al tempo
in cui Milano fu capitale dell’Impero Romano d’Occidente, alimentato dal Nirone
e dal Seveso e che Bonvesin de la Riva descrive con tanta ammirazione nel suo Magnalibus 9
. Il Nirone o Vepra entrava in città
da Porta Vercellina e il Seveso da Porta Orientale, passando per Porta Romana,
terminava in Porta Ticinese.
In
un disegno del 25 giugno 1740 compare, come precisa Dionigi Maria Ferrario, ingegnere Collegiato
delle Strade di Milano: il canale
sotterraneo, ossia
Cantarana, che inizia al principio della
contrada de’ Restelli dalla parte verso tramontana continuando per longo tratto
la medesima contrada risvolta sotto il R. ducal Palazzo, dindi dopo diversi
giri, attraversando la piazzetta della contrada detta delle Ore va a sboccare
nella Roggia d’aqua longa o sii Seveso di questa Città 10 . Quella via
delle Ore che prese il nome dall’orologio fatto installare sul campanile della
chiesa di San Gottardo nel 1335 da Azzone e ben descritto dal Fiamma. Fu il primo orologio, in Milano, a suonare le
ore oltre che a segnarle.
E
quando il 23 ottobre 1455 viene collocato un orologio nel muro del
Palazzo della
Ragione verso la piazza dei mercanti…L’orologio horarum curie arenghi che doveva
servire di norma per il tempo del nuovo orologio del Broletto, era quello della
Torre di San Gottardo 11 .
Continuando
l’opera del Comune, che una guerra dopo l’altra aveva interrotto, Azzone fece
anche pavimentare le strade più importanti.
Durante
il suo governo inizia l’opera statutaria di Milano. Una nuova fonte di diritto:
i decreti dei signori di Milano. Vengono compilati statuti, divisi in otto
libri: giurisdizione del Comune; uffici comunali, ordinamento criminale e
ordinamento civile, provvedimenti straordinari; dazi; mercanti maggiori e
mercanti di lana.
I
Visconti passano così da capi transitori a sovrani. Sovranità che verrà poi
riconosciuta ereditaria.
Azzone,
nel 1333, tentò pure di dare ai mercati più antichi di Milano una diversa collocazione:
a quello di frutta e verdura che aveva il suo spazio al Verzario, l’attuale
piazza Fontana; a quello delle carni, che si trovava nell’area in cui sorgerà
la Rinascente ed a quello del pesce e
dei polli, che era verso via Mercanti.
Nel 1336 Azzone fece compiere il lato verso via Orefici con
un edificio a portici 12
Galvano Fiamma in De rebus gestis Azonis Vicecomitis scriveva: in broleto novo, iuxta lobiam marmorea,
(la loggia degli Osii) lobiam sub diversis arcubus complevit, ubi subtus sunt plura campsorum habitacula.
Questi portici si aprivano sotto l’edificio, poi sede delle Scuole Palatine ed
a metà del Seicento Palazzo dei Giureconsulti,
e sotto l’altra costruzione ad angolo con le
Scuole Palatine fino al Palazzo della Ragione. In questo stesso anno il
Visconti ordinò che, dopo rifatta l’antica basilica di S. Maria Maggiore, nel
giorno 8 settembre, in cui si celebra la Natività di Maria Santissima, tutte le
rappresentanze delle Città a lui suddite, venissero processionalmente e facessero
oblazione nella Metropolitana di ricchi drappi 13 .
Al
Signore di Milano si deve altresì l’introduzione, nel 1335, della processione
del Corpus Domini.
E nel
1339 Azzone muore e il popolo di Milano piange la sua morte e segue numeroso il
suo funerale. La moglie, Caterina di Savoia Vaud, gli sopravviverà fino al
1388.
La chiesa
Alcuni
studiosi non escludono che Azzone abbia fatto restaurare una chiesa che era
stata riedificata nel secolo precedente sull’antico battistero di S. Giovanni alle
Fonti. Chiesa che per qualche tempo sarebbe stata detta Chiesa del Fonte.
Il Construi mandavit… e l’ Ecclesia
Fontis che compaiono, come vedremo più avanti, rispettivamente nella terza
ed ultima riga dell’iscrizione dedicatoria del 1336, potrebbero sostenere tale ipotesi.
Anche
se il Fiamma la menziona come Cappella della Beata Vergine e di San Gottardo. Il
Signore di Milano aveva dedicato, infatti, la chiesa della sua corte alla
Vergine ed a alcuni Santi, fra i quali San
Gottardo, protettore di chi come lui soffriva di gotta.
In
mancanza di fonti documentarie rimane l’iscrizione dedicatoria alla quale ho
accennato. E la scritta rozzamente incisa Magister
Franciscus de Pegorariis fecit hoc
opus nella base all’interno della
torre campanaria, capolavoro dell’architettura delle terrecotte, ad attribuirne
la fabbrica al Maestro cremonese. Non
esistono descrizioni del tempio e del campanile dopo la loro costruzione se si
esclude quella del Fiamma. Secondo il quale la chiesa di San Gottardo stava fra
alte mura ed era ricoperta da tre volte. In essa, egli scriveva con enfasi, si
potevano ammirare pitture d’oro e d’azzurro, meravigliosamente eseguite. La
cappella principale conteneva l’altare maggiore con tendaggi intarsiati di
gemme e di metalli preziosi. Sulle sue pareti erano rappresentati momenti della
vita della Vergine. Le finestre erano
bellissime; le pareti del coro erano coperte d’avorio di pregiato lavoro. Vi si
ammiravano due grandi pulpiti pure d’avorio. La chiesa contava altri altari con
ornamenti d’oro e di seta. E altre parti che il Fiamma sosteneva di non sapere
ben raccontare…. Nella sagrestia vi
erano calici massicci e vasi di porfido con ornamenti in argento per portare
l’acqua santa; molte le reliquie di Santi. Gli ornamenti che vi si conservavano
avrebbero avuto un valore, a dir del Fiamma, di oltre ventimila fiorini
d’oro….E quelle colonnine alla sommità del campanile che producevano un grande
diletto in chi le guardava? Sul campanile stava l’orologio, e il Fiamma ne
descriveva il meccanismo.
Il
Signore di Milano affidò questa chiesa ai frati di San Francesco. Come conferma una
supplica dei frati di San Francesco dell’Ordine dei Minori in data 10
febbraio 1403. Supplica rivolta al secondo
duca di Milano, Gio. Maria, figlio di Gian Galeazzo Visconti morto tra l’agosto
e il settembre1402, per ottenere la
riconferma
dei privilegi da essi goduti. Ciò avveniva sempre alla morte del principe. Con
essa i supplicanti ricordavano al suo successore che il fu Azzone Visconti, per divozione e certe qual cause, fece
costruire una chiesa sotto il titolo della Vergine, quale chiesa ora, 1403,
volgarmente detta di San Gottardo situata e chiusa fra i muri dell’abitazione
ducale in Milano. Che lo stesso Azone stabilì dimorasse ivi giorno e notte un
certo numero di frati del detto Ordine per attendere ai divini uffici, i quali
venissero alimentati e provveduti del necessario coi beni di esso Principe. Che
in quella chiesa ripose la salma della quondam marchesa genitrice del quondam
Azone. Che nella chiesa di San Francesco riposano il capo di San Barnaba
apostolo, primo pontefice di Milano e i corpi dei martiri Nabore e Felice, Filippo
Martino e Gay e molti altri, con reliquie di santi. E chiedevano che: in luogo dei sussidi ed
emolumenti loro assegnati si faccia alla loro chiesa di San Francesco nel giorno della Concezione
di Maria Vergine (8 dicembre) un’oblazione del Comune di Milano, dei Collegi o
Paratici delle Arti ecc.
14 .
Nella
chiesa di San Gottardo predicava un padre cappuccino nella prima domenica di
ciascun mese e in tutte le domeniche della quaresima.
La chiesa dopo la morte di Azzone
La
mattina del 16 maggio 1412 il duca Gio. Maria Visconti cadde, davanti alla
chiesa, sotto i pugnali di congiurati appartenenti alla nobiltà che ruotava
attorno alla sua corte. Dopo la sua
morte il tempio venne trascurato fino all’arrivo dei governatori spagnoli che elessero il palazzo a
loro sede.
La
famiglia Visconti si era trasferita nel Castello di porta Giovia.
Filippo
Maria aveva donato i preziosi paramenti e arredi della chiesa di San Gottardo
alla Chiesa Maggiore di Milano. E il 14
maggio 1434 egli aveva fondato e dotato, per
instrumentum receptum à Matheo
Marliano Mediolani notario, una cappellania nella chiesa di Santa Maria
nella Collegiata di Abbiategrasso, cappellania trasportata nel 1773 nella chiesa ducale di S. Gottardo. In questa,
ora regia arciducale cappella di
giuspatronato di S.A.R il Serenissimo Duca
governatore (il duca Francesco III di Modena) venne trasferita nel 1795 anche la cappellania
ecclesiastica sotto il titolo della Beata Vergine dell’Albero già nella Chiesa
Metropolitana 15 .
Non
si chiude il secolo che da una lettera di Ludovico Maria Sforza del 25 gennaio
1498, conservata nell’Archivio Capitolare e trascritta da Marco Magistretti, …consta
pure che gli Ordinari del Duomo, al tempo della repubblica ambrosiana, vennero
in possesso di un altro tesoro, meno cospicuo, ma pregevole, quello della
cappella di S. Gottardo, del quale ci resta l’inventario, che, sarebbe stato compilato l’11 agosto 1440,
sette anni prima che i capitani e
difensori della libertà di Milano ne trasferissero il possesso…Che la
legittimità di questo possesso venisse contestata al ritorno di Milano sotto il
domino ducale, appare chiaro dalla lettera ducale citata; ogni contestazione
però cessava con questo atto , il quale confermava il trapasso alla chiesa
metropolitana e per essa agli ordinari, con l’obbligo a questi di portarsi ogni
anno alla cappella ducale, nel giorno 4 maggio sacro al suo titolare S.
Gottardo, per celebrarvi la messa solenne; condizione accettata dagli ordinari, e religiosamente conservata
anche al presente 16 . Del tesoro di San Gottardo trasferito in Duomo
è stato identificato soltanto il calice gotico francese della prima metà del
XIV secolo con coppa d’avorio istoriata.
I
duchi di Milano, succeduti ad Azzone, Signore di Milano, se trascurarono la
chiesa di San Gottardo, non la dimenticarono.
Il
3 giugno del 1524, in una Milano colpita nuovamente dalla peste, il principe Francesco
II Sforza, duca di Milano, instituì, davanti a. mons. Giovanni Maria Tonso,
arcidiacono della Chiesa milanese e vicario generale del card. Ippolito II
d’Este, quattro cappellanie, una delle quali all’altare maggiore della chiesa
di San Gottardo situata all’interno della Corte, con un assegno annuo di 200
lire sopra le trecento pertiche di terra del Giardino del Castello.
Riservandone per sé e per i suoi eredi e successori il giuspatronato. E al
cappellano pro tempore ingiunse l’obbligo di celebrare tutti i giorni e
personalmente nella rispettiva chiesa. [… ] è obbligato questo cappellano a celebrare
tutti li giorni festivi et il resto
dell’anno era obbligato anticamente conforme la fondazione dire la messa
al Senato, li giorni che risiede, et il restante nella chiesa suddetta che per
la tenuità di reddito non si celebra sol che al Senato 17
[ …].
Iscrizione
dedicatoria
Agli
inizi del Settecento Carlo Torre scriveva:
…Cotesta Chiesa
ducale dianzi d’essere stata à S. Gottardo offerta, chiamavasi San Giovanni
alle Fonti, ma in altra architettura, e forse non di tal’ampiezza; era pubblico
Sacro Luogo per battezzare i figli
maschi, che per le femmine innalzavasi un’altra Chiesa in vicinanza di Santa
Radegonda detta S. Steffano alle Fonti, ed erano amendue Parrocchie. Seguitemi
dentro di quella stanza, in cui suole abitare un Sacerdote Prete al governo di
questo Ecclesiastico sito; non per altro si ne v’hò io quivi condotti, se non
per farvi leggere quella marmorea inscrizione, innestata nell’accennata Torre,
da cui trarrete notizia qual sia cotesto Ducal Tempio, e chi lo fece
fabbricare.
Alma Virgo Poli
devotum suscipe Templum,
Quod Vicecomes Azo
Proles generosa Parentum
Construi mandavit nato
de semine David,
Ut ubi recta via fiant
libamina pia
Princeps Angelorum
vocantem respice Chorum
Vos ambo Ioannes
Precursor, et Zebedeus
Hunc protegatis, ne
sit pro crimine reus,
Inclite Georgi Azonem
retine cordi
Eustachi Christi Miles
subveniens isti,
Ut custos veri valeat
sua iura tueri.
Annis millenis
trecentisterque denis,
Sex secum adiunctis
finitur Ecclesia Fontis 18.
Su
questa tavola di marmo, posta sulla faccia della torre rivolta a mezzogiorno, si legge in caratteri gotici l’iscrizione
dedicatoria del 1336.
Alla
base della Torre stava un grande affresco raffigurante la Crocifissione ricoperto
di strati d’intonaco. Scoperto nel corso dei lavori negli anni Venti del
Novecento, ciò che ne rimase fu trasferito, restaurato nel tempo ma mutilato
della parte superiore, sulla parete in fondo alla chiesa.
Paramenti e ornamenti della chiesa
L’ Inventario
delli paramenti, utensili et attrezzi che servono alla Chiesa di S. Gottardo in
questo Real Palazzo e sua Sacrestia i quali si trovavano presso al defunto
Capellano, Don Antonio Manca, e che al presente sono stati riconosciuti et
consegnati al R. don Ascanio Pannuti, confessore, nuovo Capellano e Sacrista
della med.ma Real Capella di S. Gottardo[…] steso
il 2 luglio 1707 è costituito da un centinaio di voci. Tra queste: Due baldacchini portatili, uno di damasco bianco e
uno d’ormesino nero, ornati con franza di seta, diconsi donati dal conte di
Melgar […] un diadema d’argento che serve a Nostra Signora della Soledad, che
si trova riposto nell’ancona dell’altar maggiore e detta Vergine resta riposta
in una nicchia di legno inargentato con sue vetriate di cristalli di Venezia e
dicesi donati dal defunto Capitano don Michele di Prado […] l’ancona dell’altar
maggiore, cioè la superficie consiste nell’immagine di S. Carlo in pittura,
sopra di esso un quadro dipinto il Padre Eterno, e sotto al piede di detta
Ancona altro quadro dipinto il Sepolcro consistente in due angiolini e dicono
esser pitture del Cerano (nel 1613 anche Camillo
Procaccini e Paolo Camillo Duchino
lavorarono in questa chiesa al restauro
di un dipinto del Cerano) 19;
un diadema d’argento fatto a
raggi con pietre sfaccettate che serve a Nostra Signora della Concezione
all’altare entrando in chiesa a mano manca, con una mezzaluna d’argento a piede
della detta Vergine e dicesi donato dalla famiglia del duca d’Ossona [… ] a
detta cappella vi è la sua ferrata o sia cancello lavorato d’ottone; all’ancona
dell’altare maggiore a mano dritta entrando vi è la sua invetriata che copre
l’immagine di S. Gottardo […] cinque quadri che debbono sempre stare esposti
per ornamento alla Cappella della Beata Vergine vicino alla porta:
l’Annuntiatione, la Visitazione di S. Maria Elisabetta, la Natività di Nostro
Signore all’Horto e la Coronatione di spine di Nostro Signore 20 [ …].
Del
1779 è, invece, una tela di Martino Knoller (Steinach1725- Milano1804),
raffigurante il Santo patrono, che occupa la cappella a lui dedicata, a destra entrando
in chiesa. Il Knoller era stato fatto venire a Milano dal conte Carlo di
Firmian e dal 1792 al 1803 fu professore aggregato alla scuola di pittura, a
fianco di Giuliano Traballesi (Firenze 1727 – Milano 1812). Il quale nel 1783, su commissione del
marchese D’Adda, orna l’ancona sopra un altare laterale, lungo la navata a
sinistra, con l’ “Assunzione di Maria Vergine”. Dello stesso pittore é il Sant’
Antonio sulla parete, entrando in chiesa, a sinistra. Il Traballesi era stato chiamato a Milano nel 1775 per
decorare il ricostruito Palazzo Ducale e subito nominato professore della
Scuola di Pittura nella nuova Accademia delle Belle Arti.
Con dispaccio del 30 novembre 1708 S.A.S. il principe
Eugenio di Savoia aveva inviato al
magistrato ordinario una carta della Regina, poi imperatrice ( Elisabetta Cristina di
Brunswich), in data 24 settembre 1708 nella quale in occasione del suo passaggio per Milano
l’11 giugno di quell’anno per recarsi in Spagna ordinava che si provvedesse
affinchè la chiesa di S. Gottardo del Regio ducal Palazzo ‘ venisse assistita con tutta decenza e
puntualità, sì d’ornamenti come di lumi e polizia’ […]. Fu deciso così di far pagare sul fondo delle spese forzose lire
150 ogni anno al Cappellano di detta Chiesa di S. Gottardo facendone a tal
effetto l’opportuno assegno, che doveva incominciare dall’11 dicembre 1708 in
avanti 21 […].
L’architettura della chiesa
I
secoli passano e lasciano il loro segno. Ma la chiesa viene rimaneggiata e
spogliata della sua ricca decorazione nella seconda metà del Settecento.
Il
Vanvitelli e il Piermarini, suo allievo, riformarono radicalmente il Palazzo di
Azzone riducendolo nelle condizioni architettoniche arrivate a noi.
Per
realizzare lo scalone d’onore del Palazzo reale il Piermarini, tra il 1770 e il
1780, sacrificò l’originaria facciata della chiesa di San Gottardo. E il
piccolo tempio, dopo quel rifacimento, dell’età viscontea conservò ben poco: una
navata unica, caratteristica delle cappelle palatine e l’abside, con altare, a
cinque lati.
La
decorazione interna venne curata da Giocondo Albertolli (Bedano –Lugano- 1742-
Milano 1839) chiamato a Milano dal Piermarini nel 1774 per le decorazioni del
Palazzo ducale .
L’architettura
e l’arte di questa chiesa, che fino al Settecento ebbe la porta grande e la porta
del cortiletto […] e sei finestre, sono state studiate da esperti,
tra i quali Angiola Maria Romanini che
sull’architettura scrive: […] occorre in parte far opera di ideale
ricostruzione; se l’interno si presenta infatti completamente snaturato dai
rivestimenti di vari secoli e in particolare settecenteschi anche l’esterno
subì, nel corpo longitudinale, sorte altrettanto grave. La fronte fu distrutta
dal Piermarini nel 1770 e le sole parti conservate – il rosone e il portale –
furono recentemente ricomposte e collocate sul fianco meridionale della chiesa,
mentre il fianco settentrionale è incorporato, come il lato occidentale, nelle
costruzioni del Palazzo reale […] I muri perimetrali, dunque, rimasero intatti sotto
le varie sovrastrutture e, per quanto la muratura ne risulti poco leggibile,
relativamente ben conservato è il fianco meridionale, mentre sopra i tetti
rimangono visibili, e non tocchi da restauri, tre frontoni aggettanti, quelli
della facciata occidentale ed orientale ed uno sorgente fra la prima e la
seconda campata ad ovest. Si trattava di una lunga e stretta aula rettangolare
la cui scansione interna in tre campate – riferita dal Fiamma – è accusata
all’esterno per via di due stretti e piatti contrafforti che interrompono il
cornicione della parete, ad archetti acuti intrecciati, e salgono oltre i tetti
formando un frontone monocuspidale di netto aggetto. Tale frontone è ornato
come quello di facciata – oggi visibile solo dal lato orientale - da una
cornice cuspidale continua ad archetti a sesto acuto intrecciati e sormontati
da un sottile nastro laterizio pieghettato, quale è dato ritrovare in numerosi
altri edifici trecenteschi lombardi […] Tre pinnacoli in cotto sormontano il
frontone di scansione delle campate, mentre la facciata occidentale ne era
ornata solo al vertice. Interessante e
tipicamente trecentesca è la fattura di tali pinnacoletti e in particolare di
quello ottagonale di facciata, in origine probabilmente ricoperto come gli altri
da una piccola cuspide conica a file di denti di sega arrotondati, retta da
archetti acuti trilobi all’interno, che ritorna identica nei pinnacoli di base
e nel coronamento della torre, ed è peraltro comune nel Trecento padano. Uguale
datazione ed uguale ambiente stilistico sono chiaramente accusati dalla
decorazione del pinnacolo di facciata, ove otto colonnine angolari in cotto
poggianti su breve semipilastro sono collegate, alla base e al capitello, da
archetti trilobi a doppia ghiera, mentre i piccoli scomparti così creati recano
ciascuno al centro una rosetta o una stella in cotto su fondo imbiancato[…] La
testata orientale è aperta da un oculo e lisci sguanci obliqui […] Soli
superstiti sono oggi l’oculo e il portale, privo il primo dell’ampia ghiera in
cotto lavorato indicata dall’incisione. Si tratta di un ampio oculo dallo
sguancio a cordonature in cotto ricamato serranti un torciglione, quale si
trova assai diffuso nel Trecento padano […] Il portale a finto protiro è molto
vicino a quello di S. Giovanni in Conca a Milano, malgrado sia qui accentuato
lo slancio verticale per la minor larghezza dell’apertura e per il triangolo
notevolmente più acuto disegnato dal timpano del finto protiro, raggentilito e
sveltito anche dalle due colonnette, dal ricco capitello a foglie uncinate, che
lo stringono ai lati e ne reggono la cornice cuspidale elegantemente modanata.
La stessa raffinatezza di modellatura, che ammorbidisce lo spigolo di ogni
membro e ne ondula le facce, ritorna negli sguanci del portale che anche per
questa via, come nelle sottili profilature del membro a torciglione, nei
trafori dei capitelli a foglie uncinate, nei ricami complessi che fungono da
collarino ad alcune colonnette, si rivela appartenente ad un momento successivo
a quello del portale di S. Giovanni in Conca 22 […].
Il monumento
funebre di Azzone
In
San Gottardo Azzone volle la sua sepoltura. Qui gli venne eretto il monumento
funebre, che i Visitatori inviati da Carlo Borromeo dicono sull’altare
maggiore. Ma una sua descrizione si ha dopo quasi sei secoli con la Relazione
dell’architetto Luigi Perrone per la
Sovrintendenza Belle Arti di Milano nel gennaio 1928 23: Il ritorno, dopo 150 anni, in
S. Gottardo a Palazzo Reale
del monumento funebre ad Azzone Visconti, levato nel
dicembre 1778 nel corso dei restauri al regio ducal palazzo e venduto a un
lapidario.
In occasione dei restauri della chiesa di S. Gottardo in
Palazzo Reale, scrive Luigi Perrone, S. E. il principe Trivulzio ha voluto donare alla chiesa stessa perché
venissero rimessi al loro luogo di
origine i preziosi avanzi, da tempo posseduti dalla sua famiglia, del
celebrato monumento funebre di Azzone
Visconti eretto nella Cappella palatina, scomposto e disperso nella seconda metà del secolo XVIII nei
rimaneggiamenti della cappella stessa.
Secondo il Litta in Famiglie
illustri, voce Visconti, il monumento venne asportato nel 1778 e da un
marmoraro ceduto ad un conte Anguissola presso il quale rimase fino al 1807,
per passare poi in proprietà del
marchese Giorgio Teodoro Trivulzio. A tutt’oggi, malgrado le ricerche, non si è
trovato nell’archivio Trivulzio documento alcuno che confermi o meno quanto il
Litta riferisce.
Il Romussi nella sua opera <Milano nei suoi monumenti>
riproduce il monumento come era stato ricomposto allora sotto un portico di
casa Trivulzio e come vi rimase sino al
1894 nel qual anno in conseguenza di lavori allo stabile venne nuovamente
scomposto e ritirato in apposito locale.
Il conte Giulini nella sua opera “ Memorie di Milano nei
secoli bassi “ edita nel 1772 ne parla riferendosi al Fiamma ed accenna che
l’arca era già scomposta per aperture praticate nella parete a cui era
addossata. Di questo monumento, che si reputa di Balduccio da Pisa e che
gareggiava in sontuosità con quelli degli altri Visconti nella chiesa di S.
Eustorgio, rimane tutta la parte statuaria, ma della parte architettonica solo
le due colonne di sostegno con relative basi e capitelli. Scomparse le mensole
portanti l’arca e le membrature dell’arca stessa e scomparso pure completamente
il baldacchino cuspidale finemente ricco ed imponente dei monumenti di tal
genere. Il disegno riprodotto nell’opera citata del Giulini può darci solo una
idea approssimativa del suo insieme senza rassicurarci sulla sua forma reale
perché disegno di ricomposizione di
maniera come lo si riterrebbe certamente anche se lo stesso Giulini non
confessasse, come ho già accennato, che l’arca al suo tempo era già scomposta.
In ogni modo vi si ravvisano le parti statuarie tuttora esistenti e che sono
precisamente:
I.
La statua giacente di Azzone con due figure
retrostanti una delle quali staccata.
II.
Due
angeli sorreggenti il sudario.
III. Le figurazioni ad alto rilievo delle
dieci città sottoposte alla Signoria di Azzone (Vercelli, Pavia, Bergamo,
Cremona, Como, Lodi, Crema, Piacenza, Brescia e contado di Gallura ) composte
ciascuna di gruppi di due figure una diritta e l’altra inginocchiata, cinque
rivolte a destra, cinque a sinistra verso la figurazione di S. Ambrogio che
campeggia nel centro dietro Azzone e Ludovico il Bavaro, inginocchiati.
IV. Due statue di Santi (S. Giorgio ed
altra Santa indefinibile) che decoravano ai lati il baldacchino cuspidale
scomparso e la statuetta collo stemma Visconteo sul vertice del suddetto
baldacchino.
V.
Grande
stemma Visconteo che doveva incurvarsi fra le mensole sotto il sarcofago.
VI. Due statuette di Santi che dovevano
fiancheggiare una statua di Madonna con Bambino entro un piccolo trittico sopra
il sarcofago e sotto il baldacchino. La statuetta della Madonna colla parte
architettonica del trittico è scomparsa sin dall’epoca della prima dispersione
o questo si può asserire sulla scorta del Litta il quale riporta il disegno di
tutti i frammenti del monumento posseduti dal Trivulzio e che sono quelli
tutt’ora esistenti.
Ripresi seriamente dal sottoscritto gli studi per una
ricomposizione, usufruendo di studi già iniziati e pressochè concretati molti
anni fa dallo stesso, si ritenne ora opportuno praticare scandagli nel luogo
ove il monumento era stato eretto in origine contro la parete a sinistra dell’
attuale altare sotto la cupola della chiesa. Nessuna traccia si trovò nel muro
manomesso o squarciato da ampi vani di armadi per tutta la sua altezza, ma si
rinvennero sotto il piano di pavimento sull’estradosso della volta della cripta,
contro il detto muro, i pilastrini di fondazione in muratura per l’appoggio
delle due colonne. Tale scoperta ha avvalorato, confermandola, con differenze
di pochi centimetri tra le mezzarie delle colonne e dei pilastrini, la
soluzione già concretata ed adottata; soluzione del resto la più ovvia perché
la più semplice e che ha il solo intendimento di mettere in valore le preziose
sculture in un assieme logico ed armonico per il quale pur ricordando
schematicamente il baldacchino cuspidale scomparso colla disposizione delle tre
statue che lo decoravano non vennero introdotti altri elementi fuorchè quelli
indispensabili staticamente privi, però, di qualsiasi carattere stilistico.
La data della ricomposizione ed il bel gesto di illuminato
mecenate del principe Trivulzio sono ricordati da una lapide posta fra le
colonne del monumento colla iscrizione:
Disiectas sepulchri Azzonis
Vicecomitis reliquias
Ubi primum ille requievit prope aedes gentis suae
Aloysius Albericus
Trivultius Vallis Mesulcinae princeps
Anno Domini MCMXXVIII – VI
R.F – pie munifice restituit
Nunc habes o civis optimi gratia viri
Quae ad majorum gloriam fata
servavere.
Mentre
a sinistra nel presbiterio dell’altare maggiore compare il monumento sepolcrale
di Azzone, sulla parete di fronte una grande tela raffigura San Carlo in gloria di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano
(1557-1632).
Visite pastorali
A
distanza di un secolo gli effetti della lontananza dei duchi di Milano da
questa chiesa incominciano a vedersi: agli inizi dell’episcopato di
Carlo Borromeo il disordine é presente in tutti i settori della vita pubblica e
privata. E lo stato degli edifici di culto é indecoroso e rovinoso, ricetto anche di
animali randagi o di malviventi ( situazione non eccezionale neppure a Milano,
centro compreso) 24 .
Le visite pastorali, rivitalizzate da Carlo Borromeo,
evidenziano dal canto loro le condizioni interne della chiesa di S. Gottardo 25.
Lunedì
primo agosto 1569 il rev. Ludovico Moneta, familiare dell’arcivescovo, visita
la chiesa di San Gottardo, costruita nel Palazzo di Corte, che sta entro
i confini
parrocchiali della chiesa di S. Michele al Muro Rotto (vicina al Verziere), a poca distanza dal Palazzo arcivescovile e
incorporata al tempio maggiore della Città. E descrive le condizioni nelle quali essa si
trova. In questa chiesa, che
manca di sacristia, vi
sono tre altari: ‘altare maius Sti
Gotardi cum anchona pulcherima ex marmore cum pluribus figuris pariter ex marmore. In ea sculptis et intus dictam
anchonam dicitur adesse repositum corpus felicis recordationis Azonis olim
Mediolani Ducis.’ Nel mezzo della chiesa è costruita la
tribuna. Un altro altare, ossia mensa di bel marmo che sostiene quattro
colonnine di marmo, è costruito sotto la medesima tribuna dove le Signore della
Corte assistono ai divini uffici. Ai due
altari mancano i cancelli di ferro. Il pavimento è di marmo lavorato con arte,
ma in qualche parte è rotto. Sulla parete sinistra della cappella maggiore vi
era una porta che venne chiusa e per la
quale si scendeva nella cantina ‘hospitii
carceratum Capitanei Justitiae
Mediolani cum ipsa ecclesia coherentis’. In questa cappella vi è un’arca di
legno con il corpo di Filippo Maria, duca di Milano […]
Il suo campanile è fra i più belli di questa città, con
campane.
Le ‘ordinazioni’ dell’Arcivescovo di Milano
Il
27 dicembre 1569 seguono le ‘ordinazioni’: Noi Carlo Cardinale Borromeo Arcivescovo di
Milano [… ] dopo la visita del primo agosto de nostri visitatori fatta della
chiesa di Santo Gottardo costrutta dentro il Palazzo della corte dell’ecc.mo
principe di Milano, il tutto ben inteso et considerato, havemo stabilito le
infrascritte ordinazioni di essequire quanto prima intorno a detta chiesa, cioè:
Si faccino le bradelle alli duoi altari
quali suono sotto la tribuna nel mezo della chiesa; Si faccino li uschi alle
due ferrade che circondano detti altari, et si tengano serrate. Alli medemi
altari si lascino anchora le loro Anchone et se li provegga di candeleri et di
paramenti necessarij conforme alle instruttioni generali stampate. Il pavimento
della chiesa si accomodi dove è rotto.
Si faccino le invedriate sopra le finestre dove amancheno.
Et parimente il scurolo che é sotto la capella maggiore et
nel quale si discende per una scala quale è in detta sacrestia et hora si vede convertito in canepa (cantina) da
vino, s’accommodi et osservi come conviene. Si levi la feradella
quale è sopra la finestra che risguarda
dalla sacrestia in chiesa, et si stoppi del tutto detta finestra, et si leva il
pontile per il quale si ascendeva a risguardar dalla detta finestra in chiesa. Si faccia parimente
l’invedriata sopra la finestra ch’ è verso strada nella sodetta sacrestia.
Nella medema sacrestia se li faccia uno guarnerio di legno di noce ben ornato
per custodire tutti li paramenti della chiesa.
Se levi l’Archa di legno posta in alto dricto il muro nella
capella maggiore, et il corpo li riposto, dentro il quale si dice esser della
felice Memoria di Filippo Maria o sij altro Ducha di Milano si trasporti nella
chiesa maggiore nel luogo ove son riposti altri simili Duchi. Se levi di presente da l’hosteria il luogo che a
mano sinistra è sacrestia con la chiesa apresso la capella maggiore et si
relassi per uso di sacrestia come si vede chiaramente ch’è detto luogo insieme
con altri che li seguitano già erano a tale uso della chiesa fatti et destinati, et per ciò s’apri l’uschio che riusciva dalla
chiesa in detta sacrestia quel uschio hora si vede murato, et si toppi quello
che hora riesce dalla detta sacrestia nell’hosteria sempre senza pregiudizio
della chiesa per rispetto alla usurpazione delli detti altri luoghi et non
altrimenti come si conoscerà essere di raggione 26
[…].
Allora,
come in altri periodi di miseria e ‘morbi esiziali’, si scriveva magari molto,
ma si faceva, quando si faceva, poco. Tanto è vero che si mise mano ai lavori
di restauro della chiesa, affidati all’architetto Pellegrino de’ Pellegrini
dieci anni dopo, nel 1579, quando ancora i segni della peste, detta di San
Carlo, erano visibili in Milano. L’anno in cui vengono date alle stampe Le istruzioni e Rituali per la Messa, secondo il
rito ambrosiano. E il Libro delle Litanie maggiori.
Questa la Descrizione opere disgrosso
del ristauramento de la chiesa di santo Gottardo posta in la Corte maggiore di
questa Città. Fatta
dall’architetto Pellegrino Pellegrini l’8 febbraio 1579. Prima per butar
via tutta la calcina vecchia et rimetterla et stabilir de novo et imbiancar
tutti li muri de la ditta chiesa, dell’imposta de la volta in giù, conputato li
ponti sì di materia come de maestria a tutta spesa dell’incantatore […] Et per
lo slargamento delle finestre et rompere il muro vecchio et porvi le ferrate di
nuovo con le invidriate et ramate...Et per le invidriate dell’occhio sopra la
porta con le ramate et levar via il marmo di mezzo…Et più per murar le due
finestre verso le loggie […] Et per il coro dei musici [...] Et per la scala
per andare al ditto coro[…] Et per il poggio dell’ecc. signor Marchese […] Et
per rimettere il suolo di marmo sotto il muro del coro conforme al resto[…] La
qual impresa si puotrà fare in 30 dì lavorativi con l’abondantia d’homini, dopo
fatta la provvigione dil denaro a ciò non si habbi da perder tempo 27 . Nel 1575 il Pellegrini è indicato quale
architetto de la Chiesa Maggiore di Milano.
Spiritualità e quotidianità
Una
informativa del 26 giugno1569 conferma che il Cardinale aveva fatto giungere le
sue doglianze al governatore spagnolo dello Stato di Milano, Gabriele della
Cueva duca di Albuquerque, per lo stato in cui si trovava la chiesa di San Gottardo
in Corte: […] li luoci occupati dal officio del Capitano di giustizia
per far l’hosteria
e canepa per uso de li pregioni si visitassero e s’intendesse s’erano della
chiesa di Santo Gotardo, et ch’essendo di detta chiesa si facessero restituire
[….] Furono per uno de nostri colleghi visitati e s’è ritrovato per li segni
che vi sono esser duoi luochi d’essa chiesa, cioè una canepa (maxime dipinta di
santi) che viene ad esser sotto l’altare et un altro luoco che doveva esser
sacristia, et essendo necessario, havendo di provvedere di altri luochi per uso
di detto officio, fabbricare di novo una canepa et un altro luoco, habbiamo
dato commission al nostro Commisssario del monitioni e lavorerji che si facesse
visitare da duoi
ingegneri […]. E sul retro: […] che
si intenda chi è il cappellano di S. Gotardo, per stabilire a chi appartengono
i luochi in questione.
Non sono trascorsi trent’anni che don Juan de
Mendoza
marchese della Ynojosa, gentilhomo della Camera di S. Maestà, suo capitano
generale e governatore dello Stato di Milano dal 30 luglio1612 al gennaio 1616
ordina che si provveda alla chiesa di San Gottardo di
nuovo trascurata: […]Già
restate informato del mal termine in che si trova la chiesa di San Gotardo di questo Palazzo
e particolarmente l’Altare, dove si celebra la Messa, sopra il qual stava posta
con molta indecenza l’Arca della sepoltura del corpo d’un che si dice fu
parente delli Duchi di Milano, senza ancona di devotione alcuna, le vitriate et
il suolo tutto rotto, e desiderando Noi per quel che si deve al culto divino
riparar e rimediar a gli inconvenienti che si vedono, habbiamo dato ordine che
si levi detta Arca e si riponga nel medesimo Choro a mano dritta, che si faccia
un’ancona con un Crocifisso grande et alcune pitture e si riparino le altre
cose che n’hanno bisogno. Et per la diversità di esse habbiamo giudicato che non si possano metter
all’incanto, ma che si facciano, che poi si vederà quel che ciascuno maestro
haverà meritato. Et perché non si tocchino per quest’effetto denari ordinari della
Camera habbiamo procurato che vi si applichino alcune condennationi
straordinarie che si vanno facendo. Et a voi ordiniamo che per uno de vostri
colleghi col Commissario generale delle
munitioni s’habbi cura che questo
negozio indirizzato al servizio di Dio benedetto si faccia come conviene che
l’habbiamo anco particolarmente incaricato il Gran Cancelliere qual non manca
di a sopraintendere perché segua il tutto bene et al maggior vantaggio che si
possa. Cristo Signore vi guardi.
Riti pasquali in San
Gottardo
Il Giovedì e il Venere
Santo
In un documento di fine Cinquecento il Giovedì
Santo é indicato come Zobia, <Zobia alli XV di Aprile 1593 […] A nome di Dio,
Zobia>; mentre vent’anni dopo:
Al nome di Dio hoggi Giovedì 4 aprile 1613
Essendosi nella chiesa di San
Gottardo posta nella Corte dell’Arengo della città di Milano Don Giovanni di
Mendoza marchese della Hynojosa etc. il giorno d’hoggi giovedì quattro d’Aprile
sudetto circa le 17 hore 29 , celebrati i divini officij, detta la Messa e
fatta la processione per dentro la chiesa per far il deposito del Santissimo
Sacramento nel luogo debito in commemorazione del Santissimo Sepolcro del
Sacratissimo Corpo di Nostro Signore Gesù Christo conforme al rito et instituto
della Sacra Cattolica Romana Chiesa, et trovandosi in questa occasione di passo
in questa Città et alloggiati in Palazzo il Signor Principe di Piemonte con la
Serenissima Infanta Duchessa di Mantua sua sorella, commandò S.E. a me Regio
Ducal Secretario et notario infrascritto
che seguendo esso Principe et l’Eccelenza Sua al Curato con la torchia accesa
sin sopra l’altare nell’alto dove stava apparecchiata una cassetta coperta di velluto nero con li misterij della
passione di Nostro Signore per reponere et depositare esso Santissimo
Sacramento mi vi trovassi presente et vedessi oculatamente che esso deposito fu
vero e realmente fatto. Et poi serrassi essa cassetta et sigilassi la serratura
col mio sigillo come in effetti feci tutto. Et volendosi conforme al solito
presentar all’Eccelenza Sua la chiavetta per custodirla sino al giorno seguente
mi fece segno et commandò che la consegnassi al Serenissimo Principe di
Piemonte sudetto come subito senza partir dal deposito lo posi in essecutione riponendola
con il suo cordone. Essendosi trovati presenti a questa attione et cerimonia l’Infanta Serenissima sudetta,
l’Eccelentissima Signora Marchesa della Hynojosa con molte Dame nell’alto della
Tribuna et in chiesa abasso il Presidente del Senato, molti Cavaglieri di S. A.
che portorno il baldacchino insieme col Principe, Sua Eccelenza et Presidente
sudetto et diversi Ministri et Cavaglieri di Milano et famigliari di S.E.. Di che tutto commesse l’Eccelenza Sua che ad ogni buon fine se ne
tenesse memoria et scrittura per me
Secretario infrascritto.
Il Venere appresso circa la
sudetta hora 17 essendo calati abasso come il giorno di hieri della Tribuna al
tempo che era finita l’adoratione s’inginochiorno ambi in un lato dell’Altare
sopra due cossini di broccato dalla banda del Vangelo et fatta un poco
d’adoratione montò di sopra il Curato al deposito seguitato dal Prencipe
sudetto et S.E. con le torchie accese dove fu da me aperta la sudetta cassetta
levandole il sudetto sigillo et per il Rev. Sacerdote alla presenza delli
Signori predetti cavato fuori da essa cassetta il sudetto Santo Sacramento per
celebrarne la Messa conforme al rito et costume di Santa Chiesa mostrandolo
prima al Prencipe et a me. Il Baldachino fu portato dal sudetto prencipe; S.E.,
presidente del Senato Don Giovanni Colombo et due Cavaglieri di Sua Altezza firmato
Antonio de Sara 30 .
In questa occasione avveniva il rito della lavanda dei piedi a dodici poveri; distribuzione di elemosine a 12 poveri nel
Venerdì Santo.
Ancora nel 1771: Funzione a Corte, detta la lavanda dei piedi a
12 poveri e distribuzione
di effetti di vestiario e danaro […] nelli dodici da Vostra Altezza Reale
graziati nel Giovedì Santo.
Le cerimonie richiedevano opere e spese che
ogni anno puntualmente generavano burocratici elenchi di cifre, di misure e di
controlli.
Il campanile
La Torre di San Gottardo è il solo avanzo, che rimane, per
avere un’idea del gusto dell’architettura di Azzone; ed è un pregevole
monumento, singolarmente perché erano i primi passi che si facevano dalla somma
barbarie al nobile ed
elegante modo di fabbricare. Anche un altro motivo rende
quella Torre degna di osservazione; perché ivi Azzone fece collocare un
orologio, che batteva le ore, macchina allora affatto nuova, e sorprendente,
dalla quale prese nome la via delle ore, come anche in oggi viene chiamata […,], scriveva Pietro Verri nel
1783 31 .
L’orologio
della chiesa di San Gottardo aveva un suo custode. Tra quelli succedutisi nell’
offitio della cura del Relorio del Campanile de Sancto Gottardo dal Tre al
Quattrocento si ricorda che il 6 ottobre
1474 era stato nominato domino Henricho de Guinati,
che prima di diventare prete era stato bombardiere, fratello dell‘abate o maestro della Cappella
ducale, Antonio al quale venne concesso a
lui e discendenti in infinito
il diploma di cittadinanza il 7 settembre 1495 in registro L.D. 1473-1479, fol. 110.
Verso la metà del Novecento Eva Tea così descrive il
campanile:
Una delle più belle insegne,
il Wahrzeichn di Milano… Alto in rapporto alla lunghezza, ottagono nel fusto e
nel tamburo, coronato dalla loggia aerea e dal pinnacolo che sembra volare via
con l’angelo che lo sormonta, appare, sì, fratello al tiburio di Chiaravalle,
ma in edizione più pura. Qui tutto è uscito di getto: proporzioni e
particolari. Le finestre del primo piano, archivoltate e ombreggiate da un
cappuccio di ghiera sporgente, non si levano dai comuni esempi del tempo; ma le
otto bifore del piano superiore, entro cornice quadra sobria e ricca, sono una
rarità per l’Italia e quasi un preludio del Rinascimento.
Il doppio loggiato con le colonnine superiori in aggetto,
trina gettata al sommo del fusto, trova il suo contrasto nel tamburo del
pinnacolo, dove le finestre si ripetono come nel basamento, ma più fitte e a
pieno centro. Poi l’occhio si incontra in candidi steli e vede passare le
nuvole in trasparenza […].
Ma la gioia, il sapore, gli accenti ritmici di questa
architettura sono gli otto fili marmorei che allacciano la base con il culmine,
e accentuano, coprendoli, gli spigoli dell’ottagono, principale caratteristica
dell’edificio. In genere i campanili di tal forma derivano dalle torri romane
fiancheggianti le porte di cerchie murarie. Anche questo è di semenza antica,
ma la precoce eleganza del tempo in cui nacque gli impresse una energia
scattante; la forza nervosa propria dell’architettura cistercense, quale si
vede meglio che a Chiaravalle, in alcune parti del Duomo di Cremona, che
l’autore del monumento sia un cremonese si
vede a diversi segni. Anzitutto la forma primordiale del campanile si ritrova
nel transetto nord di quella cattedrale, nelle torri a sezione ottagona con
alto cono cestile, nelle riseghe e nelle colonnine che corrono svelte ad
assottigliare vieppiù il corpo del monumento.
Lo stesso posteriore Torrazzo, con il suo mutare, da forma quadra in
ottagona, ripete il motivo della torre viscontea. Non mancavano certo a Milano
architetti per compiere così bella opera al tempo di Azzone; ma forse egli
preferì un cremonese perché incapricciato da tutto quel correre di logge e
variare di chiaroscuri. Che il Duomo e il Battistero avevano messo in moto già
da due secoli. Alla base del campanile, sulla fronte verso ponente, (nella parte ad angolo retto col fianco destro
della chiesa, un tempo parte di una cappella aggiunta alla fabbrica, e poi
andata distrutta) venne scoperto un frammento di ciclo pittorico di cui
rimane la Crocifissione, pur essa molto guasta [...] che il Coletti descrisse
nel 1948, prima che deperisse maggiormente 32 .
Il campanile nei secoli
Nel 1636 vi era urgente bisogno di riparare la Torre
scriveva Filippo Morone, supplicante, al Commissario generale delle Monitioni, perchè
La guglia della Torre del Campanile di S. Gottardo si
decise, piuttosto che demolire, di conservare alla Città un’antichità sì
raguardevole.
Un
secolo più tardi, il 5 maggio 1735,
l’ing. Carlo Federico Castiglione, ingegnere collegiato regio camerale scrive a
don Francesco Mesmer, Commissario generale
delle Monitioni e Lavori dello Stato di Milano, che Il 28 aprile
per decreto del
Tribunale fatto sopra al
rappresentato di Giuseppe Zappa, sovrastante. Di questa Real Corte per le
minacce di ruina con pericolo di caduta della guglia della gran Torre di S.
Gottardo (la cui altezza è di circa 36 braccia ossia circa 21 metri) per
diverse creppature nella medema esistenti.
Il
2 maggio viene incaricato di visitare la guglia. E constata che essa si é per
di dentro a
ragione della sua antichità rilasciata tutta la calcina che rivestiva il
materiale della guglia e perciò passando attraverso le pietre della medesima le
acque in tempo di pioggia, sempre più inumidiscono il materiale e non potendo interiormente asciugare
in tempo di rigoroso
inverno dal gelo viene divorata la calce
che la compone, come più è seguito nel passato inverno, e, come sempre più
succederà in avvenire […] Nel piede della guglia il muro è fracido e la cornice
esteriore che dà colo alle acque è molto scomposta per l’antichità e ingiuria
dei tempi […] e ne
prevede la caduta se non si interverrà […]
essendo posta sulla
sommità della guglia una statua di rame, o sij bronzo, con ventaglio d’una non
ordinaria grandezza, strapiombante per ragione dell’antichità, essendo anche
l’asta del ventaglio strapiombante, questo dalla veemenza dei venti ragirata
cagiona per il moto più violento nel cadere il ventaglio verso l’inclinazione
dell’asta e per la maggiore resistenza che fa nel ragirarsi alla parte opposta
dell’inclinazione un sensibile movimento alla statua con non poco pregiudizio
alla stessa guglia per la resistenza che deve fare a causa del contrario moto
del ventaglio e movimento della statua [….] Il nostro
ingegnere ne consiglia la riparazione si è di assicurare l’esistente
guglia a motivo dell’antichità, rarità dell’Opra, trattandosi d’una guglia
d’altezza di circa 36 Braccia fabbricata per finimento di una Torre delle più
antiche di Milano […] Queste alcune voci dei lavori compiuti: dal
piano dove si trovano le campane sino alla sommità della guglia saranno
d’altezza in aria di circa 45 Braccia, 27 metri ca., mentre l’altezza della
statua era di Braccia 3, un metro e ottanta ca. In più fatta di nuovo
la bandiera di lamera di ferro atteso che la vecchia era tutta consumata per
l’antichità e spezzata da colpi d’archibugiate (o di
moschetto, si legge in altra parte) fermata con tre code a fiamma
con due assi e telaro di reggia ed è di peso libbre 74 […] affrancato maggiormente il ballone d’ottone (il globo in rame che sta ai
piedi della statua) in cima alla guglia
sopra del quale si rialza la statua […]rimesso un capitello mancante ad una
delle colonnette [… ]
utilizzandone uno vecchio che era nella stretta dell’Arcivescovato…otturate tutte le
crepe della guglia; rifatto il finimento della guglia di pietre cotte; per
assicurare maggiormente la guglia posti tre cerchi di ferro [… ] e a causa che
la campana delle hore sopra la Torre restava appesa al ceppo con solo due
staffe di reggia formate a braga semplicemente inchiodate con pericolo che
cadessi, vennero poste di nuovo altre due staffe di reggia […] terra e rottami
delle riparazioni riposti nella stretta tra il Regio ducal palazzo e
l’Arcivescovato, dalla torre al trasporto calati con cavagne e quindi con
carretta fatti portare allo spalto del castello in vicinanza della Porta del
Soccorso.
Mentre
se si fosse deciso di demolire la guglia e farvi altro finimento
terminato con
la statua che c’è allargando i finestroni dove sono le campane, e ciò sarà ben
più vago, il rimbombo delle medeme riuscirà anche nelle parti più lontane della
Città, il che presentemente non riesce […] Ma la spesa ascenderebbe a circa 4.500 lire unita alle 10mila e
più lire che i lavori, comprese le riparazioni dei tetti dell’abitazione del
cappellano danneggiati dai materiali caduti, avevano richiesto. Nell’inverno 1734-1735 i tetti
in particolare erano stati danneggiati dal gelo
L’impresario
al quale era stata assegnata per incanto
dal 1729 la manutenzione del Regio ducal palazzo, l’ing. Martino Bozzolo,
eseguì le riparazioni alla guglia della gran Torre di San Gottardo, secondo l’incarico a lui dato dal Commissario
generale Mesmer il 16 giugno1735.
Lo
stesso impresario descrive dettagliatamente i diversi passaggi di quel non
facile lavoro: dai ponteggi alle demolizioni alle riparazioni. Anche se non si mancava di pensare alla
sicurezza dei maestri e dei giornalieri
che prestavano la loro opera.
Fu,
invece, l’ing. Castiglione ad eseguire il collaudo alla guglia della Torre il
26 settembre1735, comunicando il primo ottobre a Francesco Mesmer: inerendo agli ordini datimi
in voce dall’Ill. Conte Questore don Pietro Quintana devo rappresentare a V.S.
essersi data la vernice a oglio da Antonio Cairone esteriormente a tutta la
guglia della Torre di S. Gottardo in questo
Real Palazzo ed avere lo scultore in
rame Gio.Batta Guerra fatta l’inscritione sopra la statua di rame dorata ( a tergo fra le due ali) che
serve di finimento
a detta Torre del tenor seguente:
Vetustum huius simulacri
caput
Sub Actii Vicecomitis dominio
Anno MCCCXXXIII erectum
Incerto tempore ac eventu
ereptum
Regiae Ducalis Camerae
sumptibus
Una cum turri restauratum
Anno MDCCXXXV
L’antica testa di questa statua venne collocata sulla
cuspide l’anno 1333 durante la Signoria di Azzone Visconti; distrutta in età e
per cause incerte, restaurata a spese della Camera ducale insieme alla torre
campanaria nell’anno
1735.
La
statua di rame dorato raffigura l’Arcangelo S. Michele appoggiato sopra un
globo e reggente il vessillo visconteo. Con il lavoro dello scultore in rame
Guerra si intendeva pure “farla
terminare di ciò che essa è mancante, oltre che il far riunire que’ sfori
anticamente fatti con colpi di moschetto, facendovi fare la testa mancante di
rame sovra dorata con foglia a fuoco, e le ali, che ne rimane solo una piccola
parte imbronzate e lumate d’oro come pare fossero anticamente […] 33.
Rimaneggiamenti al palazzo reale e alla chiesa
Nel
1775 sono state già demolite le case e le botteghe adiacenti al Regio Ducal Palazzo
nel circondario della gran Porta verso la Piazza. Come si può vedere da stampe
del secolo XVII e della prima parte del XVIII la piazza del Duomo, e il Duomo
stesso, si presentavano ben diversamente da come noi li abbiamo conosciuti.
Nella seconda metà del Settecento si passò con
il Vanvitelli dal Rococò alla compostezza che si fece volontà di simmetria e
semplificazione formale.
E sotto la direzione del Piermarini si
intervenne sul Palazzo reale e sulla chiesa di San Gottardo. Venne pure allargata e sistemata, più rizzatura e selciatura, la via da Palazzo reale al Teatro alla Scala. E il 4 giugno1778 si decise di togliere
i cancelli che chiudevano la strada che separava il Palazzo della Regia Corte da
quello dell’Arcivescovado. <La detta
strada da privata pertinenza sia ridotta ad uso pubblico>. Il 7 ottobre
dello stesso anno il capomastro Giuseppe Re ha adempiuto le due opere,
tanto sulla strada posta al Teatro come l’altra nuovamente riaperta tra
l’Arcivescovado e la Regia Ducal Corte. Si erano rifatte anche le facciate
sui due lati della contrada cambiandone la prospettiva.
Le demolizioni e le costruzioni subite dal
Palazzo nel tempo e la realizzazione del Duomo avevano prodotto dal canto loro
un visibile innalzamento del suolo. E lo si notò l’anno successivo, quando
venne abbassata la strada che divideva la Corte dal Duomo. Dal
centro della piazza del Duomo alla porta del palazzo regio il tratto era breve (circa 90 metri o 30
trabucchi), poiché nel 1611 la fronte del palazzo era quasi addossata al Duomo,
in linea parallela al lato meridionale della Metropolitana. Questa fronte,
demolita verso il 1779, chiudeva l’attuale piazza del palazzo reale
34
.
Tra il 1779 e il 1809 la contrada delle Ore unì piazza Fontana alla contrada Rastrelli
prolungamento di via Pesce e il palazzo reale, chiudendo questo tratto delle
Ore che si arrestava prima della contrada Larga. Ad angolo fra la contrada dei
Rastrelli e quella vecchia delle Ore esisteva la chiesa di Sant’Andrea al Muro
Rotto eretta sull’ultimo fianco del Regio Palazzo, fatto
edificare da’ Spagnoli Governatori nella Contrada che dal publico dicesi de’
Rastrelli.
Il restauro ottocentesco del campanile
Luca
Beltrami diresse i lavori di restauro del campanile di San Gottardo nel 1887. Che così descrive: Il restauro,
condotto recentemente a termine della parte superiore del Campanile di San Gottardo, e specialmente
della loggietta che sostiene il cono cestile di coronamento, offre argomento a
menzionare altre opere di consolidamento che precedentemente vi erano state
compiute, delle quali è bene conservare il ricordo, giacchè l’attuale restauro
ne ha fatto sparire ogni traccia.
L’elegante concetto architettonico della galleria a
colonnine binate in marmo bianco sorreggente la parte terminale del Campanile –
concetto pel quale il Pecorari si inspirò al coronamento del Torrazzo di
Cremona, compiuto nel 1289 dall’arch.
Alberto Latomi - benché non
implicasse un vero ardimento statico, era tale però da richiedere una
particolare diligenza, sia nella scelta dei materiali, che nella esecuzione. Causa
la trascuranza di tale cura, il Campanile era giunto a noi – completo è vero
nelle sue linee architettoniche, malgrado lo scempio ch’ebbe a subire la chiesa
– ma deturpato da quella muratura che si dovette fare a consolidamento della
loggietta, cosicchè la parte superiore del monumento aveva perduto quella
leggerezza ed eleganza che il Fiamma, cronista contemporaneo alla costruzione,
aveva lodato dicendo che il Campanile era ornatum
a summitate deorsum columnellis marmoreis, quod videre est quaedam magna delectatio.
Non fu difficile precisare l’epoca di questa muratura di
riempimento: certo doveva risalire alla prima metà del secolo scorso giacchè si
vede indicata già nel disegno, abbastanza sommario, che il Giulini diede della
fronte di S. Gottardo nel vol. I p. 842, Ed. pr. delle sue Memorie. Il trovare
poi riferito dal Lattuada come nel 1735 la sommità del Campanile venisse
“riparata e cinta con fascie di ferro per impedirne la rovina” autorizzava a
riconoscere quella muratura come una parte dei lavori menzionati dal Lattuada.
Ma lo scrostamento dell’intonaco – eseguito nella scorsa primavera per
constatare le vere condizioni delle vecchie colonne murate – mise in evidenza
un fatto particolare, e cioè che quella muratura di riempimento era stata compiuta in due epoche ben distinte. Infatti alla
corrispondenza agli angoli dell’ottagono la muratura si presentava fatta con
grossi mattoni di forma speciale e con grande accuratezza, mentre la rimanente
parte - evidentemente più recente – era
assai trascurata pel materiale impiegato e per la esecuzione. Ma la cattiva
prova data da questo materiale, le cui cave si possono dire esaurite o almeno
abbandonate, consigliarono di sostituirvi
un altro materiale più resistente, il marmo di Cerragiola-Serravezza
quasi identico per colorito al materiale primitivamente impiegato: le
quarantotto colonne vennero collegate fra loro mediante un sistema radiale di
tiranti che si rannodano ad un anello centrale. Nella occasione di tale lavoro,
approfittando delle armature che erano state necessarie, si compì il restauro
di tutta la parte superiore, rifacendo dapprima con cemento tutte le commessure
dei mattoni ad unghia di cavallo che compongono il cono cestile: poi si
rifecero le ali all’angelo, sostituzione di quelle piccole che erano state
adattate nello scorso secolo; si levò la bandiera che il Lattuada aveva già
notato non essere l’antica, ma di puro
ferro, per sostituirvi un vessillo in rame dorato colle iniziali AZ. VC. E lo stemma dei Visconti, conforme all’indicazione
conservataci dal Fiamma “habens in mano vexillum cum vipera”: si rifece il globo in rame che sta ai piedi della
statua, e il tutto venne dorato. Del restauro fatto all’angelo nel 1735 rimase
quindi il solo capo.”
Il Beltrami accenna quindi ai costi sostenuti per tali
operazioni da parte della Casa Reale e del Ministero della Pubblica Istruzione
“essendo il campanile inscritto nell’elenco dei monumenti nazionali. I lavori
si compirono dal maggio all’ottobre scorso sotto la direzione degli ingegneri
Tarantola e Alemani dell’ufficio tecnico della Real Casa e sotto la
sorveglianza della Commissione Conservatrice dei monumenti, la quale nello
scorso dicembre collaudò il restauro.
Egli aggiunge, inoltre, che giornali cittadini, come il
Pungolo e La Perseveranza, pubblicarono nel 1887 appunti al restauro da lui non
condivisi.
Sempre il Beltrami, riportando un disegno di parte
dell’ottagono in cui una parte annerita indica il restauro del 1472 e una parte
tratteggiata indica il restauro del 1735, commenta: “La supposizione che,
stando a tale apparenza io misi avanti in quella circostanza che quel primo
lavoro di consolidamento dovesse risalire al XV secolo, ebbe piena conferma in
un documento che durante i lavori di
restauro, mi venne segnalato al nostro Archivio
di Stato dall’egregio signor
Motta, documento del 1472 , il quale unitamente ad altre notizie che
potei raccogliere, mi ha permesso di ricostituire brevemente
le varie vicende della parte superiore del Campanile, dal XV secolo fino
ad oggi.
Una prima manomissione è menzionata in un documento che
trovai recentemente alla Bibliothéque Nationale di Parigi: in una lettera del
1451, Antonio Lombardi franzoso guardiano dell’orologio collocato sul Campanile
di S. Gottardo, accenna ad alcuni guasti arrecati al Campanile da certo Antonio
Balbo:
-….ulterius quello che luy (Antonio Lombardi) ha intexo ne
fa notizia ad V.L.S. e bixognando notificava il nome di coloro da cui ha intexo dire come dicto Antonio
Balbo ha disfacto ferramento assay da quello del Campanile tolto una alla volta
del angello ch’era in cima del dicto
Campanile raspato zoso l’oro e disfacto canali in più loci, tastato li muri per
cerchare adinari o thezoro, et cavando trovò sotto l’altare grande una spada
con duo paro de speroni: se questo e vero, za non e signale de bono
deportamento. Bibl. Nation. MSS. Cod. 1585, fol.
178 .
Tale sottrazione di ferro e forse di legname (cauali)
segnalata dal Lombardi appare assai generica e – al pari dell’accusa fatta al
Balbo di aver raschiato la doratura
dell’angelo posto sul vertice del Campanile – può essere stata dettata
dal malvolere del Lombardi verso il Balbo,
il quale aspirava a sostituirlo al posto di guardiano dell’orologio: risulta
invece specificato il danno che a quell’epoca aveva già subìto la statua
dell’angelo. Ma a queste, più o meno volontarie manomissioni,
non tardava ad aggiungersi l’azione del tempo. La trascurata collocazione
dei perni in ferro, che collegavano il fusto delle colonne colle basi e
i capitelli, e più ancora il poco
accorto sistema di collegare i capitelli fra loro con piccoli tiranti indipendenti, che
tendevano a spezzare i capitelli, produssero la rottura di vari pezzi di marmo
cosicchè, non erano ancora scorsi centoquarant’anni dal compimento del
Campanile, e già correva voce che la parte superiore, detta castello, stava per
crollare.
·
Infatti il duca Galeazzo Maria, nel luglio di
quell’anno, scriveva: Bartholomeo de Cremona, Comissario super laborerijs, Intendemo
chel castello del Campanile de Sancto Gotardo sia per cascare, et ad conzarlo
non li va più spesa che cento ducati, però volimo vedi dicta spesa et faci
vedere et trovando che così sia, lo faci
acconzare et per la ligata alli Maestri
et Ant. da Piacenza che pagano questa spesa ad chi et secundo li dirai tu
(omissis). Dat. Gonzaga, die XXIII Julii, 1472
-
Galeaz .
Arch. di Stato: Missive N. 105, fol. 82 v.°
Non è a mettere in dubbio che tale lavoro ordinato dal Duca
all’ingegnere Bartolomeo Gadio, corrisponda a quella prima parte di riempimento
che rafforza specialmente gli angoli dell’ottagono: la spesa di cento ducati
indicata nella lettera, nel mentre esclude opere di consolidamento di maggiore
importanza, risponde perfettamente all’entità di quel primo lavoro, che
presentava appunto l’apparenza – come si disse – di un’opera del XV
secolo. Arch. L. Beltrami 35 .
Di questi campioni dell’architettura lombarda del XIV
secolo, la Real Casa fece trasferire alcuni esemplari al Museo di Brera. […]a testimonianza e ricordo del recente
restauro, la Consulta Archeologica provvide a che alcune delle vecchie colonne, colle basi e
capitelli, fossero depositate presso il nostro Museo Archeologico, conclude il Beltrami.
Registri di
battesimi principeschi in San Gottardo
Ai
governatori spagnoli succedono quelli austriaci: da Eugenio di Savoia a Francesco
III duca di Modena. Il quale entra in Milano il 14 gennaio 1754 insediandosi
nel palazzo di Azzone Visconti con il titolo di Capitano generale delle truppe imperiali in Italia. Questo per
volere di Maria Teresa d’Austria che mirava al ducato di Modena, Massa e
Carrara, del quale era erede la nipote di Francesco, Maria Beatrice d’Este
figlia di Ercole, scelta come sposa, ancora bambina, per uno dei suoi figli. L’imperatrice
in un Post Scriptum a sua lettera del 2 maggio 1771 mostra di avere a cuore
Francesco III. Ordina, infatti, che i quattro cappellani di Corte soliti a
celebrare nella chiesa di San Gottardo continuino questa loro pratica a
disposizione e comodo del Serenissimo Duca di Modena e della sua Corte, non volendo la M.S. che
rispetto al trattamento di esso Principe non sia cambiato nulla: e ciò per
riflesso tanto alla di lui età che al suo attaccamento all’Augusta Casa 36 .
Una
seconda Beatrice d’Este entrava in questo palazzo portando l’eredità di quei
piccoli stati della casa d’Este in estinzione.
Per
le nozze dei due giovani, Ferdinando aveva quattro anni meno di Beatrice, Maria
Teresa si affidò al Parini del quale è rimasta la descrizione in stile aulico.
Nel
1771 quando Beatrice e Ferdinando, terzogenito di Maria Teresa che per i trattati
di Utrecht e di Rastadt esercitava il governo anche sul Milanese, arrivarono a
Milano non fu il Palazzo che il Piermarini stava rimaneggiando ad ospitarli. Ma,
provvisoriamente, il palazzo Clerici, in San Protaso ad Monachos, del fu
marchese e maresciallo Giorgio Antonio molto apprezzato dalla Casa d’Austria.
Due
anni dopo nasce il primo figlio di Beatrice e Ferdinando: Maria Teresa, futura
sposa di Emanuele I di Savoia. E’ con questa nascita che compare nell’archivio
della parrocchia aulica di Corte di San Gottardo un nuovo registro Pro baptismo
elegantemente rilegato che prete de Roleman intesta: Pro serenissima Familia Regii principis arciducis Austriae
Ferdinandi. La cerimonia, però, non
avvenne mai nel piccolo battistero in San Gottardo,bensì in una cappella o in
un salone del Palazzo. E il battesimo fu sempre impartito dagli arcivescovi di
Milano: dal card. Giuseppe Pozzobonelli ai cardinali Filippo Visconti e Carlo
Gaetano Gaisruck.
Dal
1773 al 1787 la coppia arciducale fece registrare la nascita di altri otto
figli dei quali i primi tre nacquero nel palazzo Clerici.
Dalla fine del 1771 al 1789, il canonico
teologo Perego fu confessore della principessa Maria Beatrice d’Este, moglie
dell’arciduca. Ma per il riformatore principe di Kaunitz, che aveva prescritto
le sacre funzioni festive per la chiesa, si pose pure il problema: avere un parroco
in San Gottardo che conoscesse la lingua tedesca, oppure ricorrere
all’espediente di due parroci uno
per la nazione tedesca
e l’altro per gli Italiani. Non conoscendo il canonico
Perego la lingua tedesca, venne proposto quale confessore dell’arciduca prete de
Roleman.
Sotto il governo di Ferdinando vennero edificati
il Teatro della Scala, quello della Cannobiana e la Villa reale di Monza.
Nel 1794 si posero i cancelli alla balaustra
dell’altare maggiore e degli altari laterali chè
portandosi tutta sorta di persone agli altari laterali […] e l’introdursi di cani persino sulla gradinata dell’altar maggiore, ne nasceva l’inconveniente di trovarsi
ingombrato il sito con disturbo notabile segnatamente in occasione de’ Divini
Offici; oltre il pericolo che vadano a guastare gli arredi sacri, tappeti, o
altro, che sia vicino a terra. I
cancelli in ferro, secondo un decreto magistrale del 27 giugno 1794 n. 883, dovevano
essere uniformi al disegno del cancello del Battistero già esistente.
Il 14 maggio 1796 entrò in Milano da porta
Romana il generale Massena, mentre l’arciduca Ferdinando si ritirava dalla
città. Il Palazzo Reale divenne Palazzo Nazionale e residenza del direttorio fino
il 27 aprile 1799.
Vennero soppressi enti religiosi, parrocchie e
chiese: fra queste San Gottardo in Corte.
L’8 maggio
del 1802 il vicepresidente della Repubblica Italiana, ‘cittadino Melzi’,
con suo decreto ordinò che si ripristini d’ora in avanti il servizio della
Cappella parrocchiale di San Gottardo in questo Palazzo di Governo, come in
passato. E
nominò il cittadino
sacerdote Andrea Utz, ora coadiutore alla parrocchia di San Marco, avuto
riguardo ai servizi già da voi prestati in addietro qual cappellano maggiore
presso la detta cappella 37 […].
Il
volumetto rilegato riservato alle nascite principesche non registrò più alcun
battesimo.
Infatti,
quando al – ‘cittadino’ Gioacchino
Murat, comandante dell’armata d’Italia, nacque un figlio, don Andrea Utz annotò
nel registro comune della parrocchia: 24 maggio 1803, battesimo di
Napoleone Francesco Luciano.
Per
i figli che nacquero a Milano da Augusta Amalia di Baviera e da Eugenio
Beauharnais si ricorse ad un nuovo registro
intestato: Regium Dypticum – in Archivio
– Magnae Eleemosynierae – Regni Italiae – Asservandum. E il primo atto che vi compare è quello
riservato a Giuseppina Massimiliana Eugenia Napoleona. L’anno successivo il
Vicerè d’Italia, Eugene Napoleòn, come egli si firmava, stabilì per decreto il
cerimoniale da seguire per il battesimo. I relativi verbali vennero stesi e
firmati dal Melzi, ora duca di Lodi e cancelliere del Regno. Il battesimo della
secondogenita di Eugenio, Ortensia Eugenia Napoleona, venne impartito non nella
chiesa di San Gottardo, ma nella grande sala dell’appartamento della Viceregina,
eseguendo quanto stabilito nel decreto. Il cerimoniale del 1812 per il
battesimo del terzogenito di Eugenio, Augusto Carlo, risultò ancora più
elaborato. Fu l’anno in cui Napoleone
divorziò da Giuseppina Beauharnais per sposare Maria Luisa d’Austria, mentre
Eugenio si trovava in Russia alla guida dell’Armata d’Italia.
Finisce anche l’impero napoleonico e il 7
aprile 1815 si costituisce il Regno Lombardo Veneto.
Nove anni più tardi il parroco Utz riapre il
registro delle nascite sovrane con i figli del fratello dell’imperatore, l’arciduca
Raineri, e di Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella di Carlo
Alberto. E lo chiude con la
registrazione dell’ultimo della loro numerosa prole, Massimiliano.
Di tutti i principi, nati a Milano, dei quali
venne registrato qui l’atto di nascita; in nessun registro della parrocchia di
San Gottardo, fu segnata la loro data di morte, se non di pochi infanti.
L’arciduca o vicerè Raineri arrivato a Milano
il 24 maggio 1818 l’abbandonò il 17 marzo 1848.
L’arciduca Massimiliano, che prese il posto di
Raineri a Milano il 6 settembre 1857 come governatore del regno Lombardo-Veneto
accompagnato dalla moglie, principessa Carlotta del Belgio, abbandonò la città
il 20 febbraio 1859 senza lasciare un cenno nei registri parrocchiali.
A Italia unita
A Casa Savoia passò anche il Palazzo reale con
la chiesa di San Gottardo in Corte.
Maria Adelaide, figlia dell’arciduca Raineri,
nata o nel Palazzo reale di Milano o nella Villa reale di Monza, e andata sposa
a Vittorio Emanuele II nel 1842, morì, però, senza poter fare ritorno in questa
città.
Con la prima guerra mondiale i problemi per il
Paese crebbero.
Le condizioni dell’immediato
dopoguerra consigliarono la Corona a rinunciare alla Villa ed al Palazzo Reale
(ex ducale), i quali vennero dati in uso e manutenzione al Comume […] di Milano
38 .
Don
Giulio Cantù, preposto parroco di San Gottardo nel Palazzo reale, ricevette il
29 marzo del 1922 dalla Sovraintendenza alle Gallerie di Lombardia un quadro a
olio su tela del secolo XVIII rappresentante la Flagellazione –altezza m.1,96,
larghezza m. 1,19 – per collocarlo nella chiesa di San Gottardo.
Nel
1923 vi fu un altro restauro della torre di cui rimangono le foto con i
ponteggi per il consolidamento della parte finale della cuspide.
Tra
aprile e luglio del 1926 si procedette al restauro del fianco della chiesa:
lavori di isolamento della parte monumentale del palazzo reale.
Nel
1927 venne sistemata la nuova facciata posteriore del Palazzo reale e della
chiesa. Dal mese di agosto il dottor don Rinaldo Giolli fu il parroco di San
Gottardo, cappellano di Corte 38 .
Fu negli anni 1927-1928 che si decise di
collocare il portale della chiesa su quella che sarebbe stata la via Pecorari.
Sorsero incertezze sull’esecuzione del
progetto, alle quali seguì uno scambio di corrispondenza all’interno della
Sovraintendenza e di questa con il Ministero dell’Educazione di cui riporto
qualche stralcio.
Milano, 11 gennaio 1927 - all’arch.
Perrone Luigi
Ella ricorderà che, essendo
Lei e la Commissione dei Monumenti favorevoli a collocare sul fianco della
chiesa di S. Gottardo il portale e l’occhio dell’antica facciata ed essendo io
contrario, io me ne rimisi – non volendo sovrapporre la mia opinione a quella
degli altri –al parere del Consiglio Superiore. Il Consiglio Superiore venne
qui, vide e non espresse alcun giudizio. Allora, tempo fa io ho sollecitato una
risposta: il Ministero mi ha chiesto di mandare ancora grafici e fotografie ed
io li ho rimandati; quando ora giunge una lettera di cui io veramente non so
rendermi ragione. Vegga anche Lei.
Se chiedono il parere nostro
sopra l’opportunità della collocazione del portale e dell’occhio, ormai ne
hanno più che a sufficienza dopo la relazione stesa da Lei in data 21.1.1927,
dopo il voto della Commissione dei Monumenti e dopo le mie note del 15 marzo e
del 12 aprile […] E. Modigliani, “ Sovrintendente
all’Arte medioevale e moderna delle Provincie Lombarde.”
Maggio 1928: […]è in progetto la riforma di Palazzo Reale per
la sistemazione dei nuovi uffici comunali […] sulla nuova via prospetterà il
fianco trecentesco della chiesa di San Gottardo, convenientemente isolato e
restaurato
40 […].
In questi anni iniziò per il centro di Milano
un rimaneggiamento tale che rispetto a quello verificatosi nei secoli
precedenti fu più radicale. […] il
centro di Milano negli
scorsi secoli subì qualche timido e modesto rimaneggiamento che non ha
nulla a che vedere coi nostri poderosi sventramenti […]
scriveva, infatti, Alessandro Visconti in
Milano, Rivista del Comune, nel 1928.
Il 7 giugno 1928 Lodovico Pogliaghi
(1857-1950), scultore, pittore e scenografo, che ha curato, tra l’altro, la
porta centrale del Duomo di Milano, così si rivolgeva all’: Onorevole Direzione Generale per le Antichità e
le Belle Arti.
Il giorno 23 maggio, come da
incarico avuto, ho visitato in Milano la Chiesa di S. Gottardo in compagnia
dell’ Architetto Calzecchi della Regia Soprintendenza per esaminare in posto i
due quesiti che si presentano per la collocazione dell’antico portale della chiesa
e del sovrapposto rosone e sui modi
di provvedere alla conservazione
dei preziosi resti
d’affresco scoperti alla base della torre della chiesa.
Sul primo tema assai
opportuna la proposta della stessa Soprintendenza, di collocare i marmi rimastici del portale e della
rosa sulla parete esterna del lato
destro della chiesa verso la pubblica
via e precisamente sulla campata più vicina all’antica facciata avendo però
riguardo che nell’applicazione dei marmi, invece che posti a fior di muro come in origine dovevano essere, siano posti
con sporgenza maggiore atta a dimostrare
che la collocazione loro non è
l’originale. E’ superfluo aggiungere che la porta così applicata non avrà mai
funzione riservata già a porta secondaria. La cortina originale che si scoprirà
sotto l’intonaco sarà, spero, un armonico ai marmi del portale e della rosa.
La conservazione del grande
affresco alla base della torre presenta invece serie difficoltà. Del dipinto,
assai rovinato, poco si può giudicare dalle frammentarie e dure fotografie qui
unite, il valore suo oltre che dalla fattura accuratissima dei particolari, sta
nella grandiosità della composizione rara a quei tempi = esso misura m. 5.10
d’altezza e m 4.80 di larghezza = e rappresenta la scena della Crocefissione.
Pur troppo la parte superiore della figura del Cristo è perduta ma il
ricchissimo gruppo di figure nella parte sottostante appare ancora in tutto il
suo vigore di composizione ed il documento
se non unico, rarissimo certo dello splendore d’arte del primo periodo
visconteo. Il modo in cui è condotto il dipinto, la stessa ricchezza di ori a
rilievo sparsi sui panni delle figure attesta ch’era pittura destinata ad
ambiente chiuso né il nostro clima permetterebbe di conservarlo indifeso,
all’atmosfera.
Due difficoltà si presentano
subito: quella di creare un ambiente per difenderlo, e quella di liberarlo,
potendo, dall’ingombro della sporgenza della piccola cappella ora esistente e
di recente costruzione.
Visitato a tale scopo
l’interno della chiesa e constatato il mediocrissimo valore d’arte della
cappella stessa consistente nella sola pala d’altare dedicato a S. Gottardo ed
ufficiata una sol volta all’anno, non esito a consigliare di rientrarla a fior
di muro con pochissimo danno della interna simmetria della chiesa e concorrendo
in ciò anche l’Autorità ecclesiastica.
Liberato in tal modo il campo
esterno, il dipinto si presenterà nell’intera sua dimensione e completato nella
parte superiore dalla ricca bordura
ornamentale che lo contorna, potrebbe
esser difeso nell’atto da appropriata sporgenza quale potrà certo studiare la
R. Soprintendenza, atta ad accogliere i cristalli che forzatamente bisogna
impiegare perché i preziosi resti non vadano in pochi anni a deperire. Sarebbe
così evitata la difficoltà quasi insormontabile di creare in posto un nuovo
ambiente, né credo che i cristalli, data la loro collocazione in iscorcio,
rispetto alla pubblica via, non porteranno il difetto di far specchio con
effetto poco decoroso pel luogo monumentale. [...].
L’affresco sulla base del campanile verrà staccato nel 1953 e successivamente collocato sulla parete
della controfacciata.
3 novembre 1928: I lavori per la sistemazione del fianco di S.
Gottardo (Palazzo Reale) hanno subìto da tempo una sosta a causa di talune difficoltà per risolvere le
quali fu chiesto il parere del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti
[…] Pertanto conviene riprendere senza indugio i lavori, per portarli quanto
più rapidamente sarà possibile a termine, nell’interesse della Chiesa e della
generale sistemazione prevista nella Convenzione 4 marzo 1925 tra il Ministero dell’Istruzione
e codesto on.le Municipio. A tale scopo mi sembra necessario che si esamini da
rappresentanti del Municipio e della Sovraintendenza la situazione finanziaria
sulla base della clausola D della citata Convenzione e delle spese sinora
occorse. Come è noto, con detta clausola il Comune di Milano si obbligava a
provvedere a sue spese alla completa sistemazione della parte di Palazzo Reale
prospiciente i nuovi Uffici Comunali, nonché alla sistemazione della facciata
che risulta dopo la demolizione parziale
dell’avancorpo del Palazzo Reale dalla parte di via Rastrelli. Era calcolato
l’importo di tali sistemazioni come non inferiore ad un milione di lire: e le
sistemazioni stesse fu stabilito che si eseguissero d’accordo tra l’Ufficio tecnico
municipale e la Sovraintendenza, sotto riserva dell’approvazione del Ministero
dell’Istruzione […]. “Il Sovraintendente 41 “.
Il
5 febbraio 1930 re Vittorio Emanuele III nominò cappellano e parroco di Corte
il sacerdote Francesco Soldini.
E il giornale L’Italia del 17 febbraio 1931
diede la notizia che in quel giorno sarebbe stata impartita <La benedizione
alla nuova facciata di San Gottardo al Palazzo Reale>.
.
1 Enciclopedia cattolica, vol.VI, p.962, Città del Vaticano, a. 1951: <San Gottardo, benedettino, vescovo di
Hildesheim, successore di S. Bernward, nato nel 960 e morto il 5 maggio 1038…La
sua festa ricorre il 4 o 5 maggio. Molte chiese e santuari gli sono dedicati…Fu
il primo bavarese canonizzato da papa Innocenzo II nel 1131 […] >
G. Bognetti, Nascite sovrane in Milano (1778-1830)
–dalla Miscellanea pubblicata in occasione delle nozze Scherillo-Negri , Milano, 14 settembre 1904, p. 645.
2 bonvesin de rippa, De magnalibus urbis Mediolanis (Le meraviglie della città di Milano)
a cura di F. Novati, Roma1908, cap. V, p. 70 (nel 1898, sempre a Roma,
Francesco Novati aveva già pubblicato: Bonvicini de Rippa, De magnalibus urbis
Mediolani). E galvano fiamma, in Chronicon extravagans, edizioni Ceruti,
Torino 1869, p. 14. Di Galvaneo Fiamma era comparso, sempre a Torino nel 1868,
Chronicon extravagans e Chronicon majus.
A distanza di due secoli gran parte della Milano del
XIV secolo descritta dal Fiamma sparirà per volere del governatore Ferrante
Gonzaga.
3 Bartolo
di Sassoferrato (1314-1357), professore a Pisa e a Perugia, giurista i
cui Commentari al Corpus Juris ebbero in alcuni Paesi valore di legge, nel De tyranno scrisse a proposito dei
vicari imperiali: ”Come l’accorto nocchiero butta a mare le cose più vili pur
di salvare nella tempesta le più preziose, così anche il principe transige con
il tiranno e lo fa vicario…”
5 In l. a. muratori, Rerum Italicarum
Scriptores, Liber Gestorum in Lombardia
per et contra Vicecomites, a cura di F. Cognasso, Bologna 1927. In l.
muratori, Rerum Italicarum
Scriptores. XVI azarii petri, Chronicon de gestis
Principum Vicecomitum, Mediolani 1771.
Pietro Azario, nato a Novara nel 1312, fu al servizio dei
Visconti prima nell’ufficio contabilità delle Compagnie di ventura, poi nella
cancelleria di Tortona e Piacenza e fra il 1362 e il 1364 scrisse la sua
cronaca.
6 p.
mezzanotte, Degli archi di Porta Romana, <Archivio Storico Lombardo>, a.
XXXVII, f. XXVIII (1910), p. 425
7 g. de
castro, La storia nella poesia popolare milanese, <Archivio Storico
Lombardo>, s. I, vol. IV, 12 (1887),
p. 828.
8 t. celona – g. beltrame, Navigli
milanesi. Storia e prospettiva, Provincia di Milano, 1982, p. 26.
9 bonvesin de rippa, De magnalibus urbis Mediolani (Le meraviglie della città di Milano)
a cura di F. Novati, Roma, 1908, cap. V, p. 6
13 Milano vecchia ossia spiegazione di alcuni nomi ed epiteti
applicati a vecchie vie e costruzioni
della città, per cura del Sac. p.
rotta, Agnelli, Milano 1895, p. 7.
14 Milano, Archivio di Stato, Lettere ducali 1401-1403, fol. 103.
Registri L. D.
15 Milano,
Archivio di Stato, Culto p.a., cart. 1072; Patronati regi (1524-1799), cartt.
2126-2127 e Fondo Religione, p.m.,
cart. 878.
16 m. magistretti, Due inventari
del Duomo di Milano del secolo XV, <Archivio Storico Lombardo >,
(1909), pp. 296-297.
18 c.torre (1649-1727), Il
ritratto di Milano, “diviso in tre
libri, stampato in Milano per gli Agnelli nel MDCCXIV, con privilegio”, p.
366. Vedere anche v. forcella, Iscrizioni delle Chiese e degli altri edifici di Milano dal sec. VIII
ai giorni nostri, Bortolotti di Prato, Milano 1889-1893, vol. I, pp. 71- 76 (Iscrizioni in S. Gottardo).
20 Archivio
di Stato di Milano, Culto p.a., cart. 1074, Arredi sacri 1700-1800. Esistono,
inoltre, tra il 1750 e il 1814: una lettera con inventario di tutti i mobili
della chiesa; un inventario con descrizione oggetti e, infine, un inventario dettagliato di argenteria,
ornati ecc.
21 Milano,
Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, Fondo località milanesi, cit. n.7.
22 a.m.romanini, L’architettura lombarda nel secolo XIV. Storia di Milano,
<Fondazione Treccani>, 1955, vol. V, parte III, pp. 640-651.
23 Sovrintendenza
Belle Arti di Milano, cart. 373, Relazione dell’arch. Luigi Perrone,
gennaio 1928. E f. reggiori, La
ricomposizione del mausoleo di Azzone Visconti in S. Gottardo al Palazzo,
in < L’Italia>, Cronaca di Milano, 9 febbraio 1928.
25 Milano,
Archivio Storico Diocesano, Archivio
Spirituale, Visite Pastorali, vol. XXX, Metropolitana XXX-403 e XXXI-404, anno
1569, S. Gottardo in Corte o al Palazzo,
nn. 4-5-6. E Fondazione Cappellanie, XLIX, 12.
26
Milano, Archivio di Stato, Culto p.a., cartt. 1080 e 1082, Cappella ducale (1472-1796) A-Z. e veteres scripturae.
27 Milano,
Archivio di Stato, Culto p.a., cart. 1080, Spese, 1579-1720 e Autografi, cart. 85, f. 49 (Pellegrino Pellegrini); f. 59 (Giuseppe
Piermarini). Questa cartella contiene pure 24 pagine di copie moderne di
documenti pubblicati da F. Malaguzzi Valeri.
Del Settecento anche in Milano, Archivio Storico
Civico, Fondo Località, cit, nn. 7 e 18. notevoli gli elenchi delli Musici della Real Cappella […] Cappella
di Corte […]: maestri di Cappella,
musici soprani, contralti, tenori, bassi […] organisti […]
28 Milano,
Archivio di Stato, Culto p.a.,
cart.1080.
29 Le ore
erano le cosiddette italiche. Il
giorno iniziava al tramonto del sole ed era diviso in 24 periodi di uguale
durata. Un rintocco segnalava la prima ora della notte, 24 rintocchi il
tramonto. La cerimonia deve avere avuto
luogo sette ore prima del tramonto del sole (17+7), vale a dire intorno a
mezzogiorno.
30 Milano,
Archivio di Stato, Culto p. a., cart. 1082 e ascmi,
cart. 258, Servizi di Corte
(1569-1805).
32 e. tea, Architetture e decorazioni nelle
chiese di Milano, 1952, pp.
46-47. Per la descrizione del Coletti:
pp. 47-49.
Nell’Archivio di
Stato di Milano esiste un fascicoletto di 27 fogli nei quali vengono
descritti minuziosamente questi lavori.
35 Milano,
Archivio Storico Civico, Raccolta
milanese –dicembre 1889 – Palazzo di
Corte. Bozza di stampa a firma di Luca Beltrami.
36 Milano,
Archivio di Stato, Culto, p. a., cart. 1072 e Culto, p.m., cartt. 1549, 1550, dignità e cariche e 1551, spese e
Fondo Religione, Amministrazione, p.m., cart. 878, Chiese di Milano.
40 Milano,
Archivio Storico Civico, Comune
di Milano, Monografia
dell’Ufficio Studi, 1928, p. 236. Il rinnovamento del centro cittadino; il grande piano regolatore del 1928.
[…]Altro collegamento si avrà tra la via Paolo da Cannobio, la nuova via fra il
Palazzo Reale e il Palazzo degli Uffici e la via Larga, collegamento che potrà
dare luogo ad una interessante sistemazione del gruppo monumentale circostante
al campanile di S. Gottardo, p. 245.
da: codice Vaticano-Urbinati 277 anno 1472 (f.° 7 dal fine)
disegno dell'arch. Marcellino Segrè, primo collaboratore del Piermarini
da: Atlante Zuccagni-Orlandini, Attilio 1845
di Belviso Carlo Antonio - 1814
da: Atlante Zuccagni-Orlandini, Attilio 1845
di Belviso Carlo Antonio - 1814
Complimenti per l'ottima ricerca storica
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