mercoledì 7 agosto 2013

Precisazioni sull’intervista a Floriano Pirola comparsa nel periodico Concorezzo notizie, numero 2, 2012 . Segue: Galleria d'Arte Sacra , pagine 18 e 19.



Intervista a Floriano Pirola, storico giornalista e scrittore, una vita di ricerca fra scriptorium antichi e biblioteche in ogni parte del mondo. Pubblicato su ConcorezzoNotizie n.2 2012. 

 Intervista a Floriano Pirola, storico e scrittore
A Floriano Pirola, studioso appassionato e poliedrico e storico meticoloso, Concorezzo deve un'opera che pochissimi comuni italiani possono vantare; una storia monumentale di migliaia di pagine, documentata e rigorosa che nasconde una ricerca lunga decenni travagliata e degna di un racconto. Il secondo volume è stato pubblicato nel 2010 grazie allo supporto dell'Archivio Storico e alla volontà del Comune.
Ma se provate a chiedergli un consuntivo, vi risponderà così: «Cosa ho scoperto? Cosa so della storia di Concorezzo rispetto a quello che c'è da sapere? Quattro notizie! E' una constatazione! Potevo scrivere altro che 1500 pagine, dieci volumi!»


Signor Pirola, come è germogliata in lei l'idea di scrivere la storia di Concorezzo?

«Oh, fin da bambino; mia mamma era una De Giorgi, i nonni e gli zii erano nobili decaduti, che parlavano di risalire fin alla regina Teodolinda... S'immagini un bambino che sente parlare di queste cose! Mia madre si è sposata a Lomello, proprio perché si narra che lì si sia sposata la regina longobarda.
Anch'io ho preso l'impronta della famiglia materna, di gente poco pratica... forse è sbagliato, oggi capisco che è meglio pensare al denaro...» sorride.


Dice?

«Ho fatto una vita piena e conosciuto gente importante, ma si vede che sono nato sbagliato; invece di scrivere avrei dovuto far soldi e ne avrei fatti tanti! Ho avuto rapporti con Andreotti, per dire, e molta gente con cui potevi fare quello che volevi: ma avevo una testa così, dura. Non volevo legarmi a nessuno, volevo scrivere!».

Per essere più libero?

«Certo! Quand'ero nella Democrazia Cristiana scrissi alcuni articoli sulla questione meridionale. Mi fu fatto notare che erano scomodi: «Sarebbe meglio se lasciasse perdere». Ed io: «Va bene, non ne scrivo più, e abbandono anche la politica».


Quando ha iniziato la professione di giornalista?

«Nel '48 con il 'Il popolo lombardo', dove fra gli altri ho conosciuto personaggi come Franco Maria Malfatti, don Della Torre e don Baget Bozzo rimasto poi amico di una vita; ottimo a scrivere, bravissimo oratore, con il quale ho litigato per alcune scelte fino alla fine... Come si arrabbiava!» sorride. «Nel '50 ho conosciuto William Egon Colby, poi capo della Cia, a Roma per fondare Gladio; è stato fatto annegare nel 1996. In quel periodo veniva spesso a trovarmi a Milano, mi aveva preso in simpatia. Grazie alla guerra e al mio lavoro ho conosciuto molta gente; non ho fatto il servizio militare ma ho trascorso in borghese il periodo di leva in un tentativo di intelligence dei carabinieri, con il colonnello Santoro. A Monza fu depositata  nei miei confronti una denuncia da parte delle brigate nere riguardo al fatto che avessi rapporti con i partigiani, perché nel '43 avevo fatto aiutato un paracadutista americano che parlava perfettamente l'taliano.
Nel '48 qualcuno venne a conoscenza del mio rapporto con i carabinieri a Concorezzo e mi minacciarono: "ti faremo la festa!".
Alla fine della guerra avevo la tessera di partigiano, anche se partigiano non lo sono mai stato perché all'epoca ero solo un ragazzo di 15 anni.»


Con tutto questo come ha iniziato la ricerca sulle origini di Concorezzo?

«La occupazione principale è stata quella del giornalismo, ho curato decine di pubblicazioni e libri, tenuto corsi di inglese per la Bocconi e collaborato a un dizionario italiano-inglese di economia.
Ho lavorato a l'Italia, al Corriere Lombardo, Oggi, Patria, il Cittadino di Monza, l'Eco di Bergamo, la Prealpina... ma sa cosa le dico?


Dica...

«Avrei mollato tutto per dedicarmi solo a questa ricerca! Per stare in mezzo a questi scriptorium antichi, come quello del monastero di Meda... Ogni volta che trovavo un piccolo documento ero contento, a partire dalla letterina di corrispondenza privata, anche di cronaca... ma quando trovi un manoscritto, una mappa, un documento del 1200... Che vuole che le dica? Diventò un' autentica passione! Esistono tante di quelle pergamene nell'archivio di stato di Milano, io ne ho trascritte 700; per me era un autentico piacere, quando riuscivo a capire, a seguire un filo, colmare un buco... studiando quelle enormi pergamene, di 1 metro x 1 metro e mzzo magari mezze bruciacchiate...»


La ricerca quando è iniziata?

«Attorno al '50, quando con l'amico Brusa lavoravo al Cittadino di Monza, città con la quale Concorezzo ha avuto sempre forti legami. Già allora il collega Vittorio Villa teneva una rubrica di storia dal 1932. Ma il lavoro è stato molto duro, sa? Spesso ho fatto tutto da solo (coadivato talvolta dell'ing. Pella o dal dottor Santambrogio); talora addirittura osteggiato da istituzioni del tutto disinteressate alla storia, o da colleghi invidiosi e rancorosi. Grandi felicità e grandissime delusioni..»


Delusioni?

«Nel 1989 ho portato la maggior parte dei documenti antichi (che ho raccolto dovunque, anche con ingenti spese personali da librai antiquari) in mio possesso a fotografare da Antonio Viganò... una settimana di lavoro; dopo un mese vengo a sapere che la macchina aveva un guasto, e il lavoro era andato perso. Pochi mesi dopo, a causa di un trasloco, ho donato circa 2000 volumi a  una biblioteca e mentre ero in attesa della nascita dell'Archivio storico ho stipato i documenti originali in un box affittato in paese; torno dopo l'estate per cercare un documento che interessava al signor Carzaniga e ho fatto una brutta scoperta: nessuna efrazione, nessun disordine... avevano rubato solo i documenti che avevo raccolto su Concorezzo, e venti blocknotes sui quali per 30 anni avevo annotato ogni fonte o persona incontrati nella mia ricerca... un colpo che mi fa male ancora oggi; chi avesse voluto proseguire la ricerca dopo me aveva già la strada aperta...» si emoziona.


C'è qualche scoperta che ricorda con più piacere?

«Oh, sono moltissime. Ma nella ricerca storica bisogna prestare attenzione, ci sono tanti di quei falsi a partire da Costantino... vere e proprie trascrizioni di documenti fasulle; la storia è sempre uguale! Nelle mie ricerche ho avuto sovente contatti con nobili casati, milanesi e lombarde. Ricordo una baronessa che mi disse: “ma cosa vuole... io non farò mai vedere niente a nessuno, perché qui ti portano via tutto... ti dicono che è loro!”
Oh i nobili, le porcherie che hanno fatto per rubare al povero cristo che aveva un terreno... non ne ha idea... E così probabilmente anche i parenti di mia madre, perché se andavano avanti dal tempo di Teodolinda...» scherza divertito. «Negli anni 60-70 alla fiera di Senigallia a Milano si trovava di tutto: dentro un tomo trovai nascosta una pergamena del 1130 in cui fra angoli scomparsi della città di Milano si menzionava anche Concorezzo, pergamena che ho donato al Comune. Oppure quando studiando il testamento di Ariprando inseguii lo smembrato archivio della defunta chiesa di Santa Maria alla Passerella di Milano, giungendo ad un documento che ne riprendeva un altro ancora più antico, del 727, su un privilegio concesso dal re longobardo Liutprando dove erano incluse chiese di Concorezzo. Oppure la scoperta dei primi insediamenti, celti; se fossero liguri , o galli o... non è facile stabilirlo, ma che l'origine sia romana si può escludere nel modo più assoluto. D'insediamenti romani c'erano quasi certamente residui nell'antico castrum romano in fondo a viale della Repubblica, ma l'hanno fatto sparire in una notte perché dovevano costruirci sopra. Le prove dell'origine cerlica invece sono nella forma stessa di Concorezzo; in fondo a via libertà, dove c'era la chiesa di San Damiano, il suolo era circa due metri sopra il territorio circostante; lì sotto si rivelava un antico vico gallico, con un piccolo santuario (un'edicola?).»


C'é dunque ancora da scoprire?

«Come no! Mi spiace soltanto che forse, quando non ci sarò più, qualcuno tirerà fuori i documenti trafugati e alcune strambe teorie e io non potrò più contraddirlo, ed avrà ragione perché..."chi vùsa pusè la vaca l'è sua!"



PRECISAZIONI sull’intervista a Floriano Pirola comparsa nel periodico ConcorezzoNotizie, numero 2 2012, pagine 18 e 19.

Una premessa: ciò che ho fatto per la Storia di Concorezzo avrebbe potuto farlo  chi avesse saputo e voluto dedicare alla ricerca del passato del Borgo buona parte della propria esistenza.  

Partendo da questa premessa, mi sembra legittimo che io non desideri lasciare tracciare un mio pur schematico profilo sulla base delle interpretazioni anomale che questa intervista può generare in chi legge.  Infatti, essa avrebbe dovuto essere dedicata al secondo volume della Storia di Concorezzo.  Se così fosse stato, sarebbero anomale queste troppo lunghe o troppo brevi precisazioni
Non est cur sileam.    

 Se iI passato, in una forma o in un’altra, affiora, dando un’impronta all’individuo, quando si viene a contatto con la realtà, non è detto che sia facile accettarla così com’è, qualunque sia l’impronta. All’inizio chi è che non spera di riuscire a modificarla? Questo, dopo un po’, il più delle volte si rivela un pio desiderio. A questo punto, ciò può determinare un attrito fra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. 
E chi s’ illude di fare chiarezza per mezzo della carta stampata,  ed è il caso mio, si accorge di cozzare, il più delle volte, contro pareti di gomma.     
L’unica via percorribile sembra quella della ricerca del passato con la miniera di lezioni che la Storia può offrire. Neppure qui tutto può andare, però, nel migliore dei modi possibili. 
Alla fine ti rendi conto che tutto si é sempre mosso sulle stesse acque, anche se con imbarcazioni diverse, per finire a un Gattopardo di turno. 
Insomma, é un continuo pestar acqua in un mortaio. A che pro? 
Esimersi dall’assolvere il dovere imprescindibile di essere se stessi?
Ignorare la preparazione mentale con un simile indirizzo di pensiero?
Direi che sia un dovere usare, piuttosto, i mezzi impopolari della ragione. 

Iniziamo: cercando di rimediare a tant’è suonare un corno che un violino e cioè alle approssimazioni sparse nell’intervista che ha fatto dire a qualcuno: è un pot-pourrì, vale a dire una composizione male indovinata, o… non saprei cos’altro: si spera, non peggio. Non è ben chiaro se chi legge si trovi di fronte a un Pirola  vaso di coccio tra tanti vasi di ferro… ad un aspirante primula rossa, o…  Difatti, qui ognuno può pensare ciò che meglio gli sta. 

Il 24 maggio 2012 il vice sindaco mi scriveva: “ La disturbo per chiederLe una cortesia. Sul nostro informatore comunale cureremo un servizio speciale dedicato al secondo volume de "La storia di Concorezzo". Vorrei chiederle se, gentilmente, 
potesse concederci una breve intervista sul come è nato il volume,
piccoli aneddoti della Sua ricerca…”
L’inviato del Comune per l’intervista ricevette materiale cartaceo più che sufficiente a redigere un buon pezzo: sarebbe bastato leggerlo.  
E il nostro sapeva, inoltre, che l’intervistato era disposto, con un po’ di tempo e di pazienza, a dargli, in un modo o nell’altro, una mano per imprimere all’intervista quella veste culturale adeguata al lavoro svolto da me con la Storia di Concorezzo. 
Intanto prima di scrivere un articolo o mettere sulla carta il frutto di un’intervista, un giornalista sa che si annotano tutte le cose che si vogliono dire. Analizzando qual è la cosa più importante, quale meno. Che cosa é principale, che cosa è secondario. Che si dispone in ordine il contenuto e lo si sviluppa dialetticamente, con chiarezza e semplicità; semplicisticamente, no. 
Se poi si vuole parlare di una persona, la sua figura deve delinearsi da sé attraverso le sue opere, esposte con cognizione di causa e ordinatamente. Quello che si legge nell’intervista, invece, si può solo interpretare pensando che uno scriva per altre ragioni utilizzando un tipo d’ informazione mediatica di moda.  E, cioè, contare sulla credulità della gente più che comunicare notizie, senza che vi sia modo per chi legge di sentire l’altra campana. Può finire così una relativa fiducia in un codice comune, in una logica condivisa nel significato delle parole. E’ per questo che si crede più al gossip che a quanto si può vedere?
Quindi, qualora nello stendere quanto raccolto con l’intervista si presentassero punti non chiari si chiede all’intervistato di precisare. Altrimenti, mi sembrerebbe legittimo pensare che il nostro non fosse all’altezza del compito: cosa che non credo.  Mi suonerebbe meglio quel che si sente ripetere di tanto in tanto attribuito ad Andreotti: a pensar male non si sbaglia mai.  
Del resto é sufficiente scorrere le pagine della nostra letteratura per rinvenire conferme in ogni epoca: Se studio l’uomo ad ogni passo incaglio, - E quando credo aver dato nel segno,- Di lì a poco m’accorgo dello sbaglio. 
Dalla riserva umana non sono stati, però, mai banditi nè Sinone nè Giuda Iscariota e, figuriamoci le camarille; che, anzi, nel tempo si sono fuse, potenziandosi.

E seguitando: la militanza nella Democrazia Cristiana. E’ stata di breve durata da Giuseppe Dossetti, con Franco Maria Malfatti di Roma poi segretario del presidente della Repubblica; Gianni Baget Bozzo di Genova consigliere prima di Craxi e poi di Berlusconi; e Italo Uggeri di Milano,  passato dal Popolo Lombardo alla RAI. Che avevano tutti alcuni anni più di me.
Poco dopo mi sono trovato nel Comitato direttivo provinciale dc di Milano, forse per Uggeri, senza essere iscritto al partito.  E fu allora che dalla segreteria venne  chiamato in via Clerici Franco Verga da Affori, un anno minore di me, al quale diedi una mano agli inizi, prima che arrivasse a costituire il COI (Centro Orientamento Immigrati), per fargli ottenere, non sempre con successo, sovvenzioni specie da banchieri per le sue attività  assistenziali di cui essi non vedevano alcun ritorno.  Verga, comunque, divenne, a distanza di non molto tempo, onorevole. E un po’ più in là negli anni, se si va a leggere le cronache di Milano, venne trovato una mattina affogato nella vasca a lato della chiesa in via Farini. Vincenzo La Russa, senatore dc, gli dedicò una monografia.    

Per quanto riguarda Andreotti: uno dei più estroversi esponenti della DC, lo conobbi a Roma, non in piazza del Gesù. Riuscendo a parlare seriamente con lui c’era ogni volta da imparare. E ancora nei primi anni 50 non fu il solo, come Mariano Rumor di Vicenza quando ancora non era completamente emerso, ed altri esponenti della Democrazia Cristiana. Ma mi sono sempre guardato bene di chiedere qualche cosa a qualcuno, fosse emerso o… sommerso. Perché il farlo avrebbe significato accettare la parte del sissignore!  riconoscendo così ciò che facevano i più grandicelli.  Lo si faceva e, non direi proprio che non lo si faccia più, nelle segreterie di partito. Qualcuno in politica avrebbe voluto che continuassi a scrivere articoli con il suo nome e pure discorsi. La qual cosa, per amicizia, avevo fatto a volte agli inizi, quando ancora non avevo capito il meccanismo che faceva muovere la macchina.  
Ben presto non partecipai più a quel genere di attività politica, dopo le prime esperienze fatte tra i politici di professione del nord (Lombardia e Veneto) come del sud (Campania e Sicilia dove trascorsi, saltuariamente, mesi), già arrivati.  Presi allora posizione, a mezzo stampa, anche contro l’armatore Achille Lauro, sindaco di Napoli. 
Insomma a me il tipo di politica che avevo toccato con mano, a destra o a manca tirasse, non mi andava bene.  Se voler essere se stesso è idealismo o utopia… se questo è fuori moda…chissà che non sia per gli schemi mentali poco propenso a ignorare il freudiano interno paese straniero.  Sia come sia, si tratta di 60 anni fa; quando, usciti dal caos, l’incertezza e la confusione, ancora non si erano avviate verso  quel nuovo tipo di caos sotto i nostri occhi, e… io navigavo nell’area dei 20anni.       
Altrettanto fu per me la conoscenza di Mr. Colby quando lo incontrai a Roma. Egli aveva partecipato alla guerra 1940-1945; e dall’OSS alla CIA era passato tre anni prima, divenendone più tardi il direttore. 
Chi ha steso l’intervista, se ne avesse parlato con me prima di pubblicarla poteva imparare qualcosina in più, come avevo a suo tempo imparato. 
Difatti, altra cosa che non ho capito é perché tralasciare di aggiungere, essendo già noto, che prima avevo conosciuto e frequentato il direttore dell’United States Information Service di Milano, Mr. Conley, poi a Roma negli anni in cui Mrs. Luce vi era ambasciatrice. Personaggi, entrambi simpatici anche se non simili, che di politica non parlavano, o almeno non come i nostri politicanti.
Va tenuto conto che allora collaboravo ad alcune testate giornalistiche e, soprattutto volendo conoscere, le fonti utili non si trovavano ad ogni angolo di strada e neppure presso l’lstituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI)  in quello che fu il Palazzo Clerici a Milano, o presso diplomatici, pur conoscendone qualcuno. 
Dal direttore dell’ USIS ebbi occasioni e strumenti per capire l’uscita dell’Italia dall’autarchia e l’avvio al boom; un Paese che attingeva, in quel mondo diviso in due, dagli Stati Uniti nuove prospettive, insieme a novità nella vita di ogni giorno, non sempre nobili e neppure accettabili a scatola chiusa.  L’inizio di un percorso che ha avuto un franamento dopo l’altro, un po’ come le nostre montagne. E siamo arrivati dove siamo arrivati.
Si è dimenticato, inoltre, di dire che ho studiato pure la lingua russa e che fui in rapporto per diversi anni con un giornalista russo, di Kiev, Juri Pedan, il quale introdusse il mio romanzo La rabbia morta nella Biblioteca Lenin di Mosca. Mentre l’americano l’introdusse nella Biblioteca del Congresso a Washington.  
La memoria perde pezzi lungo la strada; ma qualche anima buona, non certo simile a quella shawiana si può stare certi, c’è sempre e, non ci sarebbe da meravigliarsi che, al momento opportuno per sè naturalmente, non mancherà di fare il gioco delle tre carte.  Basta guardarsi attorno per comprendere qual è oggi l’amore, non quello convenzionale, per il prossimo impegnato in qualche attività che si muova su binari diversi o disturbi il manovratore. E che il morto ha, qui meno là più, sempre torto. La diffamazione gratuita del morto, come si può vedere neppure così di rado nel panorama mediatico, è, poi, un classico di chi ha qualcosa da nascondere. Ad esempio i propri scheletri nell’armadio e… rispolverare l’antica regola di prospettare una verità centrale attorno alla quale far ruotare una serie di menzogne satelliti.

Ora vediamo da dove viene il chi vùsa pusé la vaca l’è sua. L’intervistatore non se ne è minimamente preoccupato: questo modo di dire non é una mia trovata, ma il titolo di una nota commedia del Teatro legnanese. 
Non meglio per le parole messe in bocca alla cosiddetta baronessa. Beh, scambiare una contessa per una baronessa non è certo grave per chi la scambia; mentre lo sono le parole messe in bocca a lei, l’esposizione. Insomma…io insisto, ma, forse, è cambiata soltanto la lingua italiana. 
Filosofia e linguistica a parte. Vi fu chi avanzò, conoscendo la situazione, concrete proposte che non si coniugavano, ripeto, con i miei schemi mentali.  Ritenevo, oramai, che il tempo di scrivere in quella forma  si era concluso. …la mia favola breve era già compita…A che sarebbe servito continuare cambiando solo facciata?  Non certo a ridarmi il tempo perduto, né a correggere ciò che pensavo, ma, soprattutto, nell’assistere a quanto andava degradandosi nel mondo che mi circondava. Senza volere prendere il posto di Cassandra.
Perciò, titolare di un Centro di Formazione, anche se non era l’ufficio stampa, che si era perduto  fra arcana e arcani, e… poi, in modo particolare la Storia, un campo in cui potevo impegnare e approfondire quello che avevo imparato, per maggiore personale soddisfazione e utilità di coloro che il passato locale  avrebbero dovuto o voluto conoscere. Per avvicinarmi al mio essere me stesso, forse bastava. Già, sulla falsariga del personaggio del mio romanzo La coscienza del limite? Sempre meglio di quello della Rabbia morta.

Tuttavia continuo a non capire come si possano presentare così le notizie: del paracadutista americano (tra paracadutato e paracadutista direi che una differenza c’è ed evidente, specie se si tratta di James J. Angleton che visse da ragazzo a Milano con la famiglia gli anni Trenta fino all'inizio della seconda guerra mondiale; don della Torre,   salesiano arrivato in via Copernico a Milano durante la guerra, vicino alla Resistenza, morto prematuramente; mentre i Salesiani gestivano, quando ero un ragazzo, il Collegio Giglio di Vendrogno in Valsassina dove trascorsi tutte le estati dall’età di 5anni fino ai 15 anni); la denuncia: non dalle brigate nere (a chi avrebbero potuto denunciarmi: alla Gestapo?), ma alle brigate nere; la tessera di partigiano senza esserlo  stato… Mi balzano agli occhi simili scivoloni solo perché miro, senza arrivarci, alla perfezione? No, perché sullo sfondo intravedo ombre. Infatti, leggendo ciò, chi non mi conosce può pensare di tutto, ma farsi un’idea di come stiano veramente le cose, anche con tutta la buona volontà, credo che sia impossibile. 
Dunque, sempre che le cose ripetute giovino realmente, prima di scrivere non solo ci si documenta, ma anche ci si accerta che le notizie siano documentabili almeno presso chi le ha fornite. Non ci si può affidare soltanto a ciò che si dice e si sente, magari in un roco, stentio e monco mormorare, senza approfondire…a meno di essere onniscienti.  E mi fermo qui perché non mi interessa tanto chi scrive, ma che cosa e come la scrive.     
Questo o quello, l’importante che l’intervistatore non esca dal seminato o, almeno, in seguito, se viene  cercato, si faccia trovare. Diversamente, che si può pensare, dopo quanto detto?. E’ il caso di dire:…et ab uno disce omnis?
Altrettanto per l’altra mia esperienza di cosiddetta intelligence.  Altro punto, che se si voleva toccare, andava spiegato. Capisco che non tutti possano conoscere la storia del passato remoto, ma per uno che scrive per un periodico o altra stampa conoscere almeno la storia di ieri…quella dei padri, dei nonni…. Cercherò di spiegarla in poche righe. Negli anni del dopoguerra la confusione sociale e politica era ancora diffusa e non risparmiava le istituzioni.  Una guerra perduta, il rientro dei deportati dalla prigionia, ex militari di ogni arma.…i disagi sociali di ogni genere… questore di Milano, noto … stazioni dei Carabinieri in provincia, Vimercate compresa, dalle quali di notte i militi, pochi, e ad uscire correvano il rischio della vita, circolando  uomini armati e pure pronti a reagire come la guerra civile aveva loro insegnato… 
Casi? No, non posso certo, pur conoscendone molti, illustrarli tutti in questa sede.  E non ignorerei le parole di Stendhal: La prima cosa da fare, quando si vuol conoscere la storia d’Italia, è astenersi dal leggere gli autori generalmente approvati; in nessun altro luogo si è conosciuto meglio il prezzo della menzogna, in nessun altro luogo è stata meglio pagata.
Tornando alla cosiddetta intelligence. Anche qui l’importante è che uno che legge non interpreti questo vocabolo sulla base dei film come 007 Licenza di uccidere o simili visti al  cinema.  Naturalmente non ci sarò arrivato per caso dopo avere seguito l’iter ufficiale delle prove attitudinali, al vecchio (per il giovane che ero allora) gentiluomo meridionale, colonnello Santoro, Comandante della Legione di Milano. Al quale non dispiaceva affatto avere attorno un ragazzo venuto dalla Brianza per parlare, talvolta alla presenza di suoi amici delle cose più diverse, fra questi Missionari in Asia, per me anche interessanti e utili. E i contatti non mancarono certamente all’esterno, ma si trattò quasi sempre di contatti molto ristretti e di poco conto.  Non si possono fare paragoni, neppure lontanamente, con i tempi a noi più vicini.  Tanto è vero che a distanza di oltre 60 anni non è per niente facile andare a memoria, perchè i ricordi sono smozzicati, sfocati o cancellati. In ogni caso dire, si può dire tutto, ma è senza dubbio esagerato utilizzare per questo il termine intelligence nella sua accezione, stando come stavano le cose.  Perchè  per me un esonero gratis et amore dei, se proprio si voleva concederlo, come già  ufficialmente, sarebbe bastato, visto che c’era chi pagava per ottenerlo.  Era lo scrivere, il ricercare che già mi faceva vivere: repetita iuvant. 
L’unico aspetto che ha colto l’intervistatore, ma lo ha esposto un po’ troppo semplicisticamente, é che non volevo portar via né prendere niente a e da nessuno: se mai, dare, come non è difficile constatare in ogni contatto che ho avuto.
Comunque quel periodo comprese, potrei sbagliarmi, le settimane (o i mesi?) in cui la Jugoslavia di Tito e i comunisti del Nord movimentarono la scena italiana per rapporti di cui si dissero tante cose. Quello che ricordo é che nel nostro Paese l’ordine ancora non c’era. E di rischi se ne potevano trovare ad ogni angolo, specie per un giovane.
Anche in questo caso se non ci si è documentati su fatti e persone di cui si parla, accontentandosi di mezze parole, un vocabolo a mezz’aria, é molto meglio evitare gli accenni, quasi sempre fonti di ambiguità o di gusci vuoti che vi è chi sa sempre come riempire.    
Insomma da parte dell’intervistatore sui casi sopra e in seguito citati si è saltato a piè pari la precisazione ….  infilando lo scopo principale dell’intervista, che avrebbe dovuto essere la Storia di Concorezzo, in una specie di caleidoscopio. 
Eppure chi fece l’intervista, in data 21 giugno 2012 scrisse: Grazie signor Pirola, davvero molto interessante; colgo anche l'occasione per ringraziarla per l'accoglienza e per il bello spaccato reso dall'intervista sulla sua vita e sulla certosina ricerca sulle radici di Concorezzo. Spero vivamente che i due libri suscitino l'interesse anche nelle nuove generazioni per continuare la ricerca storica che ha sapientemente condotto fin ora.
Dopo queste parole che cosa si può pensare, se non sono più riuscito ad avere un contatto con lui per sapere almeno quando avrebbe messo sulla carta l’intervista?

Ritornando alle precisazioni. Non diversamente si può dire, infatti, di quel “ero nella DC” quando nel corso di un’inchiesta sulla Questione meridionale pubblicai una serie di articoli. 
 E’ vero Realtà Politica era un giornale vicino al Vaticano e vi scrivevano dc. e anche don Sturzo, che conobbi quando era quasi alla fine della sua vita. E il direttore, più anziano di me, ma mio amico, mi disse, più o meno queste parole: “dobbiamo interrompere la pubblicazione dell’inchiesta sul Mezzogiorno perchè quei notabili  dc  capiscono ciò che a loro fa comodo ”. Ed era un meridionale e non certo di sinistra.  Fosse stato l’unico episodio: ve ne furono altri, considerati, non da me ovviamente, ma dai politici del momento più critici, trattandosi di inchieste ancora più  di viva attualità … Il giornalismo non si fa alla maniera dei politici di 50 o 60 anni fa; ma… che cos’è sostanzialmente cambiato?


Si legge poi che ho trascritte 700 pergamene presso l’Archivio di Stato di Milano (sarebbero quelle riguardanti la Pieve di Vimercate la cui sede era stato per secoli l’Archivio della Chiesa plebana di Vimercate). Veramente le ho visionate e segnalate, è vero; ma ne ho trascritte e pubblicate solo alcune (in Civiltà ambrosiana, i Quaderni della Brianza…) anche se sarebbe stato per me un gran piacere anche solo trascriverle tutte. L’avevo proposta a suo tempo al Prevosto di Vimercate, mons. Castiglioni, che volle la pubblicazione della Storia di Vimercate, e si stava adoperando per farle rientrare nell’antica sede, quando…oltre la salute sua, qualcos’altro non deve essere andato per il verso giusto. In queste pergamene vi si trovano notizie a partire dal Mille sulla Pieve di Vimercate, della quale Concorezzo era parte. E qualcuno, prima o poi, dovrà pur finire per pensarci. Anzi può darsi che qualcuno l’abbia anche fatto: sono passati più di trent’anni! A Monsignore, per la storia, ed ai suoi fui vicino per diversi anni.
Ancora, la pergamena del 1130 donata al Comune di Concorezzo non era dentro un tomo bensì, tutta pieghettata come allora anche si usava, nel fascicolo della descrizione dell’arch. Felice Soave della casa da nobile, chiesa della Passarella e dintorni, più tardi utilizzato con Mario Monti per un volume su quell’area del centro di Milano. E scomparso dopo la pubblicazione. 
Segue, quindi, “il collega Vittorio Villa”, il Signor Vittorio Villa al quale venne proposto a nome mio nel 1978 dal dottor Santambrogio di partecipare al volume della mia Storia di Concorezzo con le carte antiche e le vecchie foto di cui diceva di disporre, ma che lui rifiutò: rifiutava dal 1950, quando il tramite era stato don Giuseppe Sala, allora Assistente dell’Oratorio maschile.   

Per l’Università Bocconi non ho mai tenuto corsi intensivi d’inglese.  
Questa Università inviava i suoi master a Villa Crippa per Total immersion language training (TILT) inglese-americano, dove ero, sì, titolare della Formazione  per la Centrale Finanziaria; ma i corsi  erano tenuti da docenti americani che seguivano per il governo la loro lingua nel mondo. Semmai gestivo quei corsi nei mesi in cui non si tenevano quelli di formazione per le banche e i Meeting a Villa Crippa. E quando non dovevo occuparmi dei contatti con le banche Inter-Alpha Group con sede nelle capitali europee, per quello che riguardava la formazione e, con l’ing. Passera, per i centri elaborazione dati.
Ho curato e pubblicato, altresì, Manuali in italiano-inglese e italiano- spagnolo per i corsi suddetti; e per l’Associazione Nazionale Aziende Ordinarie di Credito: un Handbook, pubblicato nel 1979 e 1981, usato anche nei territori americani del nord e del sud. Infatti il gruppo ambrosiano aveva, fra l’altro, una sede alle Bahamas e il Banco Ambrosiano de America del Sud S.A. a Buenos Aires.
E, per finire, con il prof. Livio Codeluppi collaborai alla compilazione del suo A new dictionary of economics and banks – English-Italian . Italian-English, con il patrocinio dell’Università Commerciale Luigi Bocconi. 
Livio Codeluppi  scrisse nella dedica posta all’inizio del volume a me riservato: All’amico Floriano Pirola –rerum historicarum scriptor- in ricordo del lavoro in comune.

E qui chiudo l’elencazione delle precisazioni, senza aggiungere, però, quanto nel teatro di Euripide si declamava nel IV secolo a. C., con una saggezza che supera il tempo, sull’investigare e l’inventare.

21 luglio 2012

Caro Ferrario,

ripensando all’ultima sua mail a proposito del lupo ( senza dimenticare, però, che superior stabat lupus, longique inferior agnus… e che se la favola di Fedro ha superato i secoli…) , direi proprio che la ricerca della verità non ha fatto altro che nuocermi. La verità, ripudiata sin dagli inizi della presenza umana sulla terra, ha generato il regno della menzogna dando vita a ogni genere di sterco. E uno di questi rifiuti è schizzato più volte anche sulla mia immagine e neppure post mortem conservatori redenti o innovatori credenti riusciranno forse a eliminare. Ma… chi può dire che il nome nostro arrivi proprio fino alla morte?

A parte questa storpiata estrapolazione di una saggia considerazione petrarchesca, dal momento che così pare debba continuare ancora questa esistenza sulla terra, il marcio continuerà la sua marcia. Che fare?

Dunque, lei ha ragione.

Buona giornata.

Pirola

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 Purtroppo oggi si crede più al gossip, come una volta si credeva alle favole. Che le voci siano positive o negative, vere o false, non importa: neppure quando sono in  contrasto con le nostre convinzioni.
Importante che così “La meretrice (l’invidia) che mai dall’ospizio, - di Cesare non torse li occhi putti, - morte comune, delle corti vizio, - infiammò contra me li animi tutti…”( Dante, Inferno XIII, Cerchio VII, girone 2°) non finisca per ottenere il suo scopo. Non ha importanza che si tratti di un Pier della Vigna o di una persona qualsiasi. 
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Da qui incomincia non una novella, ma un’antica storia: superior stabat lupus, longique inferior agnus.  Alla quale l’evoluzione darwiniana ha aggiunto la… congiura della tragedia shakespeariana dedicata a Giulio Cesare. Una congiura, però, è sempre una congiura, sia per  Cesare che per chiunque altro.
















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