martedì 19 novembre 2013

San Gottardo in Corte, piccola chiesa nella Storia di Milano, 1980

  

ho condotto questa ricerca d'archivio sulla chiesa di S. Gottardo in corte, coadiuvato nella ricerca bibliografica e delle immagini da mia moglie lelia Romano, all’inizio degli anni 80 del Novecento tempo in cui mons. Ernesto Pisoni ne era il Rettore .

                                                           Floriano Pirola

SAN GOTTARDO IN CORTE
       UNA PICCOLA CHIESA NELLA STORIA DI MILANO

 … San Gottardo - una chiesuola che, per esser quasi tutta rinchiusa fra i corpi di fabbrica del palazzo reale di Milano pochi, anche fra i milanesi, avrebbero forse notato, se al di sopra di essa non s’innalzasse il campanile di Azzone, purissimo gioiello d’arte medievale1.
Questa piccola chiesa sorse in Porta Orientale, accanto all’Arcivescovado e all’antica basilica di Santa Maria Maggiore, inserita nel complesso del Broletto vecchio, che, con Azzone Visconti, divenne il Palazzo signorile.  
Intorno a questa chiesa si é consumato l’ultimo atto del Comune, è iniziata la Signoria ed é continuata  la Storia di Milano.

Il Broletto vecchio

Nel secolo XII, dopo che gli arcivescovi di Milano cedettero ai consoli della città i poteri civili, l’assemblea si radunò in brolio, spazio  attiguo alla sede episcopale, conosciuto come Brolio dell’arcivescovo, o Brolo grande. Brolium, sia che il termine abbia una derivazione celtica o greca come è stato scritto, nel latino medievale serviva ad indicare  un’ area verde recintata. Ma il nostro Brolo comprendeva edifici, giardini ed altri spazi: dall’ Arcivescovado, a Santo Stefano, a San Nazaro e alle mura romane. Fu, dunque, nella prima parte di questo secolo che  venne edificato l’edificio consolare, detto nella forma diminutiva Broletto. Galeazzo II Visconti, verso la metà del 1300, apporterà al Broletto non pochi rifacimenti arrivati fino a noi. Il Broletto vecchio fu l’antica residenza del Comune presso il palatium ed il Broletto dell’arcivescovo e la Chiesa metropolitana.  E con tale denominazione passò attraverso la crisi delle istituzioni comunali e l’affermazione della signoria: il rovesciamento del governo comunale giudicato instabile, causa di disordine e di conseguenza non più idoneo a sviluppare l’egemonia milanese che si era rafforzata dopo la pace di Costanza  fino alla discesa di Federico II in Italia.  Il terziario Bonvesin de la Riva, poeta lombardo del Duecento, celebrò quell’egemonia nel 1288, sul finire del periodo comunale. Nella sua minuziosa descrizione delle Grandezze di Milano, nella sua topografia, demografia ed edilizia, si legge: ... Perambulentur universe mundi civitates, vix aliquis tanti tamque mirabilis pulcritudinis opus inveniret…Habent singule binas turres…mura nelle quali, si aprono sei porte e sei pusterle   E, al principiare della Signoria, nel suo zibaldone, Chronicon extravagans,  Galvano Fiamma:… Perambulentur universe mundi civitates, nec poterit inveniri tanti tamque mirabilis pulcritudinis opus, loda il tempo passato della grande Milano, deplorandone il lusso e le mode importate da fuori. 2

Dal Comune alla Signoria

Per un certo periodo il Comune fu  ben accetto ai milanesi. Ma le continue guerre contro le città lombarde alle quali essi diedero il proprio contributo, le aspre lotte tra le diverse categorie di cittadini e dei partiti che pesarono ulteriormente sulla città, ne logorarono lo spirito di sopportazione. E mentre il Comune naufragava tra le critiche di inadeguatezza  ai tempi, di causa di mali più che di vantaggi  i milanesi speravano nel nuovo: una situazione nuova che alcune famiglie emergenti in città interpretaranno.  In un antagonismo che sfocerà in conflitto armato tra le famiglie Della Torre e Visconti e i loro rispettivi seguaci. Alimentato dalle condizioni  economiche, sociali e politiche sorte a Milano nel periodo comunale. Situazione che porrà termine  al Comune dando principio alla Signoria, sistema nuovo di potere, che si imporrà con la forza e con la forza si manterrà,  approfittando dei contrasti interni e dell’assenza del potere imperiale.  
L’ascesa al potere dei nuovi Signori passava attraverso l’istituto del podestariato o l’ufficio del capitano del popolo. Chi vi perveniva  era già  signore della città, anche se esercitava il potere   quale anziano del popolo  come Martino, nipote di Pagano. Sarà con Filippo Della Torre, nominato podestà perpetuo che si entra nella Signoria, che Napoleone o Napo, nominato anziano a vita, consoliderà.  Nel 1287, dieci anni dopo la sconfitta di Napo Della Torre a Desio, Matteo Visconti  verrà fatto eleggere dallo zio, l’arcivescovo Ottone, capitano del popolo. E nominato Vicario imperiale nel 1294.
I Della Torre governarono sostenuti da una fazione guelfa e dalla borghesia composta da grandi e piccoli mercanti .  I Visconti, sostenuti da una fazione ghibellina e dalla nobiltà cittadina e rurale. I due nomi guelfo e ghibellino designavano di solito il partito favorevole al papato e quello favorevole all’ impero. Ma dietro queste voci si celavano realtà diverse, lotte di predominio tra famiglie a cui poteva seguire l’avallo di imperatori o pontefici.    
Dal Signore la Città attendeva un governo capace di portare alla pacificazione interna, all’ ordine ed alla sicurezza ed a garantire i traffici di fronte all’avanzare della società capitalistica già ricca dell’esperienza comunale.  Questa forma di governo, che dagli ultimi decenni del Duecento ai primi del Trecento introdusse la Signoria, venne definita da giuristi del tempo “di un tiranno”,  vale a dire un governo tecnicamente di fatto, senza titolo giuridico.  Difatti, una volta raggiunto il potere, il Signore ne cercava  la legittimazione, il riconoscimento di un imperatore o di un pontefice il più delle volte pagando grosse somme di denaro 3.  E assoldando professionisti della guerra, che diedero vita alle Compagnie di ventura.
Per il raggiungimento della nuova condizione economica e politica si erano battuti, dunque, i Della Torre incalzati dai Visconti, che la battaglia di Desio nel 1277,  vinta dall’arcivescovo  Ottone Visconti, fece prevalere.
Il Trecento inizia bene per i Visconti. Anche se, nel settembre 1302, li vedrà di nuovo banditi da Milano con i loro partigiani. Il potere dei Visconti sarà così interrotto dal ritorno dei Della Torre fino al 1310.  In questo anno Enrico VII  di Lussemburgo tentò, a Milano, di unire con giuramento di pace la famiglia dei Visconti a quella dei Della Torre. Fallito il tentativo, entrambe le famiglie vennero  bandite. Ma i Della Torre perdettero definitivamente la signoria, e le loro case vennero distrutte: l’ attuale via Case rotte ricorda quell’evento.  Mentre l’anno seguente lo stesso imperatore, incoronato re d’Italia in Milano, richiamò Matteo  conferendogli la dignità di Vicario imperiale  della Città e del suo contado, dietro l’ esborso di 50.000 fiorini d’oro.
E sarà lui il Signore di Milano, eletto  dominus et rector generalis dal Consiglio generale della Città, che confermerà lo stato  visconteo. 4 Lui, che comprava gli uomini più che affrontarli con le armi.  
Ombre e  luci del periodo visconteo si alternano nella cronaca  di Pietro Azario 5,  pur fra errori storici ed equivoci, espressioni e giudizi  su avvenimenti, costumi e personaggi.  Dei Visconti egli scrisse pure: “multa dicebantur, quae non faciebat; multa faciebat, quae non dicebantur”.  La verità su come e che cosa realmente avvenne nella  Corte viscontea é morta, però, insieme ai personaggi che si alternarono al potere.
E’ questa una delle ragioni per cui nella storia le cose sono state chiamate raramente con il loro nome:  la sostanza è una cosa; l’appellativo è un’altra. Senza dimenticare che la parola del vincitore diventava, e diventa, così verità. Naturalmente chi aveva vinto era in grado di imporre la sua teoria, la sua volontà. Il vinto aveva torto perché era stato vinto. E scoprire la verità vera non era facile.

 Azzone Visconti

Azzo o Azzone  nacque a Ferrara nel dicembre 1302 da Galeazzo Visconti, primogenito di Matteo I e da Beatrice di Obizzo d’Este, vedova di Nino Visconti di Gallura, esuli. Il nome Azzo si tramandava nella casata estense: Azzo VII era stato podestà di Ferrara nel 1240 e, in quel momento della Città era Signore Azzo VIII, fratello di Beatrice.  Il matrimonio del ventitreenne Galeazzo con  Beatrice di nove anni maggiore di lui, venne sontuosamente celebrato nel 1300 in Broletto. Questo matrimonio contribuì a consolidare lo stato sociale della famiglia Visconti.
Azzone visse la prima parte della sua esistenza agli ordini del padre Galeazzo e del nonno Matteo, che papa Giovanni XXII, in momenti diversi, colpì con la  scomunica insieme all’intera famiglia, a Milano ed alle città ad essa soggette.
A Matteo, come ai suoi successori, il pontefice non perdonò la politica e soprattutto le confische e il saccheggio dei beni ecclesiastici utilizzati per il rafforzamento della Casata e del suo potere politico.
Matteo muore nel 1322 e Galeazzo, Signore di Piacenza dal 1311, é acclamato suo successore nella Signoria di Milano.  Mentre Piacenza gli si rivolta contro, costringendolo alla fuga assieme al figlio. Tre anni più tardi, Azzone occupa per il padre Borgo San Donnino, ottenendo poco dopo la Signoria di Cremona.   
L’imperatore Ludovico il Bavaro, sceso in Italia nel 1327, entra in Milano e in Sant’Ambrogio cinge la corona ferrea.  Fa incarcerare Galeazzo e Azzone nelle prigioni del castello di Monza, che lo stesso Galeazzo aveva fatto costruire, dove rimangono fino agli inizi del 1328.  
Liberati, Galeazzo Visconti muore a Lucca e Azzone gli succede nella Signoria.
La moglie di Galeazzo verrà sepolta nella chiesa di San Gottardo nel 1334.
A ventisette anni Azzone diviene Vicario imperiale, versando all’ imperatore 60.000 fiorini d’oro, e assume il governo di Milano.  
Preso possesso della città, egli entra subito in trattative con il pontefice tramite i cugini d’Este e ottiene la sospensione dell’interdetto. Inimicandosi l’imperatore che per un mese pone l’assedio a Milano. Il Bavaro si allontanerà dalla città solo alla consegna da parte del Visconti di altro denaro.  
Dopo questo assedio egli provvide al rafforzamento delle fortificazioni, sostituendo gli argini di terra, il terraggio, con solide mura, rafforzando e in parte rifacendo le porte…  delle quali  il Barbarossa l’aveva privata nel 1162.  Porta Romana, o porta potestatis secondo il Fiamma perché vicina alla sede del podestà nel Broletto vecchio, rimase incompiuta nei suoi due archi. Azzone fece chiudere quello a settentrione ed erigere sopra l’altro una torre chiusa da ogni lato, conosciuta con il nome di Comuna, e verso la città lo munisce d’un recinto merlato a guisa di rivellino e ne difende l’accesso con triplice saracinesca 6.  Azzone demolisce l’ultimo residuo nominale del Comune, facendosi conferire ufficialmente la Signoria con il titolo di dominus generalis.    Egli proseguirà nel tentativo di avvicinamento alla Santa Sede con l’invio di ambasciatori  al pontefice in Avignone senza ottenere la definitiva assoluzione da Giovanni XXII, che  continuerà a diffidare della  politica viscontea. 
Nel 1330 Azzone è acclamato Signore di Milano. In questo stesso anno sposa Caterina di Savoia Vaud.  
Definito dagli storici uomo di indole mite, prudente, nella sua esistenza non proprio tranquilla, il Visconti si circondò di artisti.  Giovanni De Castro scrisse della famiglia Visconti: é vero che i Visconti chiamarono a sé artisti e poeti; ma lo fecero, per lo più, a pompa di protezione e perché ce n’era l’uso…Fu una signoria tutta militare, e se togli Azzone e l’arcivescovo Giovanni 7 […].
Actius Vicecomes, secondo il Vasari, avrebbe chiamato a Milano nel 1335 Giotto, e Giovanni di Balduccio, pisano, considerato l’artefice del suo monumento funebre. Alla sua corte chiamò pure uomini colti e ministri, come noi li definiamo, capaci.  Uno di questi fu Francescolo Pusterla, la cui vita, nelle lotte senza esclusioni di colpi in quei tempi non temperati da profonde idee morali né da convinzioni religiose e in cui l’arbitrio del Signore era legge, venne sacrificata insieme a quella della moglie Margherita Visconti, cugina germana di Luchino e di Giovanni, sull’altare della ragion di stato tra il 1340 e il 1341e che Cesare Cantù immortalò. 
Si susseguono guerre e tregue.  Il Signore di Milano aderisce alla Lega di Castelbaldo. Partecipa alla vittoria di Ferrara; occupa Bergamo,Treviglio, Vercelli e Cremona.  Alle quali seguono Como e Lecco. A Lecco, che suo nonno Matteo, sconfitti la prima volta i Della Torre, aveva distrutto nel 1296, Azzone tra il 1335 e il 1338, vi fa costruire un ponte a otto arcate  che, con la via che ad esso conduce, porta ancora il suo nome.
Occuperà, quindi, Lodi, Crema, Caravaggio, Romano, Borgo S. Donnino, Piacenza e alla fine della sua vita anche Brescia.
La Signoria viscontea venne estesa  dai confini di Verona, dove gli Scaligeri erano alleati dei Visconti, a quelli del Monferrato, dove i Monferrini erano alleati dei Della Torre.  E i Comuni, uno dopo l’altro, cessarono di esistere.

Il governo di Azzone: 1329-1339 

Nel secolo XII, in particolare dopo la pace di Costanza del 1183, a Milano si scavano canali e una serie di rogge delle quali beneficiò anche l’irrigazione dei campi e il funzionamento dei mulini. Dagli inizi del XIII secolo è nota, infatti, l’esistenza del Naviglio Grande, che nel 1211 arriva alle porte della città presso il ponte di S. Eustorgio, non distante da Porta Ticinese 8 .
Azzone, a sua volta, fa scavare canali di scolo delle strade cittadine, cloache, che, dopo quelle romane, lasciarono un segno di un certo rilievo. Il Fiamma accenna a cloacae subterraneae che attraversavano la città, nelle quali scolavano le acque putride, impedendone il deposito lungo le vie. Un condotto fognario all’aperto esisteva già. Era il grande fossato, che circondava le mura fatte costruire da Massimiano al tempo in cui Milano fu capitale dell’Impero Romano d’Occidente, alimentato dal Nirone e dal Seveso e che Bonvesin de la Riva descrive con tanta ammirazione nel suo Magnalibus 9 .  Il Nirone o Vepra entrava in città da Porta Vercellina e il Seveso da Porta Orientale, passando per Porta Romana, terminava in Porta Ticinese.
In un disegno del 25 giugno 1740 compare, come precisa  Dionigi Maria Ferrario, ingegnere Collegiato delle Strade di Milano:  il canale sotterraneo, ossia Cantarana, che  inizia al principio della contrada de’ Restelli dalla parte verso tramontana continuando per longo tratto la medesima contrada risvolta sotto il R. ducal Palazzo, dindi dopo diversi giri, attraversando la piazzetta della contrada detta delle Ore va a sboccare nella Roggia d’aqua longa o sii Seveso di questa Città 10 .  Quella via delle Ore che prese il nome dall’orologio fatto installare sul campanile della chiesa di San Gottardo nel 1335 da Azzone e ben descritto dal Fiamma.  Fu il primo orologio, in Milano, a suonare le ore oltre che a segnarle.   
E quando il 23 ottobre 1455 viene collocato un orologio nel muro del Palazzo della Ragione verso la piazza dei mercanti…L’orologio horarum curie arenghi  che doveva servire di norma per il tempo del nuovo orologio del Broletto, era quello della Torre di San Gottardo 11  .
Continuando l’opera del Comune, che una guerra dopo l’altra aveva interrotto, Azzone fece anche pavimentare le strade più importanti.
Durante il suo governo inizia l’opera statutaria di Milano. Una nuova fonte di diritto: i decreti dei signori di Milano. Vengono compilati statuti, divisi in otto libri: giurisdizione del Comune; uffici comunali, ordinamento criminale e ordinamento civile, provvedimenti straordinari; dazi; mercanti maggiori e mercanti di lana.
I Visconti passano così da capi transitori a sovrani. Sovranità che verrà poi riconosciuta ereditaria.
Azzone, nel 1333, tentò pure di dare ai mercati più antichi di Milano una diversa collocazione: a quello di frutta e verdura che aveva il suo spazio al Verzario, l’attuale piazza Fontana; a quello delle carni, che si trovava nell’area in cui sorgerà la Rinascente ed  a quello del pesce e dei polli, che era verso via Mercanti.
Nel 1336 Azzone fece compiere il lato verso via Orefici con un edificio a portici 12
 Galvano Fiamma in De rebus gestis Azonis Vicecomitis scriveva: in broleto novo, iuxta lobiam marmorea,  (la loggia degli Osii)  lobiam sub diversis arcubus complevit, ubi subtus sunt plura campsorum habitacula. Questi portici si aprivano sotto l’edificio, poi sede delle Scuole Palatine ed a metà del Seicento  Palazzo dei Giureconsulti, e sotto l’altra costruzione ad angolo con le  Scuole Palatine fino al Palazzo della Ragione. In questo stesso anno il Visconti ordinò che, dopo rifatta l’antica basilica di S. Maria Maggiore, nel giorno 8 settembre, in cui si celebra la Natività di Maria Santissima, tutte le rappresentanze delle Città a lui suddite, venissero processionalmente e facessero oblazione nella Metropolitana di ricchi drappi 13 .
Al Signore di Milano si deve altresì l’introduzione, nel 1335, della processione del Corpus Domini.   
E nel 1339 Azzone muore e il popolo di Milano piange la sua morte e segue numeroso il suo funerale. La moglie, Caterina di Savoia Vaud, gli sopravviverà fino al 1388.

La chiesa

Alcuni studiosi non escludono che Azzone abbia fatto restaurare una chiesa che era stata riedificata nel secolo precedente sull’antico battistero di S. Giovanni alle Fonti. Chiesa che per qualche tempo sarebbe stata detta Chiesa del Fonte.
Il Construi mandavit e l’ Ecclesia Fontis che compaiono, come vedremo più avanti, rispettivamente nella terza ed ultima riga dell’iscrizione dedicatoria del 1336,  potrebbero sostenere tale ipotesi.   
Anche se il Fiamma la menziona come Cappella della Beata Vergine e di San Gottardo. Il Signore di Milano aveva dedicato, infatti, la chiesa della sua corte alla Vergine ed a alcuni  Santi, fra i quali San Gottardo, protettore di chi come lui soffriva di gotta.
In mancanza di fonti documentarie rimane l’iscrizione dedicatoria alla quale ho accennato. E la scritta rozzamente incisa  Magister Franciscus de Pegorariis fecit hoc opus  nella base all’interno della torre campanaria, capolavoro dell’architettura delle terrecotte, ad attribuirne la fabbrica al Maestro cremonese.  Non esistono descrizioni del tempio e del campanile dopo la loro costruzione se si esclude quella del Fiamma. Secondo il quale la chiesa di San Gottardo stava fra alte mura ed era ricoperta da tre volte. In essa, egli scriveva con enfasi, si potevano ammirare pitture d’oro e d’azzurro, meravigliosamente eseguite. La cappella principale conteneva l’altare maggiore con tendaggi intarsiati di gemme e di metalli preziosi. Sulle sue pareti erano rappresentati momenti della vita della Vergine.  Le finestre erano bellissime; le pareti del coro erano coperte d’avorio di pregiato lavoro. Vi si ammiravano due grandi pulpiti pure d’avorio. La chiesa contava altri altari con ornamenti d’oro e di seta. E altre parti che il Fiamma sosteneva di non sapere ben raccontare….  Nella sagrestia vi erano calici massicci e vasi di porfido con ornamenti in argento per portare l’acqua santa; molte le reliquie di Santi. Gli ornamenti che vi si conservavano avrebbero avuto un valore, a dir del Fiamma, di oltre ventimila fiorini d’oro….E quelle colonnine alla sommità del campanile che producevano un grande diletto in chi le guardava? Sul campanile stava l’orologio, e il Fiamma ne descriveva il meccanismo.
Il Signore di Milano affidò questa chiesa ai frati di San Francesco.  Come  conferma una  supplica dei frati di San Francesco dell’Ordine dei Minori in data 10 febbraio 1403.  Supplica rivolta al secondo duca di Milano, Gio. Maria, figlio di Gian Galeazzo Visconti morto tra l’agosto e il settembre1402, per ottenere la
riconferma dei privilegi da essi goduti. Ciò avveniva sempre alla morte del principe. Con essa i supplicanti ricordavano al suo successore che il fu Azzone Visconti,  per divozione e certe qual cause, fece costruire una chiesa sotto il titolo della Vergine, quale chiesa ora, 1403, volgarmente detta di San Gottardo situata e chiusa fra i muri dell’abitazione ducale in Milano. Che lo stesso Azone stabilì dimorasse ivi giorno e notte un certo numero di frati del detto Ordine per attendere ai divini uffici, i quali venissero alimentati e provveduti del necessario coi beni di esso Principe. Che in quella chiesa ripose la salma della quondam marchesa genitrice del quondam Azone. Che nella chiesa di San Francesco riposano il capo di San Barnaba apostolo, primo pontefice di Milano e i corpi dei martiri Nabore e Felice, Filippo Martino e Gay e molti altri, con reliquie di santi. E chiedevano che: in luogo dei sussidi ed emolumenti loro assegnati si faccia alla loro chiesa di San Francesco nel giorno della Concezione di Maria Vergine (8 dicembre) un’oblazione del Comune di Milano, dei Collegi o Paratici delle Arti ecc. 14 .
Nella chiesa di San Gottardo predicava un padre cappuccino nella prima domenica di ciascun mese e in tutte le domeniche della quaresima.

La chiesa dopo la morte di Azzone

La mattina del 16 maggio 1412 il duca Gio. Maria Visconti cadde, davanti alla chiesa, sotto i pugnali di congiurati appartenenti alla nobiltà che ruotava attorno alla sua corte. Dopo la sua morte il tempio venne trascurato fino all’arrivo dei  governatori spagnoli che elessero il palazzo a loro sede.            
La famiglia Visconti si era trasferita nel Castello di porta Giovia.
Filippo Maria aveva donato i preziosi paramenti e arredi della chiesa di San Gottardo alla Chiesa Maggiore di Milano.  E il 14 maggio 1434 egli aveva fondato e dotato, per instrumentum receptum à Matheo Marliano Mediolani notario, una cappellania nella chiesa di Santa Maria nella Collegiata di Abbiategrasso, cappellania trasportata nel 1773 nella chiesa ducale di S. Gottardo. In questa, ora  regia arciducale cappella di giuspatronato di S.A.R il Serenissimo Duca governatore (il duca Francesco III di Modena)  venne trasferita nel 1795 anche la cappellania ecclesiastica sotto il titolo della Beata Vergine dell’Albero già nella Chiesa Metropolitana 15 .   
Non si chiude il secolo che da una lettera di Ludovico Maria Sforza del 25 gennaio 1498, conservata nell’Archivio Capitolare e trascritta da Marco Magistretti, …consta pure che gli Ordinari del Duomo, al tempo della repubblica ambrosiana, vennero in possesso di un altro tesoro, meno cospicuo, ma pregevole, quello della cappella di S. Gottardo, del quale ci resta l’inventario, che,  sarebbe stato compilato l’11 agosto 1440, sette anni prima  che i capitani e difensori della libertà di Milano ne trasferissero il possesso…Che la legittimità di questo possesso venisse contestata al ritorno di Milano sotto il domino ducale, appare chiaro dalla lettera ducale citata; ogni contestazione però cessava con questo atto , il quale confermava il trapasso alla chiesa metropolitana e per essa agli ordinari, con l’obbligo a questi di portarsi ogni anno alla cappella ducale, nel giorno 4 maggio sacro al suo titolare S. Gottardo, per celebrarvi la messa solenne; condizione accettata  dagli ordinari, e religiosamente conservata anche al presente 16 .  Del tesoro di San Gottardo trasferito in Duomo è stato identificato soltanto il calice gotico francese della prima metà del XIV secolo con coppa d’avorio istoriata.
I duchi di Milano, succeduti ad Azzone, Signore di Milano, se trascurarono la chiesa di San Gottardo, non la dimenticarono.
Il 3 giugno del 1524, in una Milano colpita nuovamente dalla peste, il principe Francesco II Sforza, duca di Milano, instituì,  davanti a. mons. Giovanni Maria Tonso, arcidiacono della Chiesa milanese e vicario generale del card. Ippolito II d’Este, quattro cappellanie, una delle quali all’altare maggiore della chiesa di San Gottardo situata all’interno della Corte, con un assegno annuo di 200 lire sopra le trecento pertiche di terra del Giardino del Castello. Riservandone per sé e per i suoi eredi e successori il giuspatronato. E al cappellano pro tempore ingiunse l’obbligo di celebrare tutti i giorni e personalmente nella rispettiva chiesa. [… ] è obbligato questo cappellano a celebrare tutti li giorni festivi et il resto  dell’anno era obbligato anticamente conforme la fondazione dire la messa al Senato, li giorni che risiede, et il restante nella chiesa suddetta che per la tenuità di reddito non si celebra sol che al Senato 17 [ …].

 Iscrizione dedicatoria

Agli inizi del Settecento Carlo Torre scriveva:
 …Cotesta Chiesa ducale dianzi d’essere stata à S. Gottardo offerta, chiamavasi San Giovanni alle Fonti, ma in altra architettura, e forse non di tal’ampiezza; era pubblico Sacro Luogo per battezzare  i figli maschi, che per le femmine innalzavasi un’altra Chiesa in vicinanza di Santa Radegonda detta S. Steffano alle Fonti, ed erano amendue Parrocchie. Seguitemi dentro di quella stanza, in cui suole abitare un Sacerdote Prete al governo di questo Ecclesiastico sito; non per altro si ne v’hò io quivi condotti, se non per farvi leggere quella marmorea inscrizione, innestata nell’accennata Torre, da cui trarrete notizia qual sia cotesto Ducal Tempio, e chi lo fece fabbricare.
Alma Virgo Poli devotum suscipe Templum,
Quod Vicecomes Azo Proles generosa Parentum
Construi mandavit nato de semine David,
Ut ubi recta via fiant libamina pia
Princeps Angelorum vocantem respice Chorum
Vos ambo Ioannes Precursor, et Zebedeus
Hunc protegatis, ne sit pro crimine reus,
Inclite Georgi Azonem retine cordi
Eustachi Christi Miles subveniens isti,
Ut custos veri valeat sua iura tueri.
Annis millenis trecentisterque denis,
Sex secum adiunctis finitur Ecclesia Fontis 18. 
Su questa tavola di marmo, posta sulla faccia della torre rivolta a mezzogiorno,  si legge in caratteri gotici l’iscrizione dedicatoria del 1336.
Alla base della Torre stava un grande affresco raffigurante la Crocifissione ricoperto di strati d’intonaco. Scoperto nel corso dei lavori negli anni Venti del Novecento, ciò che ne rimase fu trasferito, restaurato nel tempo ma mutilato della parte superiore, sulla parete in fondo alla chiesa.

Paramenti e ornamenti della chiesa

L’ Inventario delli paramenti, utensili et attrezzi che servono alla Chiesa di S. Gottardo in questo Real Palazzo e sua Sacrestia i quali si trovavano presso al defunto Capellano, Don Antonio Manca, e che al presente sono stati riconosciuti et consegnati al R. don Ascanio Pannuti, confessore, nuovo Capellano e Sacrista della med.ma  Real Capella di S. Gottardo[…] steso il 2 luglio 1707 è costituito da un centinaio di voci. Tra queste:  Due baldacchini portatili, uno di damasco bianco e uno d’ormesino nero, ornati con franza di seta, diconsi donati dal conte di Melgar […] un diadema d’argento che serve a Nostra Signora della Soledad, che si trova riposto nell’ancona dell’altar maggiore e detta Vergine resta riposta in una nicchia di legno inargentato con sue vetriate di cristalli di Venezia e dicesi donati dal defunto Capitano don Michele di Prado […] l’ancona dell’altar maggiore, cioè la superficie consiste nell’immagine di S. Carlo in pittura, sopra di esso un quadro dipinto il Padre Eterno, e sotto al piede di detta Ancona altro quadro dipinto il Sepolcro consistente in due angiolini e dicono esser pitture del Cerano (nel 1613 anche Camillo Procaccini e Paolo Camillo Duchino lavorarono in questa chiesa  al restauro di un dipinto del Cerano) 19; un diadema d’argento fatto a raggi con pietre sfaccettate che serve a Nostra Signora della Concezione all’altare entrando in chiesa a mano manca, con una mezzaluna d’argento a piede della detta Vergine e dicesi donato dalla famiglia del duca d’Ossona [… ] a detta cappella vi è la sua ferrata o sia cancello lavorato d’ottone; all’ancona dell’altare maggiore a mano dritta entrando vi è la sua invetriata che copre l’immagine di S. Gottardo […] cinque quadri che debbono sempre stare esposti per ornamento alla Cappella della Beata Vergine vicino alla porta: l’Annuntiatione, la Visitazione di S. Maria Elisabetta, la Natività di Nostro Signore all’Horto e la Coronatione di spine di Nostro Signore 20 [ …].
Del 1779 è, invece, una tela di Martino Knoller (Steinach1725- Milano1804), raffigurante il Santo patrono, che occupa la cappella a lui dedicata, a destra entrando in chiesa. Il Knoller era stato fatto venire a Milano dal conte Carlo di Firmian e dal 1792 al 1803 fu professore aggregato alla scuola di pittura, a fianco di Giuliano Traballesi (Firenze 1727 – Milano 1812).  Il quale nel 1783, su commissione del marchese D’Adda, orna l’ancona sopra un altare laterale, lungo la navata a sinistra, con l’ “Assunzione di Maria Vergine”. Dello stesso pittore é il Sant’ Antonio sulla parete, entrando in chiesa, a sinistra. Il Traballesi  era stato chiamato a Milano nel 1775 per decorare il ricostruito Palazzo Ducale e subito nominato professore della Scuola di Pittura nella nuova Accademia delle Belle Arti.
Con dispaccio del 30 novembre 1708 S.A.S. il principe Eugenio di Savoia aveva inviato  al magistrato ordinario una carta della Regina, poi imperatrice ( Elisabetta Cristina di Brunswich), in data 24 settembre 1708 nella quale in occasione del suo passaggio per Milano l’11 giugno di quell’anno per recarsi in Spagna ordinava che si provvedesse affinchè la chiesa di S. Gottardo del Regio ducal Palazzo ‘ venisse assistita con tutta decenza e puntualità, sì d’ornamenti come di lumi e polizia’ […]. Fu deciso così di far pagare sul fondo delle spese forzose lire 150 ogni anno al Cappellano di detta Chiesa di S. Gottardo facendone a tal effetto l’opportuno assegno, che doveva incominciare dall’11 dicembre 1708 in avanti 21 […].

L’architettura della chiesa

I secoli passano e lasciano il loro segno. Ma la chiesa viene rimaneggiata e spogliata della sua ricca decorazione nella seconda metà del  Settecento.
Il Vanvitelli e il Piermarini, suo allievo, riformarono radicalmente il Palazzo di Azzone riducendolo nelle condizioni architettoniche arrivate a noi.
Per realizzare lo scalone d’onore del Palazzo reale il Piermarini, tra il 1770 e il 1780, sacrificò l’originaria facciata della chiesa di San Gottardo.   E il piccolo tempio, dopo quel rifacimento, dell’età viscontea conservò ben poco: una navata unica, caratteristica delle cappelle palatine e l’abside, con altare, a cinque lati.
La decorazione interna venne curata da Giocondo Albertolli (Bedano –Lugano- 1742- Milano 1839) chiamato a Milano dal Piermarini nel 1774 per le decorazioni del Palazzo ducale .
L’architettura e l’arte di questa chiesa, che fino al Settecento ebbe la porta grande e la porta del cortiletto […] e sei finestre,  sono state studiate da esperti, tra i  quali Angiola Maria Romanini che sull’architettura scrive: […] occorre in parte far opera di ideale ricostruzione; se l’interno si presenta infatti completamente snaturato dai rivestimenti di vari secoli e in particolare settecenteschi anche l’esterno subì, nel corpo longitudinale, sorte altrettanto grave. La fronte fu distrutta dal Piermarini nel 1770 e le sole parti conservate – il rosone e il portale – furono recentemente ricomposte e collocate sul fianco meridionale della chiesa, mentre il fianco settentrionale è incorporato, come il lato occidentale, nelle costruzioni del Palazzo reale […] I muri perimetrali, dunque, rimasero intatti sotto le varie sovrastrutture e, per quanto la muratura ne risulti poco leggibile, relativamente ben conservato è il fianco meridionale, mentre sopra i tetti rimangono visibili, e non tocchi da restauri, tre frontoni aggettanti, quelli della facciata occidentale ed orientale ed uno sorgente fra la prima e la seconda campata ad ovest. Si trattava di una lunga e stretta aula rettangolare la cui scansione interna in tre campate – riferita dal Fiamma – è accusata all’esterno per via di due stretti e piatti contrafforti che interrompono il cornicione della parete, ad archetti acuti intrecciati, e salgono oltre i tetti formando un frontone monocuspidale di netto aggetto. Tale frontone è ornato come quello di facciata – oggi visibile solo dal lato orientale - da una cornice cuspidale continua ad archetti a sesto acuto intrecciati e sormontati da un sottile nastro laterizio pieghettato, quale è dato ritrovare in numerosi altri edifici trecenteschi lombardi […] Tre pinnacoli in cotto sormontano il frontone di scansione delle campate, mentre la facciata occidentale ne era ornata solo al vertice.  Interessante e tipicamente trecentesca è la fattura di tali pinnacoletti e in particolare di quello ottagonale di facciata, in origine probabilmente ricoperto come gli altri da una piccola cuspide conica a file di denti di sega arrotondati, retta da archetti acuti trilobi all’interno, che ritorna identica nei pinnacoli di base e nel coronamento della torre, ed è peraltro comune nel Trecento padano. Uguale datazione ed uguale ambiente stilistico sono chiaramente accusati dalla decorazione del pinnacolo di facciata, ove otto colonnine angolari in cotto poggianti su breve semipilastro sono collegate, alla base e al capitello, da archetti trilobi a doppia ghiera, mentre i piccoli scomparti così creati recano ciascuno al centro una rosetta o una stella in cotto su fondo imbiancato[…] La testata orientale è aperta da un oculo e lisci sguanci obliqui […] Soli superstiti sono oggi l’oculo e il portale, privo il primo dell’ampia ghiera in cotto lavorato indicata dall’incisione. Si tratta di un ampio oculo dallo sguancio a cordonature in cotto ricamato serranti un torciglione, quale si trova assai diffuso nel Trecento padano […] Il portale a finto protiro è molto vicino a quello di S. Giovanni in Conca a Milano, malgrado sia qui accentuato lo slancio verticale per la minor larghezza dell’apertura e per il triangolo notevolmente più acuto disegnato dal timpano del finto protiro, raggentilito e sveltito anche dalle due colonnette, dal ricco capitello a foglie uncinate, che lo stringono ai lati e ne reggono la cornice cuspidale elegantemente modanata. La stessa raffinatezza di modellatura, che ammorbidisce lo spigolo di ogni membro e ne ondula le facce, ritorna negli sguanci del portale che anche per questa via, come nelle sottili profilature del membro a torciglione, nei trafori dei capitelli a foglie uncinate, nei ricami complessi che fungono da collarino ad alcune colonnette, si rivela appartenente ad un momento successivo a quello del portale di S. Giovanni in Conca 22 […].

 Il monumento funebre di Azzone

In San Gottardo Azzone volle la sua sepoltura. Qui gli venne eretto il monumento funebre, che i Visitatori inviati da Carlo Borromeo dicono sull’altare maggiore. Ma una sua descrizione si ha dopo quasi sei secoli con la Relazione dell’architetto Luigi  Perrone per la Sovrintendenza Belle Arti di Milano nel gennaio 1928 23: Il ritorno, dopo 150 anni, in S. Gottardo a Palazzo Reale del monumento funebre ad Azzone Visconti, levato nel dicembre 1778 nel corso dei restauri al regio ducal palazzo e venduto a un lapidario. 
In occasione dei restauri della chiesa di S. Gottardo in Palazzo Reale, scrive Luigi Perrone, S. E. il principe Trivulzio  ha voluto donare alla chiesa stessa perché venissero  rimessi al loro luogo di origine i preziosi avanzi, da tempo posseduti dalla sua famiglia, del celebrato  monumento funebre di Azzone Visconti eretto nella Cappella palatina, scomposto e disperso  nella seconda metà del secolo XVIII nei rimaneggiamenti della cappella stessa.
Secondo il Litta in Famiglie illustri, voce Visconti, il monumento venne asportato nel 1778 e da un marmoraro ceduto ad un conte Anguissola presso il quale rimase fino al 1807, per passare  poi in proprietà del marchese Giorgio Teodoro Trivulzio. A tutt’oggi, malgrado le ricerche, non si è trovato nell’archivio Trivulzio documento alcuno che confermi o meno quanto il Litta riferisce.
Il Romussi nella sua opera <Milano nei suoi monumenti> riproduce il monumento come era stato ricomposto allora sotto un portico di casa Trivulzio e come vi rimase  sino al 1894 nel qual anno in conseguenza di lavori allo stabile venne nuovamente scomposto e ritirato in apposito locale.
Il conte Giulini nella sua opera “ Memorie di Milano nei secoli bassi “ edita nel 1772 ne parla riferendosi al Fiamma ed accenna che l’arca era già scomposta per aperture praticate nella parete a cui era addossata. Di questo monumento, che si reputa di Balduccio da Pisa e che gareggiava in sontuosità con quelli degli altri Visconti nella chiesa di S. Eustorgio, rimane tutta la parte statuaria, ma della parte architettonica solo le due colonne di sostegno con relative basi e capitelli. Scomparse le mensole portanti l’arca e le membrature dell’arca stessa e scomparso pure completamente il baldacchino cuspidale finemente ricco ed imponente dei monumenti di tal genere. Il disegno riprodotto nell’opera citata del Giulini può darci solo una idea approssimativa del suo insieme senza rassicurarci sulla sua forma reale perché disegno di ricomposizione  di maniera come lo si riterrebbe certamente anche se lo stesso Giulini non confessasse, come ho già accennato, che l’arca al suo tempo era già scomposta. In ogni modo vi si ravvisano le parti statuarie tuttora esistenti e che sono precisamente:
I.                 La statua giacente di Azzone con due figure retrostanti una delle quali staccata.
II.              Due angeli sorreggenti il sudario.
III.         Le figurazioni ad alto rilievo delle dieci città sottoposte alla Signoria di Azzone (Vercelli, Pavia, Bergamo, Cremona, Como, Lodi, Crema, Piacenza, Brescia e contado di Gallura ) composte ciascuna di gruppi di due figure una diritta e l’altra inginocchiata, cinque rivolte a destra, cinque a sinistra verso la figurazione di S. Ambrogio che campeggia nel centro dietro Azzone e Ludovico il Bavaro, inginocchiati.
     IV.          Due statue di Santi (S. Giorgio ed altra Santa indefinibile) che decoravano ai lati il baldacchino cuspidale scomparso e la statuetta collo stemma Visconteo sul vertice del suddetto baldacchino.
V.                Grande stemma Visconteo che doveva incurvarsi fra le mensole sotto il sarcofago. 
VI.          Due statuette di Santi che dovevano fiancheggiare una statua di Madonna con Bambino entro un piccolo trittico sopra il sarcofago e sotto il baldacchino. La statuetta della Madonna colla parte architettonica del trittico è scomparsa sin dall’epoca della prima dispersione o questo si può asserire sulla scorta del Litta il quale riporta il disegno di tutti i frammenti del monumento posseduti dal Trivulzio e che sono quelli tutt’ora esistenti.
Ripresi seriamente dal sottoscritto gli studi per una ricomposizione, usufruendo di studi già iniziati e pressochè concretati molti anni fa dallo stesso, si ritenne ora opportuno praticare scandagli nel luogo ove il monumento era stato eretto in origine contro la parete a sinistra dell’ attuale altare sotto la cupola della chiesa. Nessuna traccia si trovò nel muro manomesso o squarciato da ampi vani di armadi per tutta la sua altezza, ma si rinvennero sotto il piano di pavimento sull’estradosso della volta della cripta, contro il detto muro, i pilastrini di fondazione in muratura per l’appoggio delle due colonne. Tale scoperta ha avvalorato, confermandola, con differenze di pochi centimetri tra le mezzarie delle colonne e dei pilastrini, la soluzione già concretata ed adottata; soluzione del resto la più ovvia perché la più semplice e che ha il solo intendimento di mettere in valore le preziose sculture in un assieme logico ed armonico per il quale pur ricordando schematicamente il baldacchino cuspidale scomparso colla disposizione delle tre statue che lo decoravano non vennero introdotti altri elementi fuorchè quelli indispensabili staticamente privi, però, di qualsiasi carattere stilistico.
La data della ricomposizione ed il bel gesto di illuminato mecenate del principe Trivulzio sono ricordati da una lapide posta fra le colonne del monumento colla iscrizione:
Disiectas sepulchri Azzonis Vicecomitis reliquias
Ubi primum ille  requievit prope aedes gentis suae
Aloysius Albericus Trivultius Vallis Mesulcinae princeps
Anno Domini MCMXXVIII – VI R.F – pie munifice restituit

Nunc habes  o civis optimi gratia viri
Quae ad majorum gloriam fata servavere.

Mentre a sinistra nel presbiterio dell’altare maggiore compare il monumento sepolcrale di Azzone, sulla parete di fronte una grande tela raffigura San Carlo in gloria di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano (1557-1632).  

Visite pastorali

A distanza di un secolo gli effetti della lontananza dei duchi di Milano da questa chiesa incominciano a vedersi: agli inizi dell’episcopato di Carlo Borromeo il disordine é presente in tutti i settori della vita pubblica e privata. E lo stato degli edifici di culto é indecoroso e rovinoso, ricetto anche di animali randagi o di malviventi ( situazione non eccezionale neppure a Milano, centro compreso) 24 .   
Le visite pastorali, rivitalizzate da Carlo Borromeo, evidenziano dal canto loro le condizioni interne della chiesa di S. Gottardo 25.
Lunedì primo agosto 1569 il rev. Ludovico Moneta, familiare dell’arcivescovo, visita la chiesa di San Gottardo, costruita nel Palazzo di Corte, che sta entro i confini parrocchiali della chiesa di S. Michele al Muro Rotto (vicina al Verziere), a poca distanza dal Palazzo arcivescovile e incorporata al tempio maggiore della Città. E descrive le condizioni nelle quali essa si trova.  In questa chiesa, che manca di sacristia, vi sono tre altari: ‘altare maius Sti Gotardi cum anchona pulcherima ex marmore cum pluribus figuris pariter ex marmore. In ea sculptis et intus dictam anchonam dicitur adesse repositum corpus felicis recordationis Azonis olim Mediolani Ducis.’  Nel mezzo della chiesa è costruita la tribuna. Un altro altare, ossia mensa di bel marmo che sostiene quattro colonnine di marmo, è costruito sotto la medesima tribuna dove le Signore della Corte assistono ai divini uffici.  Ai due altari mancano i cancelli di ferro. Il pavimento è di marmo lavorato con arte, ma in qualche parte è rotto. Sulla parete sinistra della cappella maggiore vi era una porta che venne chiusa  e per la quale si scendeva nella cantina ‘hospitii carceratum Capitanei Justitiae Mediolani cum ipsa ecclesia coherentis’. In questa cappella vi è un’arca di legno con il corpo di Filippo Maria, duca di Milano  […]
Il suo campanile è fra i più belli di questa città, con campane. 

Le ‘ordinazioni’ dell’Arcivescovo di Milano

Il 27 dicembre 1569 seguono le ‘ordinazioni’: Noi Carlo Cardinale Borromeo Arcivescovo di Milano [… ] dopo la visita del primo agosto de nostri visitatori fatta della chiesa di Santo Gottardo costrutta dentro il Palazzo della corte dell’ecc.mo principe di Milano, il tutto ben inteso et considerato, havemo stabilito le infrascritte ordinazioni di essequire quanto prima intorno a detta chiesa, cioè: Si  faccino le bradelle alli duoi altari quali suono sotto la tribuna nel mezo della chiesa; Si faccino li uschi alle due ferrade che circondano detti altari, et si tengano serrate. Alli medemi altari si lascino anchora le loro Anchone et se li provegga di candeleri et di paramenti necessarij conforme alle instruttioni generali stampate. Il pavimento della chiesa si accomodi dove  è rotto.
Si faccino le invedriate sopra le finestre dove amancheno.
Et parimente il scurolo che é sotto la capella maggiore et nel quale si discende per una scala quale è in detta sacrestia  et hora si vede convertito in canepa (cantina) da vino, s’accommodi et osservi come conviene.  Si levi la feradella quale è sopra  la finestra che risguarda dalla sacrestia in chiesa, et si stoppi del tutto detta finestra, et si leva il pontile per il quale si ascendeva a risguardar dalla  detta finestra in chiesa. Si faccia parimente l’invedriata sopra la finestra ch’ è verso strada nella sodetta sacrestia. Nella medema sacrestia se li faccia uno guarnerio di legno di noce ben ornato per custodire tutti li paramenti della chiesa.
Se levi l’Archa di legno posta in alto dricto il muro nella capella maggiore, et il corpo li riposto, dentro il quale si dice esser della felice Memoria di Filippo Maria o sij altro Ducha di Milano si trasporti nella chiesa maggiore nel luogo ove son riposti altri simili Duchi. Se levi di presente da l’hosteria il luogo che a mano sinistra è sacrestia con la chiesa apresso la capella maggiore et si relassi per uso di sacrestia come si vede chiaramente ch’è detto luogo insieme con altri che li seguitano già erano a tale uso della chiesa  fatti et destinati, et per ciò s’apri l’uschio che riusciva dalla chiesa in detta sacrestia quel uschio hora si vede murato, et si toppi quello che hora riesce dalla detta sacrestia nell’hosteria sempre senza pregiudizio della chiesa per rispetto alla usurpazione delli detti altri luoghi et non altrimenti come si conoscerà essere di raggione 26 […].
Allora, come in altri periodi di miseria e ‘morbi esiziali’, si scriveva magari molto, ma si faceva, quando si faceva, poco. Tanto è vero che si mise mano ai lavori di restauro della chiesa, affidati all’architetto Pellegrino de’ Pellegrini dieci anni dopo, nel 1579, quando ancora i segni della peste, detta di San Carlo, erano visibili in Milano. L’anno in cui vengono date alle stampe  Le istruzioni e Rituali  per la Messa, secondo il rito ambrosiano. E il Libro delle Litanie maggiori.
 Questa la Descrizione opere disgrosso del ristauramento de la chiesa di santo Gottardo posta in la Corte maggiore di questa Città. Fatta dall’architetto Pellegrino Pellegrini l’8 febbraio 1579. Prima per butar via tutta la calcina vecchia et rimetterla et stabilir de novo et imbiancar tutti li muri de la ditta chiesa, dell’imposta de la volta in giù, conputato li ponti sì di materia come de maestria a tutta spesa dell’incantatore […] Et per lo slargamento delle finestre et rompere il muro vecchio et porvi le ferrate di nuovo con le invidriate et ramate...Et per le invidriate dell’occhio sopra la porta con le ramate et levar via il marmo di mezzo…Et più per murar le due finestre verso le loggie […] Et per il coro dei musici [...] Et per la scala per andare al ditto coro[…] Et per il poggio dell’ecc. signor Marchese […] Et per rimettere il suolo di marmo sotto il muro del coro conforme al resto[…] La qual impresa si puotrà fare in 30 dì lavorativi con l’abondantia d’homini, dopo fatta la provvigione dil denaro a ciò non si habbi da perder tempo 27 . Nel 1575 il Pellegrini è indicato quale architetto de la Chiesa Maggiore di Milano.

Spiritualità e quotidianità

Una informativa del 26 giugno1569 conferma che il Cardinale aveva fatto giungere le sue doglianze al governatore spagnolo dello Stato di Milano, Gabriele della Cueva duca di Albuquerque, per lo stato in cui si trovava la chiesa di San Gottardo in Corte: […] li luoci occupati dal officio del Capitano di giustizia per far l’hosteria e canepa per uso de li pregioni si visitassero e s’intendesse s’erano della chiesa di Santo Gotardo, et ch’essendo di detta chiesa si facessero restituire [….] Furono per uno de nostri colleghi visitati e s’è ritrovato per li segni che vi sono esser duoi luochi d’essa chiesa, cioè una canepa (maxime dipinta di santi) che viene ad esser sotto l’altare et un altro luoco che doveva esser sacristia, et essendo necessario, havendo di provvedere di altri luochi per uso di detto officio, fabbricare di novo una canepa et un altro luoco, habbiamo dato commission al nostro Commisssario del monitioni e lavorerji che si facesse visitare da duoi ingegneri […].  E sul retro: […] che si intenda chi è il cappellano di S. Gotardo, per stabilire a chi appartengono i luochi in questione.
Non sono trascorsi trent’anni che don Juan de Mendoza marchese della Ynojosa, gentilhomo della Camera di S. Maestà, suo capitano generale e governatore dello Stato di Milano dal 30 luglio1612 al gennaio 1616 ordina che si provveda alla chiesa di San Gottardo di nuovo trascurata: […]Già restate informato del mal termine in che si trova la chiesa di San Gotardo di questo Palazzo e particolarmente l’Altare, dove si celebra la Messa, sopra il qual stava posta con molta indecenza l’Arca della sepoltura del corpo d’un che si dice fu parente delli Duchi di Milano, senza ancona di devotione alcuna, le vitriate et il suolo tutto rotto, e desiderando Noi per quel che si deve al culto divino riparar e rimediar a gli inconvenienti che si vedono, habbiamo dato ordine che si levi detta Arca e si riponga nel medesimo Choro a mano dritta, che si faccia un’ancona con un Crocifisso grande et alcune pitture e si riparino le altre cose che n’hanno bisogno. Et per la diversità di esse  habbiamo giudicato che non si possano metter all’incanto, ma che si facciano, che poi si vederà quel che ciascuno maestro haverà meritato. Et perché non si tocchino per quest’effetto denari ordinari della Camera habbiamo procurato che vi si applichino alcune condennationi straordinarie che si vanno facendo. Et a voi ordiniamo che per uno de vostri colleghi col Commissario  generale delle munitioni s’habbi cura  che questo negozio indirizzato al servizio di Dio benedetto si faccia come conviene che l’habbiamo anco particolarmente incaricato il Gran Cancelliere qual non manca di a sopraintendere perché segua il tutto bene et al maggior vantaggio che si possa.  Cristo Signore vi guardi.
In Milano, adi 12 di novembre 1612.   Salazar           Proveria 28


Riti pasquali in San Gottardo
Il Giovedì e il Venere Santo

In un documento di fine Cinquecento il Giovedì Santo é indicato come  Zobia, <Zobia alli XV di Aprile 1593 […] A nome di Dio, Zobia>; mentre vent’anni dopo:
Al nome di Dio hoggi Giovedì 4 aprile 1613
Essendosi nella chiesa di San Gottardo posta nella Corte dell’Arengo della città di Milano Don Giovanni di Mendoza marchese della Hynojosa etc. il giorno d’hoggi giovedì quattro d’Aprile sudetto circa le 17 hore 29 , celebrati i divini officij, detta la Messa e fatta la processione per dentro la chiesa per far il deposito del Santissimo Sacramento nel luogo debito in commemorazione del Santissimo Sepolcro del Sacratissimo Corpo di Nostro Signore Gesù Christo conforme al rito et instituto della Sacra Cattolica Romana Chiesa, et trovandosi in questa occasione di passo in questa Città et alloggiati in Palazzo il Signor Principe di Piemonte con la Serenissima Infanta Duchessa di Mantua sua sorella, commandò S.E. a me Regio Ducal Secretario  et notario infrascritto che seguendo esso Principe et l’Eccelenza Sua al Curato con la torchia accesa sin sopra l’altare nell’alto dove stava apparecchiata una cassetta  coperta di velluto nero con li misterij della passione di Nostro Signore per reponere et depositare esso Santissimo Sacramento mi vi trovassi presente et vedessi oculatamente che esso deposito fu vero e realmente fatto. Et poi serrassi essa cassetta et sigilassi la serratura col mio sigillo come in effetti feci tutto. Et volendosi conforme al solito presentar all’Eccelenza Sua la chiavetta per custodirla sino al giorno seguente mi fece segno et commandò che la consegnassi al Serenissimo Principe di Piemonte sudetto come subito senza partir dal deposito lo posi in essecutione riponendola con il suo cordone. Essendosi trovati presenti a questa attione  et cerimonia l’Infanta Serenissima sudetta, l’Eccelentissima Signora Marchesa della Hynojosa con molte Dame nell’alto della Tribuna et in chiesa abasso il Presidente del Senato, molti Cavaglieri di S. A. che portorno il baldacchino insieme col Principe, Sua Eccelenza et Presidente sudetto et diversi Ministri et Cavaglieri di Milano et famigliari di S.E..  Di che tutto commesse  l’Eccelenza Sua che ad ogni buon fine se ne tenesse  memoria et scrittura per me Secretario infrascritto.
Il Venere appresso circa la sudetta hora 17 essendo calati abasso come il giorno di hieri della Tribuna al tempo che era finita l’adoratione s’inginochiorno ambi in un lato dell’Altare sopra due cossini di broccato dalla banda del Vangelo et fatta un poco d’adoratione montò di sopra il Curato al deposito seguitato dal Prencipe sudetto et S.E. con le torchie accese dove fu da me aperta la sudetta cassetta levandole il sudetto sigillo et per il Rev. Sacerdote alla presenza delli Signori predetti cavato fuori da essa cassetta il sudetto Santo Sacramento per celebrarne la Messa conforme al rito et costume di Santa Chiesa mostrandolo prima al Prencipe et a me. Il Baldachino fu portato dal sudetto prencipe; S.E., presidente del Senato Don Giovanni Colombo et due Cavaglieri di Sua Altezza      firmato     Antonio de Sara 30 .
In questa occasione avveniva il rito della lavanda dei piedi a dodici poveri; distribuzione di elemosine a 12 poveri nel Venerdì Santo.
Ancora nel 1771: Funzione a Corte, detta la lavanda dei piedi a 12 poveri e distribuzione di effetti di vestiario e danaro […] nelli dodici da Vostra Altezza Reale graziati nel Giovedì Santo.
Le cerimonie richiedevano opere e spese che ogni anno puntualmente generavano burocratici elenchi di cifre, di misure e di controlli.

Il campanile

La Torre di San Gottardo è il solo avanzo, che rimane, per avere un’idea del gusto dell’architettura di Azzone; ed è un pregevole monumento, singolarmente perché erano i primi passi che si facevano dalla somma barbarie al nobile ed
elegante modo di fabbricare. Anche un altro motivo rende quella Torre degna di osservazione; perché ivi Azzone fece collocare un orologio, che batteva le ore, macchina allora affatto nuova, e sorprendente, dalla quale prese nome la via delle ore, come anche in oggi viene chiamata […,], scriveva Pietro Verri nel 1783 31 .
L’orologio della chiesa di San Gottardo aveva un suo custode. Tra quelli succedutisi nell’ offitio della cura del Relorio del Campanile de Sancto Gottardo dal Tre al Quattrocento  si ricorda che il 6 ottobre 1474 era stato nominato  domino Henricho de Guinati, che prima di diventare prete era stato bombardiere,  fratello dell‘abate o maestro della Cappella ducale, Antonio al quale venne concesso a lui e discendenti in infinito il diploma di cittadinanza il 7 settembre 1495 in registro L.D. 1473-1479, fol. 110.
Verso la metà del Novecento Eva Tea così descrive il campanile:
 Una delle più belle insegne, il Wahrzeichn di Milano… Alto in rapporto alla lunghezza, ottagono nel fusto e nel tamburo, coronato dalla loggia aerea e dal pinnacolo che sembra volare via con l’angelo che lo sormonta, appare, sì, fratello al tiburio di Chiaravalle, ma in edizione più pura. Qui tutto è uscito di getto: proporzioni e particolari. Le finestre del primo piano, archivoltate e ombreggiate da un cappuccio di ghiera sporgente, non si levano dai comuni esempi del tempo; ma le otto bifore del piano superiore, entro cornice quadra sobria e ricca, sono una rarità per l’Italia e quasi un preludio del Rinascimento.
Il doppio loggiato con le colonnine superiori in aggetto, trina gettata al sommo del fusto, trova il suo contrasto nel tamburo del pinnacolo, dove le finestre si ripetono come nel basamento, ma più fitte e a pieno centro. Poi l’occhio si incontra in candidi steli e vede passare le nuvole in trasparenza […].
Ma la gioia, il sapore, gli accenti ritmici di questa architettura sono gli otto fili marmorei che allacciano la base con il culmine, e accentuano, coprendoli, gli spigoli dell’ottagono, principale caratteristica dell’edificio. In genere i campanili di tal forma derivano dalle torri romane fiancheggianti le porte di cerchie murarie. Anche questo è di semenza antica, ma la precoce eleganza del tempo in cui nacque gli impresse una energia scattante; la forza nervosa propria dell’architettura cistercense, quale si vede meglio che a Chiaravalle, in alcune parti del Duomo di Cremona, che l’autore del monumento sia un cremonese  si vede a diversi segni. Anzitutto la forma primordiale del campanile si ritrova nel transetto nord di quella cattedrale, nelle torri a sezione ottagona con alto cono cestile, nelle riseghe e nelle colonnine che corrono svelte ad assottigliare vieppiù il corpo del monumento.  Lo stesso posteriore Torrazzo, con il suo mutare, da forma quadra in ottagona, ripete il motivo della torre viscontea. Non mancavano certo a Milano architetti per compiere così bella opera al tempo di Azzone; ma forse egli preferì un cremonese perché incapricciato da tutto quel correre di logge e variare di chiaroscuri. Che il Duomo e il Battistero avevano messo in moto già da due secoli. Alla base del campanile, sulla fronte verso ponente, (nella parte ad angolo retto col fianco destro della chiesa, un tempo parte di una cappella aggiunta alla fabbrica, e poi andata distrutta) venne scoperto un frammento di ciclo pittorico di cui rimane la Crocifissione, pur essa molto guasta [...] che il Coletti descrisse nel 1948, prima che deperisse maggiormente  32 .

Il campanile nei secoli

 Nel 1636 vi era urgente bisogno di riparare la Torre scriveva Filippo Morone, supplicante, al Commissario generale delle Monitioni, perchè
La guglia della Torre del Campanile di S. Gottardo si decise, piuttosto che demolire, di conservare alla Città un’antichità sì raguardevole.
Un secolo più tardi, il 5 maggio 1735, l’ing. Carlo Federico Castiglione, ingegnere collegiato regio camerale scrive a don Francesco Mesmer, Commissario generale  delle Monitioni e Lavori dello Stato di Milano, che  Il 28 aprile  per decreto del Tribunale  fatto sopra al rappresentato di Giuseppe Zappa, sovrastante. Di questa Real Corte per le minacce di ruina con pericolo di caduta della guglia della gran Torre di S. Gottardo (la cui altezza è di circa 36 braccia ossia circa 21 metri) per diverse creppature nella medema esistenti. 
Il 2 maggio viene incaricato di visitare la guglia. E constata che essa si é per di dentro a ragione della sua antichità rilasciata tutta la calcina che rivestiva il materiale della guglia e perciò passando attraverso le pietre della medesima le acque in tempo di pioggia, sempre più inumidiscono il materiale e non potendo interiormente asciugare in tempo di rigoroso inverno dal gelo viene divorata  la calce che la compone, come più è seguito nel passato inverno, e, come sempre più succederà in avvenire […] Nel piede della guglia il muro è fracido e la cornice esteriore che dà colo alle acque è molto scomposta per l’antichità e ingiuria dei tempi […] e ne prevede la caduta se non si interverrà  […] essendo posta sulla sommità della guglia una statua di rame, o sij bronzo, con ventaglio d’una non ordinaria grandezza, strapiombante per ragione dell’antichità, essendo anche l’asta del ventaglio strapiombante, questo dalla veemenza dei venti ragirata cagiona per il moto più violento nel cadere il ventaglio verso l’inclinazione dell’asta e per la maggiore resistenza che fa nel ragirarsi alla parte opposta dell’inclinazione un sensibile movimento alla statua con non poco pregiudizio alla stessa guglia per la resistenza che deve fare a causa del contrario moto del ventaglio e movimento della statua [….]  Il nostro ingegnere ne consiglia la riparazione si è di assicurare l’esistente guglia a motivo dell’antichità, rarità dell’Opra, trattandosi d’una guglia d’altezza di circa 36 Braccia fabbricata per finimento di una Torre delle più antiche di Milano […]   Queste alcune voci dei lavori compiuti: dal piano dove si trovano le campane sino alla sommità della guglia saranno d’altezza in aria di circa 45 Braccia,   27 metri ca., mentre l’altezza della statua era di Braccia 3,  un metro e ottanta ca. In più fatta di nuovo la bandiera di lamera di ferro atteso che la vecchia era tutta consumata per l’antichità e spezzata da colpi d’archibugiate (o di moschetto, si legge in altra parte) fermata con tre code a fiamma con due assi e telaro di reggia ed è di peso libbre 74 […] affrancato maggiormente il ballone d’ottone (il globo in rame che sta ai piedi della statua)  in cima alla guglia sopra del quale si rialza la statua […]rimesso un capitello mancante ad una delle colonnette [… ] utilizzandone uno vecchio che era nella stretta dell’Arcivescovato…otturate tutte le crepe della guglia; rifatto il finimento della guglia di pietre cotte; per assicurare maggiormente la guglia posti tre cerchi di ferro [… ] e a causa che la campana delle hore sopra la Torre restava appesa al ceppo con solo due staffe di reggia formate a braga semplicemente inchiodate con pericolo che cadessi, vennero poste di nuovo altre due staffe di reggia […] terra e rottami delle riparazioni riposti nella stretta tra il Regio ducal palazzo e l’Arcivescovato, dalla torre al trasporto calati con cavagne e quindi con carretta fatti portare allo spalto del castello in vicinanza della Porta del Soccorso.
Mentre se si fosse deciso di demolire la guglia e farvi altro finimento terminato con la statua che c’è allargando i finestroni dove sono le campane, e ciò sarà ben più vago, il rimbombo delle medeme riuscirà anche nelle parti più lontane della Città, il che presentemente non riesce […]  Ma  la spesa ascenderebbe a circa 4.500 lire unita alle 10mila e più lire che i lavori, comprese le riparazioni dei tetti dell’abitazione del cappellano danneggiati dai materiali caduti, avevano richiesto. Nell’inverno 1734-1735 i tetti in particolare erano stati danneggiati dal gelo
L’impresario al quale era stata assegnata per incanto dal 1729 la manutenzione del Regio ducal palazzo, l’ing. Martino Bozzolo, eseguì le riparazioni alla guglia della gran Torre di San Gottardo, secondo l’incarico a lui dato dal Commissario generale Mesmer il 16 giugno1735.
Lo stesso impresario descrive dettagliatamente i diversi passaggi di quel non facile lavoro: dai ponteggi alle demolizioni alle riparazioni.   Anche se non si mancava di pensare alla sicurezza dei maestri e dei giornalieri che prestavano la loro opera.
Fu, invece, l’ing. Castiglione ad eseguire il collaudo alla guglia della Torre il 26 settembre1735, comunicando il primo ottobre a Francesco Mesmer: inerendo agli ordini datimi in voce dall’Ill. Conte Questore don Pietro Quintana devo rappresentare a V.S. essersi data la vernice a oglio da Antonio Cairone esteriormente a tutta la guglia  della Torre di S. Gottardo in questo Real Palazzo ed avere lo scultore  in rame Gio.Batta Guerra fatta l’inscritione sopra la statua di rame dorata ( a tergo fra le due ali) che serve di finimento a detta Torre del tenor seguente:
Vetustum huius simulacri caput
Sub Actii Vicecomitis dominio
Anno MCCCXXXIII erectum
Incerto tempore ac eventu ereptum
Regiae Ducalis Camerae sumptibus
Una cum turri restauratum
Anno MDCCXXXV

L’antica testa di questa statua venne collocata sulla cuspide l’anno 1333 durante la Signoria di Azzone Visconti; distrutta in età e per cause incerte, restaurata a spese della Camera ducale insieme alla torre campanaria nell’anno
1735.
La statua di rame dorato raffigura l’Arcangelo S. Michele appoggiato sopra un globo e reggente il vessillo visconteo. Con il lavoro dello scultore in rame Guerra  si intendeva pure “farla terminare di ciò che essa è mancante, oltre che il far riunire que’ sfori anticamente fatti con colpi di moschetto, facendovi fare la testa mancante di rame sovra dorata con foglia a fuoco, e le ali, che ne rimane solo una piccola parte imbronzate e lumate d’oro come pare fossero anticamente […] 33.

Rimaneggiamenti al palazzo reale e alla chiesa

Nel 1775 sono state già demolite le case e le botteghe adiacenti al Regio Ducal Palazzo nel circondario della gran Porta verso la Piazza. Come si può vedere da stampe del secolo XVII e della prima parte del XVIII la piazza del Duomo, e il Duomo stesso, si presentavano ben diversamente da come noi li abbiamo conosciuti.
Nella seconda metà del Settecento si passò con il Vanvitelli dal Rococò alla compostezza che si fece volontà di simmetria e semplificazione formale.
E sotto la direzione del Piermarini si intervenne sul Palazzo reale e sulla chiesa di San Gottardo. Venne pure  allargata e sistemata, più rizzatura e selciatura, la via da Palazzo reale al Teatro alla Scala. E il 4 giugno1778 si decise di togliere i cancelli che chiudevano la strada che separava il Palazzo della Regia Corte da quello dell’Arcivescovado.  <La detta strada da privata pertinenza sia ridotta ad uso pubblico>. Il 7 ottobre dello stesso anno il capomastro Giuseppe Re ha adempiuto le due opere, tanto sulla strada posta al Teatro come l’altra nuovamente riaperta tra l’Arcivescovado e la Regia Ducal Corte.  Si erano rifatte anche le facciate sui due lati della contrada cambiandone la prospettiva.
Le demolizioni e le costruzioni subite dal Palazzo nel tempo e la realizzazione del Duomo avevano prodotto dal canto loro un visibile innalzamento del suolo. E lo si notò l’anno successivo, quando venne abbassata la strada che divideva la Corte dal Duomo.  Dal centro della piazza del Duomo alla porta del palazzo regio il tratto era breve (circa 90 metri o 30 trabucchi), poiché nel 1611 la fronte del palazzo era quasi addossata al Duomo, in linea parallela al lato meridionale della Metropolitana. Questa fronte, demolita verso il 1779, chiudeva l’attuale piazza del palazzo reale 34 .
Tra il 1779 e il 1809 la contrada delle Ore unì piazza Fontana alla contrada Rastrelli prolungamento di via Pesce e il palazzo reale, chiudendo questo tratto delle Ore che si arrestava prima della contrada Larga. Ad angolo fra la contrada dei Rastrelli e quella vecchia delle Ore esisteva la chiesa di Sant’Andrea al Muro Rotto eretta sull’ultimo fianco del Regio Palazzo, fatto edificare da’ Spagnoli Governatori nella Contrada che dal publico dicesi de’ Rastrelli.
      
Il restauro ottocentesco del campanile

Luca Beltrami diresse i lavori di restauro del campanile di San Gottardo nel 1887.  Che così descrive: Il restauro, condotto recentemente a termine della parte superiore del Campanile di San Gottardo, e specialmente della loggietta che sostiene il cono cestile di coronamento, offre argomento a menzionare altre opere di consolidamento che precedentemente vi erano state compiute, delle quali è bene conservare il ricordo, giacchè l’attuale restauro ne ha fatto sparire ogni traccia.
L’elegante concetto architettonico della galleria a colonnine binate in marmo bianco sorreggente la parte terminale del Campanile – concetto pel quale il Pecorari si inspirò al coronamento del Torrazzo di Cremona, compiuto nel 1289 dall’arch.  Alberto  Latomi - benché non implicasse un vero ardimento statico, era tale però da richiedere una particolare diligenza, sia nella scelta dei materiali, che nella esecuzione. Causa la trascuranza di tale cura, il Campanile era giunto a noi – completo è vero nelle sue linee architettoniche, malgrado lo scempio ch’ebbe a subire la chiesa – ma deturpato da quella muratura che si dovette fare a consolidamento della loggietta, cosicchè la parte superiore del monumento aveva perduto quella leggerezza ed eleganza che il Fiamma, cronista contemporaneo alla costruzione, aveva lodato dicendo che il Campanile era ornatum a summitate deorsum columnellis marmoreis, quod videre est quaedam magna delectatio.
Non fu difficile precisare l’epoca di questa muratura di riempimento: certo doveva risalire alla prima metà del secolo scorso giacchè si vede indicata già nel disegno, abbastanza sommario, che il Giulini diede della fronte di S. Gottardo nel vol. I p. 842, Ed. pr. delle sue Memorie. Il trovare poi riferito dal Lattuada come nel 1735 la sommità del Campanile venisse “riparata e cinta con fascie di ferro per impedirne la rovina” autorizzava a riconoscere quella muratura come una parte dei lavori menzionati dal Lattuada. Ma lo scrostamento dell’intonaco – eseguito nella scorsa primavera per constatare le vere condizioni delle vecchie colonne murate – mise in evidenza un fatto particolare, e cioè che quella muratura di riempimento era stata compiuta  in due epoche ben distinte. Infatti alla corrispondenza agli angoli dell’ottagono la muratura si presentava fatta con grossi mattoni di forma speciale e con grande accuratezza, mentre la rimanente parte  - evidentemente più recente – era assai trascurata pel materiale impiegato e per la esecuzione. Ma la cattiva prova data da questo materiale, le cui cave si possono dire esaurite o almeno abbandonate, consigliarono di sostituirvi  un altro materiale più resistente, il marmo di Cerragiola-Serravezza quasi identico per colorito al materiale primitivamente impiegato: le quarantotto colonne vennero collegate fra loro mediante un sistema radiale di tiranti che si rannodano ad un anello centrale. Nella occasione di tale lavoro, approfittando delle armature che erano state necessarie, si compì il restauro di tutta la parte superiore, rifacendo dapprima con cemento tutte le commessure dei mattoni ad unghia di cavallo che compongono il cono cestile: poi si rifecero le ali all’angelo, sostituzione di quelle piccole che erano state adattate nello scorso secolo; si levò la bandiera che il Lattuada aveva già notato  non essere l’antica, ma di puro ferro, per sostituirvi un vessillo in rame dorato colle iniziali AZ. VC.  E lo stemma dei Visconti, conforme all’indicazione conservataci dal Fiamma “habens in mano vexillum cum vipera”: si rifece  il globo in rame che sta ai piedi della statua, e il tutto venne dorato. Del restauro fatto all’angelo nel 1735 rimase quindi il solo capo.”  
Il Beltrami accenna quindi ai costi sostenuti per tali operazioni da parte della Casa Reale e del Ministero della Pubblica Istruzione “essendo il campanile inscritto nell’elenco dei monumenti nazionali. I lavori si compirono dal maggio all’ottobre scorso sotto la direzione degli ingegneri Tarantola e Alemani dell’ufficio tecnico della Real Casa e sotto la sorveglianza della Commissione Conservatrice dei monumenti, la quale nello scorso dicembre collaudò il restauro. 
Egli aggiunge, inoltre, che giornali cittadini, come il Pungolo e La Perseveranza, pubblicarono nel 1887 appunti al restauro da lui non condivisi.
Sempre il Beltrami, riportando un disegno di parte dell’ottagono in cui una parte annerita indica il restauro del 1472 e una parte tratteggiata indica il restauro del 1735, commenta: “La supposizione che, stando a tale apparenza io misi avanti in quella circostanza che quel primo lavoro di consolidamento dovesse risalire al XV secolo, ebbe piena conferma in un documento che durante i lavori  di restauro, mi venne segnalato al nostro Archivio  di Stato dall’egregio signor  Motta, documento del 1472 , il quale unitamente ad altre notizie che potei raccogliere, mi ha permesso di ricostituire  brevemente  le varie vicende della parte superiore del Campanile, dal XV secolo fino ad oggi.
Una prima manomissione è menzionata in un documento che trovai recentemente alla Bibliothéque Nationale di Parigi: in una lettera del 1451, Antonio Lombardi franzoso guardiano dell’orologio collocato sul Campanile di S. Gottardo, accenna ad alcuni guasti arrecati al Campanile da certo Antonio Balbo:
-….ulterius quello che luy (Antonio Lombardi) ha intexo ne fa notizia ad V.L.S. e bixognando notificava il nome di coloro  da cui ha intexo dire come dicto Antonio Balbo ha disfacto ferramento assay da quello del Campanile tolto una alla volta del angello ch’era in cima  del dicto Campanile raspato zoso l’oro e disfacto canali in più loci, tastato li muri per cerchare adinari o thezoro, et cavando trovò sotto l’altare grande una spada con duo paro de speroni: se questo e vero, za non e signale de bono deportamento. Bibl. Nation. MSS. Cod. 1585, fol.
178 .
Tale sottrazione di ferro e forse di legname (cauali) segnalata dal Lombardi appare assai generica e – al pari dell’accusa fatta al Balbo di aver raschiato la doratura  dell’angelo posto sul vertice del Campanile – può essere stata dettata dal malvolere  del Lombardi verso il Balbo, il quale aspirava a sostituirlo al posto di guardiano dell’orologio: risulta invece specificato il danno che a quell’epoca aveva già subìto la statua dell’angelo. Ma a queste, più o meno volontarie manomissioni,  non tardava ad aggiungersi l’azione del tempo. La trascurata collocazione dei perni in ferro, che collegavano il fusto delle colonne colle basi e i capitelli, e  più ancora il poco accorto sistema di collegare i capitelli fra loro  con piccoli tiranti indipendenti, che tendevano a spezzare i capitelli, produssero la rottura di vari pezzi di marmo cosicchè, non erano ancora scorsi centoquarant’anni dal compimento del Campanile, e già correva voce che la parte superiore, detta castello, stava per crollare.
·      Infatti il duca Galeazzo Maria, nel luglio di quell’anno, scriveva: Bartholomeo de Cremona, Comissario super laborerijs, Intendemo chel castello del Campanile de Sancto Gotardo sia per cascare, et ad conzarlo non li va più spesa che cento ducati, però volimo vedi dicta spesa et faci vedere et  trovando che così sia, lo faci acconzare et per la ligata  alli Maestri et Ant. da Piacenza che pagano questa spesa ad chi et secundo li dirai tu (omissis). Dat. Gonzaga, die XXIII Julii, 1472   -  Galeaz .   
Arch. di Stato: Missive  N. 105, fol. 82 v.°
Non è a mettere in dubbio che tale lavoro ordinato dal Duca all’ingegnere Bartolomeo Gadio, corrisponda a quella prima parte di riempimento che rafforza specialmente gli angoli dell’ottagono: la spesa di cento ducati indicata nella lettera, nel mentre esclude opere di consolidamento di maggiore importanza, risponde perfettamente all’entità di quel primo lavoro, che presentava appunto l’apparenza – come si disse – di un’opera del XV secolo.   Arch. L. Beltrami 35 .
Di questi campioni dell’architettura lombarda del XIV secolo, la Real Casa fece trasferire alcuni esemplari al Museo di Brera.  […]a testimonianza e ricordo del recente restauro, la Consulta Archeologica provvide a che alcune  delle vecchie colonne, colle basi e capitelli, fossero depositate presso il nostro Museo Archeologico, conclude il Beltrami.   

 Registri di battesimi principeschi in San Gottardo

Ai governatori spagnoli succedono quelli austriaci: da Eugenio di Savoia a Francesco III duca di Modena. Il quale entra in Milano il 14 gennaio 1754 insediandosi nel palazzo di Azzone Visconti con il titolo di Capitano generale delle truppe imperiali in Italia. Questo per volere di Maria Teresa d’Austria che mirava al ducato di Modena, Massa e Carrara, del quale era erede la nipote di Francesco, Maria Beatrice d’Este figlia di Ercole, scelta come sposa, ancora bambina, per uno dei suoi figli. L’imperatrice in un Post Scriptum a sua lettera del 2 maggio 1771 mostra di avere a cuore Francesco III. Ordina, infatti, che i quattro cappellani di Corte soliti a celebrare nella chiesa di San Gottardo continuino questa loro pratica a disposizione e comodo del Serenissimo Duca di Modena e della sua Corte, non volendo la M.S. che rispetto al trattamento di esso Principe non sia cambiato nulla: e ciò per riflesso tanto alla di lui età che al suo attaccamento all’Augusta Casa 36 .
Una seconda Beatrice d’Este entrava in questo palazzo portando l’eredità di quei piccoli stati della casa d’Este in estinzione.
Per le nozze dei due giovani, Ferdinando aveva quattro anni meno di Beatrice, Maria Teresa si affidò al Parini del quale è rimasta la descrizione in stile aulico.
Nel 1771 quando Beatrice e Ferdinando, terzogenito di Maria Teresa che per i trattati di Utrecht e di Rastadt esercitava il governo anche sul Milanese, arrivarono a Milano non fu il Palazzo che il Piermarini stava rimaneggiando ad ospitarli. Ma, provvisoriamente, il palazzo Clerici, in San Protaso ad Monachos, del fu marchese e maresciallo Giorgio Antonio molto apprezzato dalla Casa d’Austria.
Due anni dopo nasce il primo figlio di Beatrice e Ferdinando: Maria Teresa, futura sposa di Emanuele I di Savoia. E’ con questa nascita che compare nell’archivio della parrocchia aulica di Corte di San Gottardo un nuovo registro Pro baptismo elegantemente rilegato che prete de Roleman intesta: Pro serenissima  Familia Regii principis arciducis Austriae Ferdinandi.  La cerimonia, però, non avvenne mai nel piccolo battistero in San Gottardo,bensì in una cappella o in un salone del Palazzo. E il battesimo fu sempre impartito dagli arcivescovi di Milano: dal card. Giuseppe Pozzobonelli ai cardinali Filippo Visconti e Carlo Gaetano Gaisruck.
Dal 1773 al 1787 la coppia arciducale fece registrare la nascita di altri otto figli dei quali i primi tre nacquero nel palazzo Clerici.
Dalla fine del 1771 al 1789, il canonico teologo Perego fu confessore della principessa Maria Beatrice d’Este, moglie dell’arciduca. Ma per il riformatore principe di Kaunitz, che aveva prescritto le sacre funzioni festive per la chiesa, si pose pure il problema: avere un parroco in San Gottardo che conoscesse la lingua tedesca, oppure ricorrere all’espediente di due parroci uno per la nazione tedesca e l’altro per gli Italiani. Non conoscendo il canonico Perego la lingua tedesca,  venne  proposto quale confessore dell’arciduca prete de Roleman.
Sotto il governo di Ferdinando vennero edificati il Teatro della Scala, quello della Cannobiana e la Villa reale di Monza.
Nel 1794 si posero i cancelli alla balaustra dell’altare maggiore e degli altari laterali  chè portandosi tutta sorta di persone agli altari laterali […] e l’introdursi  di cani persino  sulla gradinata dell’altar  maggiore, ne nasceva l’inconveniente di trovarsi ingombrato il sito con disturbo notabile segnatamente in occasione de’ Divini Offici; oltre il pericolo che vadano a guastare gli arredi sacri, tappeti, o altro, che sia vicino a terra.  I cancelli in ferro, secondo un decreto magistrale del 27 giugno 1794 n. 883, dovevano essere uniformi al disegno del cancello del Battistero già esistente.   
Il 14 maggio 1796 entrò in Milano da porta Romana il generale Massena, mentre l’arciduca Ferdinando si ritirava dalla città. Il Palazzo Reale divenne Palazzo Nazionale e residenza del direttorio fino il 27 aprile 1799.
Vennero soppressi enti religiosi, parrocchie e chiese: fra queste San Gottardo in Corte.
L’8 maggio  del 1802 il vicepresidente della Repubblica Italiana, ‘cittadino Melzi’, con suo decreto ordinò che si ripristini d’ora in avanti il servizio della Cappella parrocchiale di San Gottardo in questo Palazzo di Governo, come in passato.  E nominò il cittadino sacerdote Andrea Utz, ora coadiutore alla parrocchia di San Marco, avuto riguardo ai servizi già da voi prestati in addietro qual cappellano maggiore presso la detta cappella 37 […].
Il volumetto rilegato riservato alle nascite principesche non registrò più alcun battesimo.
Infatti, quando al – ‘cittadino’ Gioacchino Murat, comandante dell’armata d’Italia, nacque un figlio, don Andrea Utz annotò nel registro comune della parrocchia: 24 maggio 1803, battesimo di Napoleone Francesco Luciano.
Per i figli che nacquero a Milano da Augusta Amalia di Baviera e da Eugenio Beauharnais  si ricorse ad un nuovo registro intestato: Regium Dypticum – in Archivio – Magnae Eleemosynierae – Regni Italiae – Asservandum. E il primo atto che vi compare è quello riservato a Giuseppina Massimiliana Eugenia Napoleona. L’anno successivo il Vicerè d’Italia, Eugene Napoleòn, come egli si firmava, stabilì per decreto il cerimoniale da seguire per il battesimo. I relativi verbali vennero stesi e firmati dal Melzi, ora duca di Lodi e cancelliere del Regno. Il battesimo della secondogenita di Eugenio, Ortensia Eugenia Napoleona, venne impartito non nella chiesa di San Gottardo, ma nella grande sala dell’appartamento della Viceregina, eseguendo quanto stabilito nel decreto. Il cerimoniale del 1812 per il battesimo del terzogenito di Eugenio, Augusto Carlo, risultò ancora più elaborato.  Fu l’anno in cui Napoleone divorziò da Giuseppina Beauharnais per sposare Maria Luisa d’Austria, mentre Eugenio si trovava in Russia alla guida dell’Armata d’Italia.
Finisce anche l’impero napoleonico e il 7 aprile 1815 si costituisce il Regno Lombardo Veneto.
Nove anni più tardi il parroco Utz riapre il registro delle nascite sovrane con i figli del fratello dell’imperatore, l’arciduca Raineri, e di Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella di Carlo Alberto.  E lo chiude con la registrazione dell’ultimo della loro numerosa prole, Massimiliano.
Di tutti i principi, nati a Milano, dei quali venne registrato qui l’atto di nascita; in nessun registro della parrocchia di San Gottardo, fu segnata la loro data di morte, se non di pochi infanti.
L’arciduca o vicerè Raineri arrivato a Milano il 24 maggio 1818 l’abbandonò il 17 marzo 1848. 
L’arciduca Massimiliano, che prese il posto di Raineri a Milano il 6 settembre 1857 come governatore del regno Lombardo-Veneto accompagnato dalla moglie, principessa Carlotta del Belgio, abbandonò la città il 20 febbraio 1859 senza lasciare un cenno nei registri parrocchiali.
    

A Italia unita

A Casa Savoia passò anche il Palazzo reale con la chiesa di San Gottardo in Corte.     
Maria Adelaide, figlia dell’arciduca Raineri, nata o nel Palazzo reale di Milano o nella Villa reale di Monza, e andata sposa a Vittorio Emanuele II nel 1842, morì, però, senza poter fare ritorno in questa città.
Con la prima guerra mondiale i problemi per il Paese crebbero.
Le condizioni dell’immediato dopoguerra consigliarono la Corona a rinunciare alla Villa ed al Palazzo Reale (ex ducale), i quali vennero dati in uso e manutenzione al Comume […] di Milano 38 .
Don Giulio Cantù, preposto parroco di San Gottardo nel Palazzo reale, ricevette il 29 marzo del 1922 dalla Sovraintendenza alle Gallerie di Lombardia un quadro a olio su tela del secolo XVIII rappresentante la Flagellazione –altezza m.1,96, larghezza m. 1,19 – per collocarlo nella chiesa di San Gottardo.
Nel 1923 vi fu un altro restauro della torre di cui rimangono le foto con i ponteggi per il consolidamento della parte finale della cuspide.
Tra aprile e luglio del 1926 si procedette al restauro del fianco della chiesa: lavori di isolamento della parte monumentale del palazzo reale.
Nel 1927 venne sistemata la nuova facciata posteriore del Palazzo reale e della chiesa. Dal mese di agosto il dottor don Rinaldo Giolli fu il parroco di San Gottardo, cappellano di Corte 38 .
Fu negli anni 1927-1928 che si decise di collocare il portale della chiesa su quella che sarebbe stata la via Pecorari.
Sorsero incertezze sull’esecuzione del progetto, alle quali seguì uno scambio di corrispondenza all’interno della Sovraintendenza e di questa con il Ministero dell’Educazione di cui riporto qualche stralcio.
Milano, 11 gennaio 1927 - all’arch. Perrone Luigi
Ella ricorderà che, essendo Lei e la Commissione dei Monumenti favorevoli a collocare sul fianco della chiesa di S. Gottardo il portale e l’occhio dell’antica facciata ed essendo io contrario, io me ne rimisi – non volendo sovrapporre la mia opinione a quella degli altri –al parere del Consiglio Superiore. Il Consiglio Superiore venne qui, vide e non espresse alcun giudizio. Allora, tempo fa io ho sollecitato una risposta: il Ministero mi ha chiesto di mandare ancora grafici e fotografie ed io li ho rimandati; quando ora giunge una lettera di cui io veramente non so rendermi ragione. Vegga anche Lei.
Se chiedono il parere nostro sopra l’opportunità della collocazione del portale e dell’occhio, ormai ne hanno più che a sufficienza dopo la relazione stesa da Lei in data 21.1.1927, dopo il voto della Commissione dei Monumenti e dopo le mie note del 15 marzo e del 12 aprile […]  E. Modigliani, “ Sovrintendente all’Arte medioevale e moderna delle Provincie Lombarde.”
Maggio 1928: […]è in progetto la riforma di Palazzo Reale per la sistemazione dei nuovi uffici comunali […] sulla nuova via prospetterà il fianco trecentesco della chiesa di San Gottardo, convenientemente isolato e restaurato 40 […]. 
In questi anni iniziò per il centro di Milano un rimaneggiamento tale che rispetto a quello verificatosi nei secoli precedenti fu più radicale. […] il centro di Milano negli scorsi secoli subì qualche timido e modesto rimaneggiamento che non ha nulla a che vedere coi nostri poderosi sventramenti […] scriveva, infatti, Alessandro Visconti in Milano, Rivista del Comune, nel 1928.
Il 7 giugno 1928 Lodovico Pogliaghi (1857-1950), scultore, pittore e scenografo, che ha curato, tra l’altro, la porta centrale del Duomo di Milano, così si rivolgeva all’: Onorevole Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti.
Il giorno 23 maggio, come da incarico avuto, ho visitato in Milano la Chiesa di S. Gottardo in compagnia dell’ Architetto Calzecchi della Regia Soprintendenza per esaminare in posto i due quesiti che si presentano per la collocazione dell’antico portale  della chiesa  e del sovrapposto rosone e sui modi  di provvedere alla conservazione  dei preziosi resti  d’affresco  scoperti alla base  della torre della chiesa.
Sul primo tema assai opportuna la proposta della stessa Soprintendenza, di collocare i marmi rimastici del portale e della rosa sulla parete esterna  del lato destro della chiesa  verso la pubblica via  e precisamente sulla campata  più vicina all’antica facciata avendo però riguardo che nell’applicazione dei marmi, invece che posti a fior di muro  come in origine dovevano essere, siano posti con sporgenza maggiore atta a dimostrare  che la collocazione loro  non è l’originale. E’ superfluo aggiungere che la porta così applicata non avrà mai funzione riservata già a porta secondaria. La cortina originale che si scoprirà sotto l’intonaco sarà, spero, un armonico ai marmi del portale e della rosa.
La conservazione del grande affresco alla base della torre presenta invece serie difficoltà. Del dipinto, assai rovinato, poco si può giudicare dalle frammentarie e dure fotografie qui unite, il valore suo oltre che dalla fattura accuratissima dei particolari, sta nella grandiosità della composizione rara a quei tempi = esso misura m. 5.10 d’altezza e m 4.80 di larghezza = e rappresenta la scena della Crocefissione. Pur troppo la parte superiore della figura del Cristo è perduta ma il ricchissimo gruppo di figure nella parte sottostante appare ancora in tutto il suo vigore di composizione ed il documento  se non unico, rarissimo certo dello splendore d’arte del primo periodo visconteo. Il modo in cui è condotto il dipinto, la stessa ricchezza di ori a rilievo sparsi sui panni delle figure attesta ch’era pittura destinata ad ambiente chiuso né il nostro clima permetterebbe di conservarlo indifeso, all’atmosfera.
Due difficoltà si presentano subito: quella di creare un ambiente per difenderlo, e quella di liberarlo, potendo, dall’ingombro della sporgenza della piccola cappella ora esistente e di recente costruzione.
Visitato a tale scopo l’interno della chiesa e constatato il mediocrissimo valore d’arte della cappella stessa consistente nella sola pala d’altare dedicato a S. Gottardo ed ufficiata una sol volta all’anno, non esito a consigliare di rientrarla a fior di muro con pochissimo danno della interna simmetria della chiesa e concorrendo in ciò anche l’Autorità ecclesiastica.
Liberato in tal modo il campo esterno, il dipinto si presenterà nell’intera sua dimensione e completato nella parte superiore  dalla ricca bordura ornamentale  che lo contorna, potrebbe esser difeso nell’atto da appropriata sporgenza quale potrà certo studiare la R. Soprintendenza, atta ad accogliere i cristalli che forzatamente bisogna impiegare perché i preziosi resti non vadano in pochi anni a deperire. Sarebbe così evitata la difficoltà quasi insormontabile di creare in posto un nuovo ambiente, né credo che i cristalli, data la loro collocazione in iscorcio, rispetto alla pubblica via, non porteranno il difetto di far specchio con effetto poco decoroso pel luogo monumentale. [...]. L’affresco sulla base del campanile verrà staccato nel 1953  e successivamente collocato sulla parete della controfacciata.       
3 novembre 1928: I lavori per la sistemazione del fianco di S. Gottardo (Palazzo Reale) hanno subìto da tempo una sosta  a causa di talune difficoltà per risolvere le quali fu chiesto il parere del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti […] Pertanto conviene riprendere senza indugio i lavori, per portarli quanto più rapidamente sarà possibile a termine, nell’interesse della Chiesa e della generale sistemazione prevista nella Convenzione  4 marzo 1925 tra il Ministero dell’Istruzione e codesto on.le Municipio. A tale scopo mi sembra necessario che si esamini da rappresentanti del Municipio e della Sovraintendenza la situazione finanziaria sulla base della clausola D della citata Convenzione e delle spese sinora occorse. Come è noto, con detta clausola il Comune di Milano si obbligava a provvedere a sue spese alla completa sistemazione della parte di Palazzo Reale prospiciente i nuovi Uffici Comunali, nonché alla sistemazione della facciata che risulta  dopo la demolizione parziale dell’avancorpo del Palazzo Reale dalla parte di via Rastrelli. Era calcolato l’importo di tali sistemazioni come non inferiore ad un milione di lire: e le sistemazioni stesse fu stabilito che si    eseguissero d’accordo tra l’Ufficio tecnico municipale e la Sovraintendenza, sotto riserva dell’approvazione del Ministero dell’Istruzione […]. “Il Sovraintendente 41 “.
Il 5 febbraio 1930 re Vittorio Emanuele III nominò cappellano e parroco di Corte il sacerdote Francesco Soldini.
E il giornale L’Italia del 17 febbraio 1931 diede la notizia che in quel giorno sarebbe stata impartita <La benedizione alla nuova facciata di San Gottardo al Palazzo Reale>.











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1 Enciclopedia cattolica,ENCICLOPEDIA CATTOLICA  vol.VI, p.962, Città del Vaticano, a. 1951:  <San Gottardo, benedettino, vescovo di Hildesheim, successore di S. Bernward, nato nel 960 e morto il 5 maggio 1038…La sua festa ricorre il 4 o 5 maggio. Molte chiese e santuari gli sono dedicati…Fu il primo bavarese canonizzato da papa Innocenzo II nel 1131 […] >
G. Bognetti, Nascite sovrane in Milano (1778-1830) –dalla Miscellanea pubblicata in occasione delle nozze Scherillo-Negri ,  Milano, 14 settembre 1904, p. 645.
2 bonvesin de rippa, De magnalibus urbis Mediolanis (Le meraviglie della città di Milano) a cura di F. Novati, Roma1908, cap. V, p. 70 (nel 1898, sempre a Roma, Francesco Novati aveva già pubblicato: Bonvicini de Rippa, De magnalibus urbis Mediolani). E   galvano fiamma, in Chronicon extravagans, edizioni Ceruti, Torino 1869, p. 14. Di Galvaneo Fiamma era comparso, sempre a Torino nel 1868, Chronicon extravagans e Chronicon majus.
A distanza di due secoli gran parte della Milano del XIV secolo descritta dal Fiamma sparirà per volere del governatore Ferrante Gonzaga.









 


3  Bartolo di Sassoferrato (1314-1357), professore a Pisa e a Perugia, giurista i cui Commentari al Corpus Juris ebbero in alcuni Paesi valore di legge, nel De tyranno scrisse a proposito dei vicari imperiali: ”Come l’accorto nocchiero butta a mare le cose più vili pur di salvare nella tempesta le più preziose, così anche il principe transige con il tiranno e lo fa vicario…”
4  c. cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, passim.
5 In l. a. muratori, Rerum Italicarum Scriptores,  Liber Gestorum in Lombardia per et contra Vicecomites, a cura di F. Cognasso, Bologna 1927.  In l. muratori, Rerum Italicarum Scriptores. XVI  azarii petri, Chronicon de gestis Principum Vicecomitum, Mediolani 1771.
Pietro Azario, nato a Novara nel 1312, fu al servizio dei Visconti prima nell’ufficio contabilità delle Compagnie di ventura, poi nella cancelleria di Tortona e Piacenza e fra il 1362 e il 1364 scrisse la sua cronaca.

6  p. mezzanotte,  Degli archi di Porta Romana, <Archivio Storico Lombardo>, a. XXXVII, f. XXVIII (1910), p. 425
7  g. de castro, La storia nella poesia popolare milanese, <Archivio Storico Lombardo>, s. I,  vol. IV, 12 (1887), p. 828.
8  t. celona – g. beltrame, Navigli milanesi. Storia e prospettiva, Provincia di Milano, 1982, p. 26.
9 bonvesin de rippa, De magnalibus urbis Mediolani (Le meraviglie della città di Milano) a cura di F. Novati, Roma, 1908, cap. V, p. 6
10 ascmi, Fondo località milanesi, cart. 255.
11 g. biscaro, La Camera dell’Università dei mercanti nel Broletto nuovo, ASL 1910, pp. 518-519.
12 E. Verga, La Camera dei mercanti di Milano, Milano 1914, terza edizione, p. 88.
13 Milano vecchia ossia spiegazione di alcuni nomi ed epiteti applicati a vecchie vie e costruzioni della città, per cura del Sac. p. rotta, Agnelli, Milano 1895, p. 7.
14  Milano, Archivio di Stato, Lettere ducali 1401-1403, fol. 103. Registri L. D.
15 Milano, Archivio di Stato, Culto p.a., cart. 1072; Patronati regi (1524-1799), cartt. 2126-2127 e Fondo Religione, p.m., cart. 878.
16 m. magistretti,  Due inventari del Duomo di Milano del secolo XV, <Archivio Storico Lombardo >, (1909), pp. 296-297.
17 Milano, Archivio di Stato, Culto p.a., cart. 1073.
18 c.torre (1649-1727), Il ritratto di Milano,  “diviso in tre libri, stampato in Milano per gli Agnelli nel MDCCXIV, con privilegio”, p. 366.  Vedere anche v. forcella, Iscrizioni delle Chiese e degli altri edifici di Milano dal sec. VIII ai giorni nostri, Bortolotti di Prato, Milano 1889-1893,  vol. I, pp. 71- 76 (Iscrizioni in S. Gottardo).
19 Archivio di Stato di Milano, Culto p.a. cart. 1076 (1530-1799) e cart. 1073.
20 Archivio di Stato di Milano, Culto p.a., cart. 1074, Arredi sacri 1700-1800. Esistono, inoltre, tra il 1750 e il 1814: una lettera con inventario di tutti i mobili della chiesa; un inventario con descrizione oggetti e, infine,  un inventario dettagliato di argenteria, ornati ecc.
21 Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, Fondo località milanesi, cit. n.7.
22 a.m.romanini, L’architettura lombarda nel secolo XIV. Storia di Milano, <Fondazione Treccani>, 1955, vol. V, parte III, pp. 640-651.
23 Sovrintendenza Belle Arti di Milano, cart. 373,  Relazione dell’arch. Luigi Perrone, gennaio 1928.  E f. reggiori, La ricomposizione del mausoleo di Azzone Visconti in S. Gottardo al Palazzo, in < L’Italia>, Cronaca di Milano, 9 febbraio 1928.

24  f. pirola,  Storia di Concorezzo, vol. II, p. 88.
25 Milano, Archivio Storico Diocesano, Archivio Spirituale, Visite Pastorali, vol. XXX, Metropolitana XXX-403 e XXXI-404, anno 1569, S. Gottardo in Corte o al Palazzo, nn. 4-5-6. E  Fondazione Cappellanie, XLIX, 12.

26 Milano,  Archivio di Stato, Culto p.a., cartt. 1080 e 1082, Cappella ducale (1472-1796) A-Z. e veteres scripturae.
27 Milano, Archivio di Stato, Culto p.a., cart. 1080, Spese, 1579-1720 e Autografi, cart. 85, f. 49 (Pellegrino Pellegrini); f. 59 (Giuseppe Piermarini). Questa cartella contiene pure 24 pagine di copie moderne di documenti pubblicati da F. Malaguzzi Valeri.
Del Settecento anche in Milano, Archivio Storico Civico, Fondo Località, cit, nn. 7 e 18.  notevoli gli elenchi delli Musici della Real Cappella […] Cappella di Corte […]: maestri di Cappella,  musici soprani, contralti, tenori, bassi […] organisti […]
28 Milano, Archivio di Stato, Culto p.a., cart.1080.
29 Le ore erano le cosiddette italiche. Il giorno iniziava al tramonto del sole ed era diviso in 24 periodi di uguale durata. Un rintocco segnalava la prima ora della notte, 24 rintocchi il tramonto.  La cerimonia deve avere avuto luogo sette ore prima del tramonto del sole (17+7), vale a dire intorno a mezzogiorno.
30 Milano, Archivio di Stato, Culto p. a., cart. 1082 e ascmi,  cart. 258, Servizi di Corte (1569-1805).
31 arrigoni-bertarelli, Storia di Milano, Tomo primo, p. 335.
32 e. tea, Architetture e decorazioni nelle chiese di Milano, 1952,  pp. 46-47. Per la descrizione del Coletti: pp. 47-49.
33 Milano, Archivio di Stato, Culto, p.a., cart. 1082, Cappella ducale , 1472- 1796 (A-Z).  
Nell’Archivio di  Stato di Milano esiste un fascicoletto di 27 fogli nei quali vengono descritti minuziosamente questi lavori.

34 < Archivio Storico Lombardo >, Varietà, a. 1919, p. 270.
35 Milano, Archivio Storico Civico, Raccolta milanese –dicembre 1889 – Palazzo di Corte. Bozza di stampa a firma di Luca Beltrami.
36 Milano, Archivio di Stato, Culto, p. a., cart. 1072 e Culto, p.m., cartt.  1549, 1550, dignità e cariche e 1551, spese e Fondo Religione, Amministrazione, p.m., cart. 878, Chiese di Milano.
37 Milano, Archivio di Stato, Culto, p.m., cart. 1549, Cappella ducale di San Gottardo.
38  l. torri, Milano,  in Rivista del Comune di Milano, anno 1930, pp. 442-445.
39  sovraintendenza cit.,  Chiesa di San Gottardo, A V 182 – 1374.
40 Milano, Archivio Storico Civico,  Comune di Milano, Monografia dell’Ufficio Studi, 1928,  p. 236. Il rinnovamento del centro cittadino; il grande piano regolatore del 1928. […]Altro collegamento si avrà tra la via Paolo da Cannobio, la nuova via fra il Palazzo Reale e il Palazzo degli Uffici e la via Larga, collegamento che potrà dare luogo ad una interessante sistemazione del gruppo monumentale circostante al campanile di S. Gottardo,  p. 245.
41 Sovrintendenza cit., Chiesa di San Gottardo e campanile, cart. 372.

MEDIOLANUS


da: codice Vaticano-Urbinati 277 anno 1472 (f.° 7 dal fine)
disegno dell'arch. Marcellino Segrè, primo collaboratore del Piermarini

da: Atlante Zuccagni-Orlandini, Attilio 1845

Belviso Carlo Antonio lavorò per l'arch. Luigi Canonica - 1819

di Belviso Carlo Antonio - 1814

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