mercoledì 28 agosto 2013

Storia e Storiografia notazioni di Floriano Pirola, 2010


Storia e Storiografia
notazioni di Floriano Pirola 

La Storia: un puzzle che l’uomo, mano del caso, compone e scompone.
La Storiografia, quella ufficiale: composizione di miti rilucenti e alterate verità.

Su che cos’è la Storia, però, tante sono le interpretazioni, a seconda degli studiosi delle varie discipline:
da: attività fondamentale del pensiero che ha per oggetto lo studio del divenire della società umana in tutti i suoi aspetti: religiosi, sociali, politici, vale a dire culturali.
a: racconto documentato di fatti e di eventi; identità e orientamento.  
Cicerone: Historia magistra vitae.
Nella sua Epistola VII, 31, C. Plinio Secondo: la storia deve oltrepassare i confini del vero e alla verità devono bastare i fatti raccontati onestamente (Nam nec historia debet egredi veritatem et honeste factis veritas sufficit).
Guicciardini, (ne quid nimis, non troppo, sentenza aurea già scolpita nel tempio di Delfo), attribuiva al mondo ed all’uomo strutture costanti e per questo si poteva  pensare, in teoria, che dal passato si potesse trarre il futuro. Tuttavia riteneva che nella vita non fosse affatto prudente ricavare e riconoscere dagli eventi del passato paradigmi da utilizzare nei singoli casi.  E la storia per lui, a differenza del Machiavelli suo contemporaneo e amico, non é magistra vitae.  Essa può insegnare che l’esistenza si svolge in un universo che cambia e nel quale predomina il caso.  Di conseguenza, non disponendo sul passato che di fonti lacunose, si deve indagare sul presente approfondendo la psicologia delle costanti dell’uomo.
Continuando: la storia è variazione esteriore che si svolge su una sostanza immutabile.
Ogni fatto, nome ed evento è irripetibile nella sua genesi, nel suo sviluppo, nella sue conclusioni: la storia, dunque, non è, ma diviene.
- La storia è un tessuto di problemi, più o meno ben posti, e per questo più o meno ben risolti.
- La storia è immersa in una rivoluzione documentaria.
- La storia come intero è la graduale manifestazione dell’assoluto che viene gradualmente rivelandosi.
- La storia è la psicanalisi dei popoli.
- La storia è lo specchio di un’epoca.
Ma si deve procedere ad un taglio geologico della storia se si vuole rivelarne tutte le stratificazioni.
La storia è il riflesso delle necessità economiche  
 …nessun pezzo di storia è riconoscibile in un altro, i parametri sono differenti, ma si vede che è il tipo di dinamica che si ripete
…nel creare la storia “l’uomo crea se stesso”
- L’umanità crea la storia inconsapevole di ciò che vuole realmente.
 James Joyce in Ulysses: “la storia è un incubo da cui cerco di destarmi”
-       La Storia sarebbe una materia eccellente, se solo fosse vera, per Leone Tolstoi. Una volta, cioè, depurata dalle favole e dai falsi..
E che cosa diventerebbe la storia se ne togliessimo tutti i miti?
        .. ..la storia è une recherche du temps perdu che progredisce nel tempo…
non una storia in cui la bugia e la dissimulazione sono elette a sistema Stendhal: La prima cosa da fare, quando si vuol conoscere la storia d’Italia, è astenersi dal leggere gli autori generalmente approvati; in nessun altro luogo si è conosciuto meglio il prezzo della menzogna, in nessun altro luogo è stata meglio pagata.



a:    la storia in certi periodi è uno specchio deformante della realtà.
Ma sono tanti e tali i nomi e i giudizi che si possono citare sulla storia come studio erudito, come disciplina moderna e come arte e scienza non più autarchica…
In ogni caso lo storico deve arrivare ai fatti reali e verificabili.
Mentre per i dotti e gli incolti che vogliono coltivare la conoscenza… gettando uno sguardo nel vaso di Pandora: la storia è una necessità sociale e una bussola.
Soprattutto perché sembra che una buona parte degli uomini comuni mostra scarso interesse per il ricordo del passato e refrattarietà all’idea del futuro, anche se ancora non arriva a negarli. E perché la routine delle istituzioni non li rendano banali.
Nella premessa al mio primo volume (1978) della Storia di Concorezzo scrivevo: "Una delle cause per cui l'uomo ha incontrato tante difficoltà nel procedere verso l'avvenire é stata la sua ignoranza del passato".  Bisogna, quindi, conoscere la propria storia e analizzarla se si vuole trasmetterla. Solo così dal passato si possono ricavare dati e indicazioni per costruire un futuro più vivibile, perché sapere è consapevolezza. …Una consapevolezza che deve partire ab ovo… usque ad mala. Cercando, in tal modo, di circoscrivere sempre più quell’ intrico, in cui  l’uomo si trova avviluppato dalla nascita. Intrico di cose reali e cose che reali non sono, di saggi consigli e di quel codice che comprende le menzogne convenzionali, il tutto elaborato nel corso dei secoli dai vari tipi di istituzioni.
Così che il pover uomo si é arrabattato sinora fra canzoni più o meno melodiose o pensieri che gli hanno segnato i confini che lo circondano : Il passato non è, ma se lo finge – la vana rimembranza; Il futuro non è, ma se lo finge – la credula speranza;
Il presente sol è, ma in un baleno – fugge del nulla in seno:
Tal che la vita è appunto – una memoria, una speranza, un punto.      
Per questo è necessario, ab initio, conoscere le cose antiche non per mutare quelle nuove, ma per ben valersi di quelle nuove, come scrisse Charles-Louis de Montesquieu.
La mia premessa voleva essere una provocazione per cercare di indirizzare i cittadini ad interessarsi del passato e di spiegare che tale ignoranza fu dovuta in gran parte a coloro che nei secoli, tra camarille e silenzi, hanno retto la comunità, concentrati su problemi, interessi locali o di casta. E che la sua conoscenza avrebbe potuto facilitare alla comunità oltre a una comprensione del momento presente anche delle necessità che a quel momento esso stava procurando.
Difatti, un motivo per cui si è concesso più voce alle favole remote è stata la beata ignoranza del passato.
E’ per dissimulare la verità che si é sempre fatto ricorso alla favola, la quale é più antica della storia. Fanno parte delle favole, delle leggende, fatti distorti e mescolati alla finzione, dei miti di cartapesta anche gli assiomi dell’Ottocento e gli slogan del Novecento. E la confusione che, di volta in volta, hanno generato. Creando nuovi idoli, nuovi manipolatori di folle, abbandonate a se stesse, che si sono calati in una parte trascinando ancora con la suggestione di promesse delle quali la Storia non tarderà a mettere a nudo la povertà dei contenuti, l’inconsistenza, in una parola, la fallacia con la quale le hanno irretite. I risultati concreti conseguiti?  Dalla stupidità al cinismo, dalle offese al buonsenso, all’intelligenza e al saggio vivere comune e… un grave danno per le generazioni future.
Se almeno i danni così procurati avessero insegnato qualcosa a coloro che sono venuti o… verranno dopo. Niente affatto: il deus ex machina, il salvatore dell’uomo dalla miseria, non solo materiale, prevale sempre. Non importa se costui si nasconda dietro il paravento di una democrazia solo di facciata pochi non lo votano, arruffapopoli o imbroglione che sia.


Il carattere espresso negli uomini dalla vita contemporanea, una vita in cui non contano più le singole individualità, tese a realizzare un fine interiore, ma il gruppo  dei prescelti che impone nella cultura, nel lavoro e nello svago la propria anonima conformità. Da qui ha origine l’alienazione della capacità di giudizio della massa sulla realtà che la circonda. Specie quando crede in un uomo e lo mitizza identificandosi in lui, accentuando i suoi vizi qualunquistici, la naturale tendenza alle facili soddisfazioni. Fino al punto di non essere più in grado di pensare con la propria testa, ma con quella altrui, senza saper più distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male.  E’ naturale che continuino a risonare, nel silenzio, questi versi di dileggio ed apostrofe del Giusti:  Il capo del gregge ci vuole un gran bene, i mali i bisogni degli asini vede e al fieno provvede con il libro dei sogni….O tisici servi dal cor di coniglio un savio consiglio vi fodera i nervi.    
Le sirene del tutto avere subito senza niente fare conducono in ogni tempo Lucignoli e Pinocchi nel paese dei balocchi. E arrivano a risvegliare nelle folle l’aggressività, aprendo la strada ai disastri.



Riempire le lacune della memoria
L’uomo per l’intera sua esistenza vive di memoria, altrettanto ogni comunità umana.
Questa memoria che compone la Storia è, nei testi di scuola, quasi sempre una memoria manipolata dagli interessi di pochi.
Il fatto è che: é la nostra memoria culturale a fare di noi l’insieme del nostro passato.
Sono l’oggi e l’ieri le basi sulle quali l’uomo costruisce. Di conseguenza…
La Storia è memoria, una delle forme di superamento del perituro e del momentaneo. Non soltanto capacità di depositare e di ricordare impressioni, idee e sentimenti; ma anche una determinata struttura attiva e un’organizzazione della conoscenza.
Alla memoria appartengono i componenti la Comunità di ieri e quelli di oggi.  E se una Comunità rappresenta un’entità di quel corpo che costituisce uno Stato, ne consegue che anche la sua storia partecipa a fare la Storia di quello Stato. Nella memoria umana di una Comunità, come di uno Stato, il passato si fa presente superando la transitorietà. Ci si dovrebbe interessare, quindi, del passato della propria Comunità, risalendo, fin che è possibile, alle sue radici. In ultima analisi, è il passato un quid che entra nel presente dell’uomo per vie e in forme diverse. E lo evidenziano le condizioni che seguono le azioni
con le quali le comunità costruiscono il loro avvenire.
So bene che altro è il leggere la storia nei libri di scuola, altro lo scriverla nella maniera che possa rappresentare la realtà, specie quando si vuole penetrare nella quotidianità vissuta delle Comunità succedutesi su un territorio nel corso dei secoli. Essenziale è, quindi, la ricerca e la raccolta di documenti; come essenziale è la loro analisi critica: non vi è particolare, se pur minimo che non possa gettare una luce su un periodo storico.
Descrivere, ricostruire il passato perché chi legge possa correttamente interpretarlo.  
Ripensamento, epurazione dell’emozione dalla cronaca; separazione del vero dal falso, del cronachismo dalla memoria; distinguendo il contenuto dalla forma, una sovrastruttura da una costruzione intellettuale positiva. In una parola ripercorrendo gli eventi, rivivendoli nella propria esperienza. Anche se lo storico statunitense Charles Austin.Beard  in That noble dream sostiene: “…la storia di ogni periodo abbraccia tutte le realtà che vi sono  comprese;  ma  la documentazione e la ricerca sono parziali. Ne segue, quindi, che la realtà completa non è di fatto conoscibile da nessuno storico, laborioso, imparziale o costante egli possa essere nei suoi procedimenti…”. E dal canto suo Lynn Townsend White jr. in Tecnica e società nel medioevo aggiunge:  “ Gli storici, se intendono scrivere la vera storia dell’umanità, e non semplicemente la storia quale è stata vista da quelle esigue minoranze specializzate che avevano l’abitudine di imbrattar carte, devono guardare con occhio nuovo ai documenti, porre loro nuove domande, ed usare tutte le risorse dell’archeologia, dell’iconografia e dell’etimologia per trovare risposte anche quando gli scritti dell’epoca tacciono…”
Senza trascurare la parentela che la Storia ha con le altre discipline, da quella stretta con la filosofia, a quella con la psicanalisi.  Non sarebbe possibile, infatti, concepire una sintesi dei fatti umani e dello sviluppo della civiltà senza una interpretazione filosofica e psicanalitica dell’uomo e delle forze che operano nella sua esistenza.
Rebus sic stantibus, so, soprattutto, che altro è il vivere la storia. Vivere quella storia che assorbe gli uomini e le loro opere, le ore e i giorni; che sta sopra al tempo e rimane impassibile a dirci le cose di ieri, come dirà, domani, le cose di oggi.
Anche se so che nessun storico può tradurre in parola le sofferenze che in un determinato segmento di storia una comunità ha dovuto sopportare quale vittima di chi per narcisismo o con arroganza, tracotanza, supponenza e eccessiva fiducia in se stesso ne ha sconvolto la legge naturale. E cioè per quel peccato che i greci avevano denominato di hubris. Una causa, alla quale se ne aggiungono, però, altre, tra le quali prevale la corruzione: epizoozia con tutte le chances di trasformarsi in epidemia e travolgere un’intera comunità, locale o nazionale che sia.


Pensare
Ripetuto con Kant: “Quid ergo sum, Deus meus, quae natura mea?”;  ci si potrebbe limitare ad un rapido excursus nella cultura del passato partendo dall’antica Grecia. Nel IV secolo a.C Euripide nel suo teatro analizzando le passioni e le contraddizioni degli esseri umani declamava: “La dote più preziosa è la prudenza nel capire in che cosa non si deve credere.”
Il tempo struscia appena la terra ed ecco l’evangelico: “Non giudicare secondo le apparenze”.  
Quindi, Dante: “La frode, ond’ogni coscienza è morsa,- può l’uomo usare in colui, ch’in lui fida - ed in quei che fidanza non imborsa.”
Mentre, lo spirito erasmiano contrappone la fresca spontaneità della vita nella sua irrazionalità creatrice.
Nel fluire del tempo, però, una generazione dopo l’altra considera il mondo che la circonda   il centro e il fine dell’universo: le esperienze di coloro che l’hanno preceduta poco o nulla giovano. Ogni individuo vuol fare da sé le proprie… meglio se a spese del minus habens. In un mondo di uomini semplici, i bari fanno “ gran cose” perché sanno “con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini”, aggiunse il Machiavelli. Questi manipolatori di ingenui, in politica, prima recitano la commedia  di ricercare l’assenso del popolo fino al momento che del popolo si sentono sicuri padroni. Che sostenne, inoltre: La natura de’ popoli è varia, ed è facile persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione.
Poi, René Descartes con il suo primo principio: “Non prendete niente per vero a meno di non sapere in modo chiaro ed evidente che è vero”.   
Seguono le note questioni kantiane “Cosa posso sapere?; Cosa devo fare?; In cosa posso sperare?. 
Adam Smith, invece, era convinto che la scienza avrebbe rappresentato il grande antidoto contro il veleno dell’entusiasmo e della superstizione. 
J. Ernest Renan, che viveva nel secolo della ragione in cui la critica storica era fiorente, diceva che entro un secolo la storia sarebbe stata ridotta ad una serie di congetture di cui nessuno si sarebbe interessato.     
Goethe, accordando agli uomini una punta di comprensione: “ Siamo così fatti che crediamo alle cose più incredibili; e una volta che si sono fissate nella nostra memoria, malediciamo chi cerca di cancellarle”.
E anche se qualche voce sembra a volte levarsi contro, tutto procede come prima, quando non peggio. La natura continua ad imporre le sue leggi e di tempo in tempo il delirio di onnipotenza percorre l’umana mente… implodendo e risorgendo ( post fata resurgo).
Mentre, quando la storia risulta in più punti manipolata da interessi particolari o somigliante a un racconto ripulito della vita sporca e spesso edulcorato, si può capire come filosofi, psicanalisti, seguano o no la teoria freudiana della nevrosi, e studiosi più vicini a noi siano andati oltre nei loro giudizi. Come Umberto Galimberti: “Non è che noi siamo ragionevoli e ogni tanto usciamo di testa. Noi siamo folli e ogni giorno ci produciamo nella razionalità”.
Argomentazioni razionali mascherano spesso i conflitti risultato di scontri di interessi.
 …il sonno della ragione ha sempre accompagnato i fatti della storia.
La filosofia classica della storia postula che il risultato della discordanza tra le intenzioni e i risultati dell’agire umano sia la realtà razionale.
Così gli archivi non sono luoghi che invitano al sonno o allontanano per l’odore di muffa: nelle loro aule di studio il ricercatore trova anzi carte in cui pulsa la vita di piccole e grandi comunità che hanno abitato il passato tramandandoci l’eco, lontana ma viva, del suono delle loro gioie e dei loro dolori.
Dopo mezzo secolo e più di ricerche in Archivi di Stato, in archivi pubblici e privati, esaminando carte dall’VIII al XX secolo, in Biblioteche italiane ed estere dalla Nazionale di Parigi a quella che fu la Biblioteca Reale di Monaco di Baviera (oggi, Bayerische Staatsbibliothek), a quella di Lipsia che custodiscono manoscritti riguardanti nostri problemi regionali e nazionali, scomparsi dall’Italia in tempi non tutti così lontani, come dissociarsi da queste voci che gridano… nel deserto?    
Non si sa più quali sono i nostri limiti. E’ necessario recuperare la coscienza del limite…il senso del limite per questa società dalle esigenze irrazionali, da un’ ansia di emergere, di arrivare non sa bene dove. 
L’evoluzione della mente è molto lenta; e il succedersi delle rivoluzioni lo conferma.
Occorre diffidare di tutti i mezzi di comunicazione scritti, verbali o visivi che aiutano a non ragionare. Indubbiamente ciò significa affrontare una fatica, perché è più comodo bere alla prima fonte che s’incontra se pure inquinata, memorizzare quello che viene propinato da fonti interessate, che non valutare ogni notizia, informazione con la propria testa. Anche se così facendo rinunciamo alla nostra umana condizione per acquisire quella degli animali sapienti.

La bugia che diventa verità
Una domanda segue l’altra: qual è, infatti, la ragione per cui nella storia riesce tanto difficile distinguere la sostanza dall’appellativo, che é apparenza o propaganda? La propaganda che ha la meglio sulla razionalità? O ciò avviene solo perché le cose non vengono chiamate con il loro nome? Per scoprire la verità vera non basta la cosiddetta astuzia italica, né rifiutare di dedicare tempo e fatica per imparare dalle lezioni del passato. La principale delle quali è che la verità storica è quella imposta dai vincitori dall’ inizio della storia. E da allora il vinto specie se morto, ha sempre torto (fin che non arrivi una riabilitazione).
Unica salvezza ai vinti è non sperare salvezza, Virgilio.  …e tutto è per noi se vinciamo; tutto contro di noi se perdiamo,Tacito.
La diffamazione gratuita del morto è, poi, un classico di chi ha qualcosa da nascondere. Come l’antica regola di prospettare una verità centrale attorno alla quale far ruotare una serie di menzogne satelliti.
E con l’informazione (stampa, tv, passaparola…) oggi si interferisce sulla vita dell’uomo esercitando un’influenza culturale: occultando i fatti sgraditi e manipolando a proprio favore, con la menzogna, quelli graditi. Cpmpleta il quadro la Rete, la più accessibile fonte di informazione sulla storia per buona parte della popolazione, anche se priva dell'autorità di una fonte storica.
Già nel periodo delle Signorie Pietro Azario, dopo essere stato al servizio dei Visconti, di loro scriveva: multa dicebantur, quae non faciebat; multa faciebat, quae non dicebantur”.  La verità è che ciò che avveniva alla Corte viscontea moriva, quasi sempre, insieme ai personaggi che si alternavano al potere lasciando ai posteri arcana o silenzio. Che una linea grigia unisce ai nostri segreti di stato.
E, allora, le carte arrivate a noi dai secoli? Sono da esaminare con molta attenzione e studio dei rispettivi periodi. Ma chi, obnubilato dalla tecnologia, potrà impedire che il fenomeno prodotto dalla Rete si trascini nel tempo diffondendosi come una forma virale dai singoli alla collettività? 
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), uno dei maggiori filosofi sistematici di tutti i tempi, il filosofo della Storia, che con la sua dottrina dell’ astuzia della ragione ne ha fatto il punto fondamentale della sua analisi strutturale della Storia, sui grandi eventi e i grandi personaggi scrisse che si ripresentano nell’arco del tempo. Ma come? Caricature, non immuni dai difetti degli originali, spesso più marcati.
E i revival? Fuochi di paglia che a volte rallentano per un istante l’evoluzione.
Se nella storia dell’umanità cambiano solo i baricentri di interesse, la vita rimane, dunque, un grande palcoscenico sul quale si rappresenta sempre la stessa commedia? Cambiano solo le scene, i costumi e gli attori; ma le parti sono malamente distribuite. Variano i tratti somatici degli uomini, variano i loro comportamenti e gli orientamenti del loro pensare. Ma la loro natura segue l’ondivago moto del loro impulso nervoso.   
In ogni caso l’uomo comune é condannato a una visione senza fine del passato non con occhi indagatori, ma, per usare un eufemismo, stupiti. E se per un istante si solleva dal suo stupore egli accetta non i fantasmi delle teorie, bensì le ombre che ondeggiano alla superficie della vita di ogni giorno.
Quanti sono, infatti, gli obiettivi e i calendari che finiscono tra le buone intenzioni ammucchiate in un enorme caotico dimenticatoio? O buone intenzioni alle quali seguono cattive soluzioni?

Così è l’uomo
Che trascura pure quella parte dell’emistichio virgiliano:…et crimine ab uno disce omnis.
Come non è facile, neppure per chi riesce a non farsi avviluppare dalla più che evoluta macchina dell’informazione, scorporare dalla storia scritta la vita di ogni giorno con le sue pulsioni che spesso abbagliano. Eppure é nella quotidianità e nel vissuto sociale che si trova il filo in cui entrano i grani di quel rosario più doloroso che gaudioso della Storia dell’uomo.
Anche se le verità fattuali richiedono testimonianze affidabili per essere al riparo dal dubbio e affermarsi, per entrare a fare parte della storia. E quando questo non avviene, l’evento rischia di finire tra un banco di nebulose.  Mentre nel gioco entra chi sparge oracoli per essere considerato il loro interprete e farne la piattaforma del suo potere. E il …timeo Danaos et dona ferentes rimane parcheggiato nel secondo volume dell’Eneide.
Oggi l’esplosione demografica ha prodotto maggiori fonti di ricchezze e di gestori incompetenti, ma non per i loro personali interessi, anzi per questi ipercompetenti, che spolpano quella massa di diseredati mentali ora con l’occhio nel pallone ora con il piede sull’acceleratore lungo i territori un tempo ubertosi affettati da strisce di cemento senza fine. Mentre fanno un uso più che disinvolto del denaro pubblico e degli investitori privati.  
L’economia è una scienza incerta, imprecisa e passare dall’economia reale alla finanza speculativa utilizzandola per sostenere politiche svuotate di idee e pilotate da interessi di pochi paperoni sostenuti da bande di bassotti…Convertire il potere economico reale non solo finanziario in potere politico… Costituendo un reticolo di teorie economiche e di sistemi informatici che hanno trasformato il mondo reale in un mondo virtuale governato da statistiche opinabili e numeri iperbolici spesso non controllabili neppure da esperti. Nel quale una composita èlite di poteri finanziari internazionali manovra, in nicchie ai più quasi invisibili, la finanza, influenzando la politica e non soltanto le strategie economiche di singoli Stati ma anche del globo. Trascinando, passo dopo passo, l’umanità sempre più vicina al punto di non ritorno.
Le crisi economiche nel mondo, le negatività di un’ economia che cosa sono se non le conseguenze delle azioni dell’uomo? Senza una seria e approfondita diagnosi politica, non vi può essere una valida strategia per risolvere i grossi problemi che fanno ballare l’uomo come una marionetta sul palcoscenico della vita.
A tutto ciò si aggiunge il quoziente d’intelligenza politica di cui non raramente si rileva la scarsità nell’opinione media del cittadino. Le formule cervellotiche e le narcotizzanti spiegazioni propinate con ogni mezzo mediatico, le protesi emotive applicate senza alcun ritegno ad ogni evento, gli fanno perdere l’equilibrio già precario. Così che il corto circuito di una società ondeggiante tra specchietti per le allodole ed una politica senza sponde offre uno spettacolo demoralizzante.
Sfruttare l’inclinazione al réve poteva funzionare in altri tempi quando esisteva una èlite con altre fonti di informazioni e con una diversa base culturale ed economica.  Non le élites del sapere più vicine a noi, perché a esse si può imputare, almeno in una certa misura, il prodotto culturale sotto i nostri occhi destinato alle masse:  templi di culti di un giorno, olimpi di carta velina.
Non vi è necessità di andare a ritroso nel tempo, dove le similitudini non mancano, per constatare le conseguenze di un tale stato di cose in questo periodo di profondo decadimento morale e politico. E religioso: tra nuovi dei, nuovi vangeli, in un pantheon universale di divinità salvatrici.      
E la miscela di fattori che produce nuove situazioni politiche, ma anche economiche, ogni volta cambia volto e si presenta con differenti intensità.
Supporta questo stato pietoso quella finanza fuori dai rapporti reali con l’economia, in cui si moltiplica una ricchezza che non si comprende che cosa la moltiplichi nella realtà e soprattutto che cosa realmente la sostenga. Nihil ex nihilo… voci di altri tempi. Ma a chi importa? E’ come discutere della conoscenza dell’Aoristo nei verbi greci.
Intanto la parte più numerosa della società continua a correre per produrre, ma non produce come si vorrebbe; si arrabatta per diventare ricca, ma non ci riesce. E si parla e si straparla di globalizzazione. Per globalizzare che cosa? La confusione, il potere e sotto la notizia niente coniugate con l’egoismo, la corruzione e la voracità?  Con l’economia finanziaria, e le sue lobbies che, con i loro tentacoli, stanno strangolando l’economia reale? Accentuando squilibri e storture di complessa e lontana provenienza storica, al punto che la questione della governabilità del sistema si pone in maniera molto più seria che non sia stata finora.
Nel campo economico la malattia ha avuto principio nel secolo scorso: dalla frontiera della produzione alla frontiera del consumo. Un tempo in cui non si era adatti ad assorbire rapidamente la nuova religione della quantità e della tecnica sovrana. Con un sistema capitalistico menomato e paralizzato da un’insensata corsa ad insensati investimenti tra un’esplosione di deficit statali.
In cui nuove compagnie di ventura, mercenari al servizio di un padrone, continuano a marciare alla conquista del potere. E I’economia immateriale domina incontrastata.
Allontanamento o oscuramento del senso della politica causato da una delega sempre più ampia concessa a predatori che considerano la gestione della cosa pubblica alla stregua di una greppia da ripulire e a sociopatici che della vita sociale dei governati non si preoccupano affatto, se non nei loro programmi elettorali.
Se la criptonite della politica regge ancora, regge, più che altro, sugli strati sociali legati, in un modo o nell’altro, alla spartizione della res publica. Da noi sono ancora troppo circoscritti i segnali di tendenza al distacco dal tipo di politica in atto. Quando, superate le ideologie, si passerà finalmente da una politica dei sofismi, avulsa dalla realtà, ad una politica delle cose concrete?  Quando, come scriveva Paul Louis Courier: “In uno Stato ben ordinato la nazione farà camminare il governo come un cocchiere che si paga, e che ci deve condurre non già dove piace a lui, ma dove noi vogliamo andare, e per la strada che meglio ci conviene”? Ma era il periodo della restaurazione e idee di un singolo che ad un popolo non facilmente pervengono. E queste belle parole in ogni periodo non riescono a scalfire la vanità, l’ambizione e l’egoismo di quei pochi individui che un tempo si rifugiavano nella corte del re o del principe e poi in un parlamento… cosiddetto democratico.  Ancor più dopo il bombardamento sempre più massiccio di fatti e notizie, rovesciati, sotto una regìa di navigatori del mare dell’imbroglio, non più solo del mare nostrum, ma degli oceani. Al quale hanno contribuito i criteri d’interpretazione dei fatti, rendendo sempre più difficile ogni consapevolezza specialmente da parte dell’uomo comune.  
Tanto che da esperienza e comprensione la storia è stata trasformata in bene di consumo. Si è cancellata la consapevolezza della continuità e significatività tra il presente e il passato. Insomma una mediocrità di valori, quando non un’ assenza; un arretramento nella cultura, segno di un declino vero e proprio di questa società super tecnologica in questo momento di transizione sociale e di preanarchia in cui l’uomo da risorsa è stato ridotto una volta ancora in voce di costo. In una società nella quale la corruzione è la regola e l’onestà, ben che vada, l’eccezione. Quale la via d’uscita: la risurrezione dei morti?
Se a ciò aggiungiamo il contorno di notizie sotto le quali non c’è nulla; un’immagine cui non corrisponde la realtà che ci pesa addosso; un commercio  del consenso e…di ogni trovata senza consistenza alcuna.  Non bastasse, ecco la banalizzazione dei drammi, la drammatizzazione delle farse, e vita e morte prodotte in dimensioni virtuali. Una seducente prospettiva di una costruzione virtuale. Il simulacro si é sostituito alla realtà; abolita la differenza fra realtà e fiction. Si è creato così un mondo che non sa più distinguere la realtà dalla simulazione, perchè tutto passa attraverso i mezzi d’ informazione e la loro forza di persuasione.
La frammentazione dell’informazione e la tecnologia che dilaga incontrollata dispensano a larghe mani un affastellamento di nuovi dati, spesso di scarso valore e di non sempre facile utilizzo. E costituiscono la base principale della distrazione di massa. Così il mondo delle informazioni spot, superficiali; della fatuità e vacuità impastate con la realtà virtuale, con un residuo di magismo inorpellato, viene accettato senza riflettere: un mondo in cui l’uomo comune guarda sempre più, tra immagini vaganti, senza vedere, e ascolta, tra rumori di ogni sorta, senza sentire. Un esercito di manichini variopinti in una crescita inarrestabile, con una telecamera incorporata, che vive in un reality show  permanente.    
Inoltre, dopo avere parlato di una società postindustriale quando non si era compiuta quella industriale, si lascia che cemento, inquinamento e discariche, terrestri e marine, di rifiuti, di sprechi e di sostanze tossiche completino la tanto gridata globalizzazione: in questo nuovo buco nero si dibatteranno le generazioni future. Che si lasciano alla mercè dei corrotti, dei profittatori, degli speculatori, dei trafficanti di droga e di esseri umani; della malavita di ogni specie che in questo bacino pesca denaro e manovalanza per i suoi  traffici che sfilacciano gli Stati creando difficoltà alle istituzioni che quasi mai sono al di sopra di ogni sospetto.  
O ciechi, il tanto affaticar che giova? Tutti torniamo a la gran madre antica….  
Vox clamantis in un deserto…globale.
Si guardi a ciò che si è fatto nei secoli prima di arrivare ai ciarlatani delle sagre paesane. Fino a una vita in cui una cultura di seconda mano distribuisce, in confezioni dai colori più grossolani ma luccicanti, mode e pettegolezzi che segnano i costumi. A questo punto non sembrerebbe necessario chiedersi: e domani?  Per farlo bisognerebbe che coloro che tirano i fili nel circo del potere fossero almeno in grado di valutare il presente con il criterio del futuro per distinguere il caduco dal duraturo. Cosa per nulla facile, però, neppure ai più spericolati negromanti la cui unica misura di valori é il denaro.
E non si tratta di attimi più fuggenti di quello invocato da Faust; né di una via di scampo dalla storia.  Bensì di un’altalena che oscilla sempre più malamente nel vuoto.
Si è passati dalla cosiddetta democrazia alla ideocrazia….e da questa all’idioziocrazia?  
Nessuno, dotato anche solo di buon senso, può negare che l’uomo d’oggi deve continuamente e assai più rapidamente di prima abbandonare i modelli sociali e culturali in cui si è formato. Mentre la disinformazione collettiva é in costante aumento; e le forme del sapere vanno progressivamente diminuendo. Senza il computer la concentrazione si dissolve e la memoria perde quota. In un succedersi di bit e byte digitali fra i quali i caratteri dell’alfabeto in uso perdono quasi il loro significato.
E il copia e incolla fatto su un network tanto vasto non facilita la verifica delle fonti. Come potrà esserci certezza assoluta ed eterna nella ricerca storica, se già esistevano tanti dubbi nelle precedenti condizioni?
In condizioni simili si dibatte una parte della popolazione mondiale senza proposte articolate, senza programmi, senza strutture con un potere che poggia sulla tirannia dell’immagine in rapido dissolvimento. Che cosa vi sarà, alla fine, se non altri miraggi, e con i contorni dell’allucinazione? Anche se ciò si trascina, sotto forme diverse, da secoli, è un altro momento per chiederci: quosque tandem…?
La storia che cosa ha insegnato all’uomo? Soltanto una secolare migrazione, in ogni tempo gestita da quell’uomo che Rodolfo J. Wilcock crudamente definisce in La parola morte?
Mentre le forme della coscienza, i modi dell’esistenza umana, come in El ingenioso hidalgo Don Quijote con i simbolismi di cui é stato caricato gira più velocemente, ma sempre a vuoto, sulle pale di qualche mulino a vento di una Mancha del globo terracqueo.


Usi e costumi
Aetatis cuiusque notandi sunt tibi mores. Gli esempi efficaci vengono dall’alto.
Se il contegno pubblico di un governo modella i costumi negli abitanti di un Paese, è evidente che più delle leggi sono preziosi i costumi.
E’ proprio necessario ricorrere di nuovo a Euripide per domandarci: come mai dal quarto secolo prima al duemila dopo Cristo né il progresso tecnico né quello scientifico sia stato in grado di ridare il senno a chi non ha cervello? E non soltanto a quella parte degli esseri umani il cui cervello sta nella pancia ed a cui bastano panem et circenses, come  accadeva nella Sùburra e…in terra asinorum dove l’asino più grosso è re.           E pure tra gli abitanti di quella Roma, che oggi diremmo bene, cresciuti nel malcostume, nella corruzione, nell’ozio e nei vizi contro i quali, nel secondo secolo della nostra èra, Giovenale si scaglia nelle sue Satire. E fra le quali ritengo si possa collocare a buon diritto: …Ah! nimium faciles qui tristia crimina caedis / Flumina tolli posse putatis aqua!
Situazioni che si ripetono nei secoli sotto uomini e bandiere dai diversi colori. Dove, però, “mancano i rimedi, bene scriveva  CornelioTacito suo contemporaneo, i vizi divengono onori”. I costumi licenziosi di chi governa uno stato sono un veleno per la gente comune e ne guastano i suoi costumi. Oramai il veleno licambeo, il veleno di una satira insieme a Licambeo che si impiccò per le satire di Archiloco si trovano soltanto nella mitologia…E, ogni volta, occorre sempre molto più tempo per ritornare ad uno stato di normalità!
E quando vengono a mancare i principi guida, la vita politica si trasforma in una lotta senza esclusione di colpi, senza quartiere, e ne fanno le spese interi Paesi.    
Pure ciò, nel tempo, vi è chi lo fa notare. Come nel Settecento Giuseppe Maria Galanti, fra i più eminenti rappresentanti dell’illuminismo napoletano, in Memorie storiche del mio tempo: “…la corruzione ed il disordine non possono avere un progresso infinito, onde si deve temere la crisi, cioè la dissoluzione dello Stato civile…”.
Spariti i freni morali tradizionali, la decadenza che ne segue produce anarchia e rende i popoli collettivamente impotenti: buoni per il populismo come per la dittatura.  Non certo superiori a quel   “… volgo disperso che nome non ha”.
E se questo si ripete dal momento in cui ha avuto principio la Storia, che cosa può essere ciò che ci aspetta?
Come meravigliarci se dopo otto secoli anche la raccomandazione di Dante, “uomini siate e non pecore matte”…si perde nel vuoto?
   
Crisi di civiltà
…l’uomo trasmette di generazione in generazione l’apparato sovrabiologico che è la civiltà…
Eraclito, il filosofo delle geniali intuizioni, sottolineava che nello stesso fiume entriamo e non entriamo……siamo e non siamo… Ma ci passiamo.
Lo so che certa terminologia ancorata a lontane concezioni filosofiche é passata sotto la lente di ingrandimento non uscendone sempre indenne.  E’ vero che le parole possono usurarsi con l’uso, creare un’ambiguità lessicale o ridursi a gusci vuoti. O come succede ai dì nostri si tende anche al rovesciamento semantico della parola, manipolandola non solo secondo le convenienze politiche. Usandola nell’accezione contraria del significato. Creando in tal modo automatismi di percezione che ne fanno perdere il senso che aveva in origine. Ma la sostanza di una cosa non cambia solo per il nome che le si attribuisce!
Non è certo questo che può costringerci a sottostare alla frenesia nella rincorsa del nulla nel quale frulla la vita dei giorni nostri. Diversamente il pifferaio della fiaba dei Grimm  condurrà, giorno dopo giorno, l’uomo verso il fiume dell’oblio. Al suo confronto il paese del bengodi era ancora un paese a misura d’uomo. Come era il rapporto uomo-natura prima della caduta del senso del limite che lo regolava.   
Quello che oggi si vuole relegare in un angolo morto non svilisce, dunque, la lettura del passato, anzi esalta l’attualità del messaggio anche per l’uomo cibernetico che al pianeta terra riserva una cura che contrasta assai con la natura della quale è parte. A meno che non si illuda di esportare nell’universo il volterriano mondo perfetto del professor Pangloss. Per il quale tutto è per il meglio nei migliori dei mondi possibili.
Frastornati dalla quotidianità, un’esistenza sempre in affanno tra rapporti umani  convenzionali, mai autentici, la vita scorre in una dimensione artefatta: si é estranei, lontani, soli pur vivendo a contatto con gli altri.  Tra i tic e i doppi sensi della società del gratta e vinci, del mordi e fuggi.
Ma perché questa umanità, quando pur ridotta dalla miseria alla disperazione, fin che non attanagliata dalla fame, continua a cercare nella metafisicheria, in un mondo ingessato tra molti miti ricorrenti dai tempi della Grecia classica e riti della Roma imperiale, la speranza? Dimenticando che la speranza è come l’araba fenice che “vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa….”. Anche se la fame può cambiare soltanto l’ordine delle priorità nella vita di un individuo.
Che fare, allora? Abbandonarsi, forse, a una sterile querimonia o sottostare a un risultato che nel marketing si chiama effetto gregge?
Ma, se vivere per l’uomo significa pur sempre soprattutto pensare, è necessario prendere atto che le sofisticate tecnologie ci hanno sospinti a vivere fuori dagli schemi stabiliti dalla natura.   
L’uomo d’oggi corre troppo e non riflette mai…se non quando si tratta di denaro. Il flusso incessante e crescente di innovazioni che si presentano davanti a noi ci crea difficoltà nel discernere le più utili per lo sviluppo da quelle che vanno rigettate. Per questo la nostra capacità di adattamento alle circostanze nuove è divenuta insufficiente. E di questo bisogna averne pienamente coscienza se vogliamo lasciare a chi verrà un mondo che ricordi almeno la misura d’uomo, non di robot fuori controllo. Soprattutto, perchè in questo modo l’uomo nuovo, schiacciato tra le immagini multicolori che le nuove tecnologie profondono, insieme ad un pallone che gira e fa ruotare nelle orbite gli occhi di chi guarda mentre i cervelli sono sbattuti come uova in un frullatore, rischia di trovarsi, nel migliore dei casi per il pianeta, nella situazione del dinosauro.
“L’uomo è una piccola creatura sperduta in un universo immenso e ancora in parte misterioso. Qualsiasi sistema che colleghi le parti in un tutto, che crei l’ordine nel caos ha un richiamo immediato: infatti, seppure la comprensione non conferisce necessariamente il potere di influenzare gli eventi, almeno garantisce una certa sicurezza in quanto sembra informare l’uomo su quelli che sono i fatti della vita cui deve adattarsi…”, così la Scienza.
Ma questo essere sperduto in quattro cognizioni, schiacciato dal suo degrado e dalla sua decadenza culturale, che rivoluzione vuole compiere nella civiltà contemporanea: far risalire il fiume eracliteo? I fiumi non risalgono verso le sorgenti.
Non si dovrebbe, invece, studiare l’uomo prima dell’èra della tecnica, e ridurre la Tecnica ad ubbidire alle ragioni vitali dell’uomo e non il contrario? Senza stravolgerle. Malgrado la Storia abbia dimostrato che, una volta che l’umanità ha appreso come svolgere una funzione per mezzo della macchina, la macchina s’impone e tende a lasciar fuori l’uomo. Che cosa dimostrerà, infatti, per l’immagine che sta sospingendo l’umanità, simile a stormi di uccelli migranti, verso mondi virtuali? Anche se, dal tempo di Orazio,”nulla è troppo arduo per l’uomo: nella sua stoltezza, dà l’assalto persino al cielo”.
Non più, dunque, comici lazzi che piacciono a questa nuovo Icaro nel suo moto alla ricerca di… un lume spento.
Che fare, allora? Guardare al futuro senza dimenticare il passato e sforzarsi di
operare armonicamente rispetto alla volontà dell’intero organismo sociale?
O proprio non rimane che ripetere con il Petrarca: la favola breve è già compita? Questa volta per l’umanità.
Ei mihi qualis erat, quantum mutatus ab illo….

Quello che non è utile all’alveare, non è utile all’ape, pensava Marc’Aurelio.
Mentre, per Einstein: quando dalla terra scompariranno le api, all’uomo rimarranno da vivere non più di quattro anni. Belle parole: per chi le legge?  
Si sentenziò in illo tempore: L’agricoltore pianta alberi che dovranno giovare alla successiva generazione. Ma il terreno da coltivare si riduce sempre di più e l’inquinamento di ogni genere aumenta in proporzioni tali di impedire agli alberi di partecipare a mantenere il terreno saldo, l’aria pulita e di dare buoni frutti.
Non continuiamo a nasconderci dietro l’utopia, la si chiami u-topos o no where, da quella politica e sociale di Platone; e in parte di Tommaso Moro, Tommaso Campanella e Rousseau già contaminata dal macchinismo o quella moderna di Wells, Huxley e Orwell. Fino arrivare al robot, e a quella che oggi viviamo della fantafantascienza, fondamentalmente l’utopia di chi non sa più credere a niente e a sperare più in niente. Sotto l’ombrellone dell’oraziano carpe die che folleggia più che mai.
 Sono stati circoscritti peste e colera; il progresso scientifico e tecnico ha fatto grandi passi. Riuscirà ad eliminare i tumori; ma gli altri danni, non minori, prodotti a partire dalle polveri sottili ai pesticidi ed altri ritrovati utilizzati a larghe mani incominciando dall’agricoltura? Aria, acqua, alimentazione troppo spesso a livello di guardia. L’ecosistema umano e metropolitano sono sottoposti a un disequilibrio che ha perduto ogni ricordo dell’ armonia. Si forzano i limiti dello sviluppo, ma le risorse non sono sufficienti, mentre l’eccesso produce carenze. Come si terrà testa all’esplosione demografica nelle condizioni attuali con i grossi problemi che inevitabilmente già si stanno evidenziando, alle quali non si fa che aggiungere menzogne, sofismi, che non reggono quando ancora non si é finito di enunciarli? Chi si preoccupa veramente a livello planetario di mettere in pericolo la sopravvivenza del nostro pianeta per stare al passo con l’aumento della popolazione e la domanda di beni di consumo che ne segue, che cresce ogni giorno e che sono insufficienti e tanto male distribuiti? Insomma, basta veramente continuare a parlare di crescita senza domandarsi dove essa porterà l’uomo? Neppure se per questa via egli sopravviverà fra la materia che lo ha generato? E se anche ciò potesse accadere, è certo che a nessuno di coloro che tirano i fili più occulti del potere importa come, la mente obnubilata nel sogno di onnipotenza. Di conseguenza, avviluppati fra le loro spire, si affogherà in uno sfruttamento assurdo e indiscriminato delle risorse planetarie e delle capacità umane fino a passare dall’autolesionismo  all’autodistruzione.

A Nicola Berdiaeff nel secolo scorso le utopie apparivano assai più realizzabili di quanto non si credesse un tempo….
Se così fosse, alle utopie si potrà aggiungere l’ingegneria genetica se non riuscirà a cambiare questo essere, che crede in tutto e in nulla, che costruisce e distrugge ciò che ha costruito, consentendogli di vivere e governare con ordine e costanza almeno… il suo freudiano interno paese straniero?  Non dico… fino a far scoprire all’individuo che la propria vita e il proprio pensiero sono produttivi quanto quelli degli altri, così che egli divenga finalmente più attento ai propri sentimenti e alle proprie aspirazioni.
Sempre che.... dopo 66 milioni di anni dalla caduta di un asteroide sulla penisola dello Yucatan, il cui impatto avrebbe avuto, secondo l'Accademia Americana delle Scienze (Pnas) una potenza pari a 10 miliardi di atomiche come quelle scaricate su Hiroshima e Nagasaki sopprimendo nelle prime 24ore il 75% della vita sul pianeta Terra, non risolva tutto qualche altro astro celeste stanco di ruotare attorno al sole.

20 settembre 2019
...dixit insipiens in corde suo, non est Deus, Salmi 13,1.
L'insipienza dell'uomo non riconosce più anche la natura.
Panem et circenses, lupanares; subura et mutatoria: ieri.
Lavoro, divertimenti, erotismo e droga; quartieri delle città nelle mani della piccola malavita, politica da meet-up e grattacieli: oggi.
Panta rhei, tutto scorre: la vita è divenire, la stabilità è cambiamento secondo Eraclito.
Già quel che vedi oggi non è più quello che hai visto ieri.  Il giorno che passa se lo porta la debole memoria. Tutto si muove sempre fra il sorgere e il tramonto del sole, come avviene dalla presenza dellessere umano sulla terra.  
L’uomo da secoli esegue solo e sempre le volontà di chi muove le leve del potere. Ieri dello sciamano, oggi di internet e degli algoritmi dei motori di ricerca o social network che dettano dogmi, principi etici e portano all’omologazione sociale e senso di appartenenza in una maniera ambigua alla storia dell’uomo finora sconosciuta. Non è la ragione a convincerlo delle cose e di quel che deve fare. Lo fa sotto il martellamento continuo dei nuovi mezzi di comunicazione. Ciò lo ha spinto verso la cultura del carpe diem e del denaro facile.
La stupidità umana congenita, infinita la definì Albert Einstein che infinito dubitava fosse l’universo, quando non rotola come l’acqua del fiume eracliteo, tende a esondare. Le mutazioni generazionali lo aiutano a intaccare ulteriormente ciò che rimane della struttura dell’homo sapiens. Anche se il suo comportamento è sempre orientato dai suoi istinti elementari dettati dalla sua corporeità, ancestrali eredità rilevate nella soluzione naturale di Charles Darwin  ora interpretate nel trasferimento genico orizzontale di Carl Woese. 
In Grecia come a Roma nei momenti di difficoltà per le sorti dello Stato si risvegliava la sua attenzione. Passano i secoli e tutto, tra guerre, rivoluzioni e farse d’imitatori di grandezze del passato quell’attenzione si affievolisce. Altri pericoli e analisi e critica li risolve con  le sue urla un novello capobranco. Le cose procedono fra grida di evviva e morte e lui va a morire senza capire il perché. La sua cultura scende un gradino dopo l’altro, sostenuta da media. Televisione, riviste specialistiche, studi pseudoscientifici, psicologi che creano, avvallano, diffondono micro e macro disinformazioni narcotizzando il suo cervello oramai incapace di pensare.
L’aria pulita sotto i cieli tersi, i fuochi fatui per la campagna nelle notti buie, passata la metà del Novecento, hanno lasciato il posto, anno dopo anno, all’inquinamento che nei giorni nostri, unito alla cementificazione e alla motorizzazione incontrollate, agli allevamenti intensivi e alla natura abbandonata tra i veleni riempiono gli ospedali, spesso fonte di nuove infezioni. Ma lui non se ne accorge. Vagola per il pianeta che nella sua mente è soltanto il paese del bengodi.
Candido, personaggio di Voltaire che a sua volta, nel Settecento, aveva capito l’uomo, mentre proseguiva nel suo avventuroso vagar di terra in terra dopo l’imbarco a Cadice dice a Cunegonda: noi ce ne andiamo in un altro mondo… bisogna riconoscere che quel che avviene nel nostro, fisicamente e moralmente, fa piangere.
Nell’Ottocento anche il Giusti, acuto osservatore dell umana specie, scrive: il capo del gregge ci vuole un gran bene; i mali, i bisogni degli asini vede, e al fieno provvede col libro dei sogni….. O tisici servi, Dal cor di coniglio, Un savio consiglio, Vi fodera i nervi; Un tempo corrotto, Perduta ogni fede……
Quello che è seguito nel Novecento gli è presentato in un confuso rapido susseguirsi d immagini che si dissolvono fra cumuli di macerie e polvere.
Che cosa è cambiato in lui non negli ultimi anni, ma in tre-quattro millenni?
Il suo cervello è meglio di quello del tempo del basso impero romano o di quello del teatro di Euripide nel V secolo a.C. in cui si declamava: A che serve mille cose investigare e nuove arti inventare, quando una cosa nessuno sa e nessuno ricerca: come ridare il senno a chi non ha cervello?”.
E alla fine l’homo insipiens, sventolando il suo stendardo di libertà virtuale, va avanti, in una palude popolata da coccodrilli che prima addentano e poi…lacrimano, e affonda, lentamente fra le sabbie mobili di questa società insipiente, targettizzata, con una cultura ad hoc, che aumenta in maniera esponenziale le diseguaglianze sociali.


















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