Promemoria, 1999
“ E vidi che ogni sforzo e ogni impresa ben riuscita non è che oggetto d’invidia dell’uno con l’altro. Anche questo è delusione e inutile affanno” (Ecclesiastico, IV).
Se niente viene dal niente, anche la Storia di Concorezzo, da me sempre considerata solo un palinsesto sul quale operare una continua ricerca e costante verifica dei documenti che gli uomini e i secoli ancora non hanno distrutto, non può non avere avuto un punto di partenza.
Innanzitutto la mia ricerca è stata condotta in archivi e biblioteche, pubblici e privati, in Italia e all’estero. E con l’ausilio di altre fonti e di altri studiosi e ricercatori. Su di essa dovrà applicarsi chi vorrà partecipare a questo lavoro di certosina pazienza per arrivare il più vicino possibile al compimento della nostra Storia. Senza lasciarsi deviare qualora la Storia si presenti come quei “ lavori che a ogni variare d’inclinazione di un quadro presentano oggetto diverso del precedente, e talora anche contrario, sulla medesima superficie”.
Ma ecco quando e come incominciai ad interessarmi alla Storia di Concorezzo.
Con il brillante factotum de Il Cittadino di Monza, Boris Brusa, si faceva insieme buona parte del giornale, al quale continuai a collaborare per anni.
Monza ebbe uno stretto rapporto con il nostro borgo e ne conserva memoria la Biblioteca Capitolare in cui iniziai a esaminare i primi documenti.
Seguì, sotto la guida dell’indimenticabile prof. Natal Mario Lugaro, capo redattore del quotidiano L’Italia, la terza pagina di quel giornale, trascorrendo ore nelle Biblioteche: Ambrosiana, Brera e Trivulziana. Fin che per il suo direttore, mons. Ernesto Pisoni, ebbi incarichi di inviato speciale del Quotidiano. (1)
Seguirono incontri che di questa Storia segnarono le tappe future: mons. Giovanni Galbiati, latinista insigne (2) prefetto della Biblioteca Ambrosiana, che sulla lingua mi aprì orizzonti non consentiti alla travagliata scuola che frequentai nel periodo bellico; il prof. Alfio Rosario Natale, direttore dell’Archivio di Stato di Milano negli anni in cui la dottoressa Bellù era una delle sue Assistenti, con il quale perfezionai le mie cognizioni paleografiche (3) e mi erudii nella valutazione dei documenti medioevali, sino a divenirne amico; don Rinaldo Beretta, morto ultracentenario nel 1976, che mi aiutò, in maniera più semplice ma non meno efficace come era nella natura dell'operoso storico della Brianza”, a muovermi tra le carte e le memorie del nostro passato; padre Ilarino da Milano, curatore nel 1937 de La biblioteca dei frati minori capuccini di Lombardia (1535-1900); ma, soprattutto, noto studioso del catarismo che tra le sue opere annovera Il Liber supra stella del piacentino Salvo Burci contro i catari e le correnti ereticali del 1942 Egli, dopo avermi edotto sulle manifestazioni più significative dell’eresia del male nelle sue diverse espressioni, mi suggerì di trattare questa materia con cautela, anche caso per caso, e non prima di avere conosciuto la storia dei secoli in cui si era manifestata.
Fu così che seguendo gli insegnamenti di questi Maestri, e di altri dei quali purtroppo la sola memoria non è più sufficiente (4), passo dopo passo, nel corso della ricerca nella mia mente si compose il mosaico della Storia di Concorezzo raccogliendo dati e notizie e ritrovando carte fino a quel momento sconosciute, inedite. E iniziando a comprendere come la nostra storia non si ricostruisce leggendo una sola carta, bensì esaminando, verificando e interpretando tutte le carte ancora esistenti, trovarne conferma, talvolta in un cammino a ritroso. Spesso non privo di sorprese, dopo avere incrociato diari, lettere di contemporanei e ricostruzioni di posteri, tradizioni, documenti ufficiali come atti notarili, catastali, fiscali, leggi dell’epoca e oggetti, quali rovine, lapidi, monete. E dopo averne vagliato l’attendibilità, accertato le fonti e determinato il valore.
Con il passare degli anni mi resi conto che cercare i documenti riguardanti la nostra Storia assomigliava molto a una caccia al tesoro. Tanto che ancora oggi non sono sicuro che la frammentarietà da me rilevata nella documentazione sia dovuta a una perdita definitiva della parte mancante: non pochi dei documenti mancanti potrebbero trovarsi, infatti, in loco presso famiglie che qui vivono da generazioni sotto forma di memorie del loro passato o da qualche sacerdote che fu presente in parrocchia casualmente portate fra le sue carte in un’altra sede. E pure per altre vie. Come ho riscontrato nel corso delle mie ricerche.
Frequentando, poi, il conte Franco Arese, la cui casata ebbe origine in Concorezzo (5), ricercatore rigoroso delle genealogie patrizie milanesi degli ultimi cinque secoli, la mia Storia assunse contorni sempre più definiti. Tramite l’Arese arrivai pure ai Gallarati, presenti dal XV secolo nel borgo, dei quali i de Capitani di Scalve furono gli eredi approdando così a Concorezzo; e ad altre famiglie nobili che vi ebbero proprietà e, talvolta, anche residenza.
I contatti con studiosi e ricercatori crebbero passando da un archivio all’altro, in Milano, Bergamo, Mantova, Cremona, Pavia, archivi pubblici e privati situati in ville delle stesse province di cui, però, non dispongo più per le cause che preciserò, delle informazioni necessarie a chi vorrà proseguire su questa dissestata e faticosa strada.
Nel 1978 dovetti interrompere il mio studio su Concorezzo perché l’ammistrazione comunale in carica, che aveva appoggiato il Centro Civico Culturale - Biblioteca promotore dell’iniziativa, era giunta al suo termine.
E la prima stampa della Storia di Concorezzo apparve con imprecisioni di vario genere che sperai sarebbero state corrette. Ciò, purtroppo, non si verificò malgrado le mie segnalazioni.
ll mio lavoro, in una villa della Brianza, che consisteva nell’organizzare per La Centrale Finanziaria Generale SpA corsi, anche con docenti americani per master dell’Università Bocconi, seminari e convegni; e nel partecipare a meeting all’estero, mi costrinse ad incaricare Antonio Viganò di fotografare, fra l’altro, le antiche mappe del borgo in Archivio di Stato a Milano. Da cui nacque, postumo, qualche quiproquò.
E la prima stampa della Storia di Concorezzo apparve con imprecisioni di vario genere che sperai sarebbero state corrette. Ciò, purtroppo, non si verificò malgrado le mie segnalazioni.
ll mio lavoro, in una villa della Brianza, che consisteva nell’organizzare per La Centrale Finanziaria Generale SpA corsi, anche con docenti americani per master dell’Università Bocconi, seminari e convegni; e nel partecipare a meeting all’estero, mi costrinse ad incaricare Antonio Viganò di fotografare, fra l’altro, le antiche mappe del borgo in Archivio di Stato a Milano. Da cui nacque, postumo, qualche quiproquò.
Mi fu impossibile, inoltre, fra i vuoti che ogni selezione forzata determina, curare l’elenco bibliografico e, in particolare, esaminare avvenimenti recenti che, al pari di altri simili verificatisi nell’Ottocento nella storia di Concorezzo, potrebbero non trovare più le risposte esatte. Fra essi: l’abbattimento della torretta di via Libertà, secondo l’arch. Perogalli, che aveva esaminato la sua base attribuendola, mi assicurò, al primo Millennio della nostra èra, avanzo di un castello. Essa era posta nelle immediate vicinanze di un gruppo di case attorno alla chiesa di S. Salvatore, la parte longobarda ante borgo (?), forse ancora di un ramo della famiglia Concorezzo tra l’VIII e il X secolo. In ogni caso dal vico al borgo, e cioè fino a tutto il XII secolo, quando essi detengono il diritto di patronato sul monastero milanese di S. Agnese che ha proprietà in Concorezzo da essi gestite, non abbandonano la località dalla quale presero il nome.
Altro vuoto, la copertura del vestigio di un castrum (?) venuto alla luce sul lato nord del giardino già dei de Capitani, durante gli scavi delle fondamenta per una costruzione che poi vi sorse.
Cenni, che, però, non so fino a che punto possano avere contribuito a stimolare in qualche Concorezzese quel desiderio, in seguito manifestatosi, di conoscenza del passato in una forma più documentale. Ma altri capitoli, fra i quali quello della chiesa catara il cui fondatore avevo motivo di ritenere fosse appartenuto ad un ramo della famiglia Concorezzo divisa tra Cologno e il nostro borgo, non escluso quel Marco Lombardo che Dante incontra nel Purgatorio, canto XVI, rimasero da completare. E, subito dopo… perduti.
Di questa Storia, Giacomo Ronchi, emulo dei tipografi-editori delle cinquecentine, ne curò composizione e grafica, e Antonio Viganò, Presidente del Centro Civico Culturale-Biblioteca fece altrettanto per la parte fotografica. Entrambi parteciparono attivamente alla realizzazione di questo non facile lavoro al quale fra i primi avevano creduto.
Un disinteressato sostegno, super partes, mi prestò, invece, per oltre un decennio, il dottor Guerrino Santambrogio. Il quale mediò la partecipazione di Vittorio Villa alla Storia che egli rifiutò. E quando tentai approcci provocatori per interessare alla nostra Storia coloro che reputavo capaci e per far conoscere a Comune e Parrocchia l’esistenza della monografia da me curata sul periodo in cui don Girotti e Gerolamo Bonati furono rispettivamente parroco e podestà. Spero proprio che ciò possa riuscire Davide Ferrario al quale ho passato il testimone.
L’atteggiamento seguitone mi indusse ad esprimere al sindaco il 12 febbraio 1989 il mio disappunto. Concludendo:”…perché per me ricostruire la storia del paese che fu, rappresentava qualcosa che vive solo di memoria (non di pane certo o di gloria) ..”. In altre due righe di questa lettera al sindaco, che non la vide, ma qualcun altro sì, nelle quali scrivevo che non avrei lasciato che le mie carte arrivassero a Concorezzo, e quel qualcun altro trovò in esse lo spunto per organizzare nei due anni che seguirono la sparizione di queste.(Vedi dopo note copia della lettera,)
Mentre la mia insistenza focalizzata per alcuni anni su Egidio Gaiani affinchè alla sua attività politica e sociale affiancasse quella per la storia, fu l’unica a sortire un risultato che considerai di un certo rilievo. E’ così, infatti, che si formò il primo anello della catena di cultori di Storia locale. Tanto che, quando s’iniziò a parlare di costituire l’Archivio Storico di Concorezzo, fu Gaiani, ormai schierato per la storia, ad insistere a sua volta con me fino a persuadermi a donare al Comune una pergamena del 1130, da me rinvenuta alla Fiera di Senigallia, unita al fascicolo della Descrizione e stima della casa da nobile in contrada del Durino (6), al tempo in cui conducevo ricerche ad ampio raggio. Nonostante avessi espresso al direttore della Trivulziana l’intenzione di donarla all’Archivio Storico Civico perché d’interesse pure per Milano. La pergamena del XII secolo, in cui si nominano angoli scomparsi della città di Milano, rivela, difatti, uno dei rapporti che Concorezzo ebbe con le chiese milanesi.(7) Fu studiando il testamento di Ariprando che arrivai alla Chiesa di Santa Maria alla Passarella presso San Babila in Milano. Nel corso di questa ricerca esaminai un frammento di pergamena, non datata ma attribuibile sulla base delle carte esistenti in quell’Archivio, sparso, una volta scomparsa la chiesa di S. Maria alla Passarella tra le Parrocchie cittadine, alla seconda metà del 1100, in cui si citava la chiesa di S. Maria vicino a Porta Orientale il cui beneficiale vantava diritti sull’oratorio di S. Floriano e sulla chiesa di S. Salvatore in Concorezzo per il privilegio concesso dal re longobardo Liutprando nel 727. Oratorio e chiesa che nel 1200 troviamo sotto la giurisdizione della Chiesa di Vimercate. Altro campo di ricerca per la nostra storia che merita di essere scavato in profondità. Malgrado sia stato un altro spazio offerto a chi di storia importava assai meno del classico divide et impera. Che più?
Sempre Gaiani mi aveva assicurato che la mia lettera non era pervenuta al sindaco. E con il suo sorriso conciliatorio attribuì quel mio disappunto a un interesse per la ricerca che non tutti potevano comprendere: era solo questione di tempo … accendendo in me una speranza. Che ben presto qualcuno avrebbe spento.
Era nell’aria l’idea di un Archivo Storico di Concorezzo quando scrissi al sindaco: proprio nel momento in cui, cambiato casa, mi trovai in difficoltà nel gestire biblioteca ed archivio e fui costretto a passare ad una struttura pubblica (il Sindaco di Aicurzio) più di mille volumi ed a riporre le carte relative alla ricerca in uno umido scantinato.
Allo scopo di contribuire all’Archivio Storico di Concorezzo cui si intendeva dare vita, nel timore che le carte dove da me collocate fossero a rischio di finire nell’acqua, decisi di trasferirne a Concorezzo la maggior parte di quelle edite nel 1978 e... di quelle inedite. Alle quali unii annate di riviste estere che pensavo potessero tornare di utilità anche per una Biblioteca pubblica.
Nel frattempo avevo portato gran parte dei documenti a casa di Antonio Viganò, che abitava allora in via Valagussa, perché li fotografasse. Del tutto non si ebbe, però, alcun fotogramma, a causa di un guasto alla macchina fotografica del quale Viganò mi disse di essersi accorto solo al momento dello sviluppo dei negativi.
Questo trasferimento non ebbe un buon avvio. L’ing. Pella ed altri da me interpellati non disponevano di spazio per ospitare le mie carte. Giacomo Ronchi mi offrì un piccolo locale in via S. Michele del Carso, ma, trattandosi di uno spazio a lui proprio non inutile e per il quale egli non richiedeva compenso, non lo accettai, per prendere alla fine in affitto un box, dal geom. Parolini, come segnalatomi da chi avevo interpellato. Un box non era ciò che avrei voluto, ma in questo caso si trattava di una sistemazione ormai provvisoria.
L’ing. Pella, dal canto suo, era ormai convinto che la ricostruzione urbanistica del borgo, utilizzando la documentazione da me raccolta sui censimenti del Settecento e dell’Ottocento, avrebbe visto a breve la sua realizzazione. Per la quale la prof. Simonetta Coppa, studiosa della materia, frequentatrice assidua dell’Archivio di Stato, si era offerta di prestarmi la sua collaborazione. Che, unita all’esperienza tecnica dell’ing, Pella, per riproduzioni di mappe, planimetrie e disegni vari, avrebbe prodotto una bella pagina per la storia dell’antico borgo. Non certo paragonabile a quanto, dopo dieci anni, mi decisi, con ben altro spirito, a pubblicare quei dati e notizie in i Quaderni della Brianza. Anche se, secondo me, indubbiamente utile per il ricercatore. Dati e notizie di cui, però, in loco nessuno di coloro che erano stati da me informati al riguardo aveva compreso il significato. Eccetto l’ing. Pella con il quale avevo avuto in quegli anni numerosi, lunghi e interessanti incontri a Milano e a Rapallo su questo specifico argomento e su altre proiezioni della storia del borgo.
Per questo nel 1990 avevo scorporato l’archivio, non trasferendo a Concorezzo le carte censuarie necessarie per la ricostruzione dell’antico borgo, e lasciando quelle indicate Archivio Autore, in custodia, secondo gli accordi presi con chi me le aveva prestate per la Storia, pronto a riconsegnarle qualora mi fossero state richieste. Ma l’anno successivo il caso volle che l’ing. Pella, per impegni di lavoro, non fosse più in grado di partecipare alla realizzazione di quel progetto.
Erano gli anni in cui trascorrevo molti mesi al mare. Quando dopo l’estate tornai a Concorezzo per cercare una carta per il signor Carzaniga mi accorsi che la parte principale dell’archivio non c’era più. Ma non vi era effrazione nè disordine. Erano rimaste le annate delle riviste estere e carte di poco o nessun valore storico fra cui alcune centinaia di fotocopie di circolari governative e arcivescovili dal Cinque al Novecento, che non riguardavano Concorezzo, ma che, per il ricercatore, potevano servire a integrarne, se non altro nella cronologia, la nostra Storia. Nel 1998 l’ing. Pella, allora dell'Archivio Storico della Città di Concorezzo, mi accompagnò a Rapallo e gliele consegnai per il loro utilizzo.
Erano sparite, però, insieme alle carte tutte le mie annotazioni, segnature, schedature, segnalazioni delle località in cui si trovavano gli archivi esplorati e i nominativi di studiosi e ricercatori contattati. Erano andate perdute così le fatiche di una ricerca trentennale, un lavoro sintetizzato in venti block notes nei quali chi avrebbe proseguito la nostra Storia avrebbe potuto trovare indicazioni indispensabili, punti di riferimento precisi, per una ricerca più mirata. Questa perdita mi fece accusare più pesantemente il colpo. Tutto, ma non quello! Non volevo credere: cui prodest, mi chiedevo? A distanza di anni si può dire: non certamente alla Storia di Concorezzo. Incertezza, dubbi. E rimase in me una delusione profonda. Guai a chi è solo!?
Alla nostra Storia ne verrà un danno, forse irreparabile, se dovesse finire come per le carte comunali di Capelli nell’Ottocento e quelle del Novecento di Farina, da me inutilmente cercate, le prime a Milano e Pavia, e le seconde a Monza, che, tuttavia, non sarei sorpreso si ritrovassero, domani, anche se non tutte, a Concorezzo.
Come già avevo scritto al sindaco nella lettera finita chissà dove.
Ciò meglio può comprendere chi sa che cosa significhi ricercare, specie per quelle località del contado che al pari della nostra venne da cento mani spogliata di documenti comunali e parrocchiali dai quali, uniti agli altri, si sarebbe potuto ricavare una storia più vicina a quella veramente vissuta dalla Comunità almeno dal Sei al Novecento.(8)
Informato dell’accaduto chi mi aveva consegnato le carte da me segnalate Archivio Autore, essendo venuto a mancare colui che gliele aveva date, e, per l’età e per le sue condizioni di salute divenute precarie, mi consigliò, nel caso fosse venuto a mancare, di consegnarle alla Parrocchia. Al che provvidi nel giugno 1992.
Nel frattempo avevo sospeso le mie ricerche su Concorezzo medioevale delle quali alcune erano comparse in Il Cittadino di Monza tra la fine del 1990 e l’estate del 1991.
Anche per me gli anni passavano e la salute non migliorava: attendevo solo che, una volta costituito l’Archivio Storico di Concorezzo, qualcuno mi coadiuvasse nello studio di tutto quel materiale. Un lavoro di un solista affaticato non era più sufficiente. Era necessario oramai un lavoro di gruppo.
Ma nel 1993, quando Claudio Villa, assessore alla cultura, mi trasmise i provvedimenti comunali del 31.12.1992, “Impegno spesa per raccolta documentazione pubblicazione appendice alla Storia di Concorezzo”, lasciai cadere la richiesta.
Era, dunque, così che si doveva concludere una Storia di cui avevo intrapreso con passione la ricerca e lo studio? Sia stata concessione di fiducia eccessiva o un campo visivo ridotto che consentì a un minitalleyrand di inserirsi tra le parti per comandare il tutto… oppure ad un burlatore boccaccesco di divertirsi a buggerare un novello calandrino alla ricerca della pietra filosofale…o il leo senex della favola di Fedro…O... chiunque tu sia, ricorda:
“ La vita dell’uomo ha un numero limitato di giorni, ma i giorni di Concorezzo sono innumerevoli”. Ecclesiastico, XXXVII.
1 A Roma l’Ateneo di Studi Sociali nella Pontificia Università Gregoriana (più tardi Scienze politiche nell’Università italiana); a Milano l’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, per le esperienze maturate nel settore di alcuni Collaboratori della rivista Relazioni Internazionali che mi furono molto utili. In particolare l’ambasciatore Pietro Quaroni.
Il tutto unito alla conoscenza di francese, inglese, russo e spagnolo, che al tempo in cui fui titolare del Centro di formazione della Centrale Finanziaria, perfezionata la mia conoscenza specifica delle lingue, mi fu utile per curare Handbook, manuali nelle due lingue italiano-inglese e italiano- spagnolo per istituti di credito, assicurazioni e centri di elaborazione dati appartenenti al gruppo che faceva capo alla Centrale, utilizzati in Italia, a Nassau e in Paesi ispano-americani. E partecipare con l’amico prof. Livio Codeluppi alla compilazione di A new dictionary of economics and banking, con il patrocinio dell’ Università Luigi Bocconi. .
2 Nato a Carugo, in Brianza, nel 1881, con papa Ratti percorse un lungo cammino. All’Ambrosiana lo chiamò il Ceriani nel 1905 e nel 1924 ne raccolse la Prefettura dopo il Ratti e il Gramatica, lasciandola nel 1953. Le Journal des Savants, organo dell’Institut de France, scrisse che “ dal periodo del Rinascimento, dopo il Bembo e il Mureto, nessuno forse più di mons. Galbiati ha saputo esprimere e riprodurre lo scintillare della prosa del Lazio in forme così pure, robuste e nobili”.
3 Dopo averla studiata sui testi di Giulio Battelli, professore della Pontificia Scuola Vaticana di Paleografia e Diplomatica, dalle sue Lezioni di Paleografia, terza edizione 1949; dell’abate bolognese Giovan-Grisostomo Trombelli L’arte di conoscere l’età de’ codici latini e italiani, del 1756, e altre.
4 Studiosi e ricercatori, professori, come: don Enrico Cattaneo, Gianluigi Barni, Gigliola Soldi Rondinini, Caterina Santoro, Claudio Cesare Secchi, esperto della Storia di Milano e del Manzoni; Livia Fasola, assistente presso Deutsches Historisces Institut e ricercatrice a Halle, al tempo in cui mi interessai a Civate per i secoli della sua potenza, se poteva esservi stato un rapporto con il nostro borgo; Giulio Guderzo dell’Università di Pavia, profondo conoscitore dei censimenti del Sette e Ottocento; Giannino Antona Traversi per le preziose pergamene del potente monastero di Meda che egli conservava nella sua residenza accanto alla villa già dei de Capitani di Scalve; un archivio in una villa (Suardi?) a Carobbio degli Angeli alla ricerca di una traccia del Colleoni di Bergamo che fu curato a Concorezzo nel XVI secolo e… antiquari, collezionisti.
Mi interessai, però, anche di: Cattedrali di Francia; la Villa romana di Piazza Armerina, poco discosto da Piazza Armerina in contrada Casale, provincia di Enna durante la mia permanenza in Sicilia al principio degli anni Cinquanta; la Basilica di S. Sebastiano a Biella, quando fui a Il Biellese con don Lacchio, direttore; L’ospedale di S.Maria dei poveri di Treviglio del quale, oltre la pianta conservata nell’Archivio della Curia milanese, nel 1971 rinvenni pure, presso l’ASMi, le piante, fino allora disperse, per l’arch. Luigi Cassani di Treviglio; e di altre pagine di storia milanese, brianzola e lombarda che apparvero, tra quelle che ricordo, in: L’Italia, Il Cittadino di Monza, Realtà Politica, Comunità Europea, Mondo Cattolico, i Quaderni della Brianza, Diocesi di Milano, Terra Ambrosiana, Civiltà Ambrosiana, Dizionario della Chiesa ambrosiana, ma anche a riviste di cultura fra cui Letture d’Italia e Alla bottega. Per la parte storica pubblicai altresì in Libri e documenti della Trivulziana alcune delle circa 700 pergamene della Collegiata di S. Stefano in Vimercate conservate presso l’ASMi e non ancora studiate come meriterebbero. Ultimo: Balzarino Pusterla e la Certosa di Baggio (secoli XIV-XV) . sorta quasi contemporaneamente alla Certosa di Pavia negli ultimi anni in cui il Pusterla fu al servizio di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano.
Questo detto per sommi capi, e sempre a memoria: i miei traslochi successivi al 1990 mi hanno causato non poche perdite nelle raccolte dei giornali e riviste ai quali ho collaborato.
5 L’omonimo capostipite sposò, infatti, nell’oratorio di S.Vincenzo l’anno 1610, Elena Rabbia, vedova di Cesare de Capitani di Scalve. Franco Arese Lucini, nato nel 1918, è morto nella sua villa di Osnago, paese di cui fu pure sindaco, nel 1994. Fu presidente per la Lombardia della Associazione Dimore Storiche Italiane e vice presidente della Società Archivistica Genealogica.
Egli condusse ricerche in Spagna: dall’Archivio di Simancas, Valladolid, ad alcune sezioni dell’Archivio Historico National per la storia del ducato di Milano.
6 In via Calatafimi e adiacenze (Porta Ticinese), dove questa Fiera, nata nel Settecento, si tiene il sabato, erano state trovate negli anni passati anche pergamene dell’Inquisizione, che Maria Teresa aveva dato ordine di bruciare quando il grosso degli atti era custodito presso S. Maria delle Grazie in Milano. Con tali pergamene per parecchio tempo bottegai milanesi, vi é memoria, incartarono i prodotti che vendevano. E fino al 1960-1970 sulle sue bancarelle si trovava di tutto.
Il fascicolo con la Descrizione della casa di via Durino dell’arch. Soave rimase nel cassetto fin che insieme al prof. Pietro Berri, originario di San Remo, primario presso l’ospedale di Rapallo, incontrai l’amico Mario Monti, legato a Concorezzo per la famiglia di Federico Varisco. Pietro Berri era appassionato della vita di Niccolò Paganini e della storia di Rapallo al tempo in cui era considerato la perla del Tigullio. Il nostro Monti curò, infatti, nel 1982 il lavoro dell’amico Berri, scomparso nel 1979: Paganini, la vita e le opere, per la Bompiani. In seguito Monti mi propose di pubblicare il manoscritto di Felice Soave del 1790 al quale aggiunse un suo Commento. La pubblicazione avvenne nel 1996 per Pomellato, Milano. In seguito egli mi chiese di nuovo il manoscritto perché un esperto che conosceva avrebbe desiderato esaminarlo. Mario Monti era, però, un malato terminale e quando nel 1999 morì il manoscritto era ancora dall’esperto di cui non conoscevo nulla. Ma ormai era stato pubblicato e commentato e….
7 Presso la Trivulziana, quando la pergamena apparve in Libri e Documenti, e già si trovava a Concorezzo, si interessò pure la prof. Maria Franca Baroni, la quale ha pubblicato in più volumi gli Atti del Comune di Milano a partire dal secolo XIII (al XII aveva provveduto il prof. Cesare Manaresi), assai utili per studiosi e ricercatori.
8 Insieme all’ing. Pella constatai che presso l’ASMi mancavano la seconda copia delle Mappe del borgo sia del 1700 che del 1800 (oltre 30 fogli di circa cm. 50 X 40) che le altre località del Milanese, salvo pochissime, posseggono ancora. Mappe scomparse, (probabilmente tra il 1940 e inizi 1950) con parte della documentazione censuaria relativa, prima che le stesse venissero trasferite dal deposito nel quale erano conservate da anni all’Archivio di Stato. Una perdita pure questa non di così poco conto. Non mi meraviglierei, tuttavia, se anche copia di tali mappe non fosse a Concorezzo o in antiche famiglie o arrivata per altre vie.
Captatio benevolentae?
Negli anni ho compiuto scavi, sia pure fra le carte nella polvere degli archivi, riportando alla luce memorie di fatti accaduti e dimenticati. Mi auguro che altri ricercatori compiranno altri scavi. E dopo le opportune verifiche vi sia chi, con disciplina intellettuale, ordine e metodo, ne ricavi una Storia di Concorezzo sempre più vicina a quello che è realmente accaduto e che tale nome sempre meriti veramente.
Un lavoro al quale bisogna accingersi indagando in particolare, dove è possibile, le condizioni di vita di ogni formazione sociale, così da poter cercare di dedurre da queste le concezioni politiche, religiose che ne sono derivate.
Una angolazione della ricerca; un’analisi storica precisa; l’esatta collocazione della situazione reale che i dati rappresentano; una marcia a ritroso; rigore nell’analisi storica e rifiuto di ogni schematismo. Non mi sembra illegittimo che si possano ricavare da ciò precisi orientamenti.
Coloro che dovranno studiare il materiale raccolto e presentato dovranno studiare, inoltre,
forme, stilemi.
(dalla propaganda orale alla propaganda digitale: un pugno d’aria sporca)
Decime ecclesiastiche in un codice altomedievale.
Un frammento di storia della pieve di Vimercate nel secolo XII.
di Floriano Pirola
Sommario
- Salmi e decime
- La pieve di Vimercate ed i diritti di decima
- Documento
Un frammento di storia di Vimercate e sua pieve nella prima metà del secolo XII, in pochi nomi, numeri e toponomi, è contenuto sul retro del primo foglio di un salterio che Battelli e Paredi hanno studiato attribuendolo rispettivamente ai secoli XI e IX.
“I preziosi codici liturgici di Biansca, di Lodrino, di s. Vittore in Valtravaglia, di Monza, di Brivio, di Cernusco, di Bedero, di Varese, di Vimercate, tutti compresi tra il sec. IX e il XII, scriveva mons. Palestra, sono una testimonianza imponente della vitalità liturgica delle Pievi...”[1].
Il mio interesse, però, va più ai pochi nomi, numeri e toponimi, che non al codice che li contiene di altra valenza culturale e storica. Del codice, tuttavia, non posso non fare, in breve, un cenno.
Si tratta, infatti, di uno dei più noti e più antichi salteri miniati arrivati sino a noi.
“I codici miniati dei secoli VIII-IX sono in primo luogo di carattere sacro (S. Bibbia e SS. Vangeli)...”[2]. Ma essi servirono pure per il sapere umano. Lo conferma la loro presenza nelle case dei signori di quei secoli. I salteri, contenenti canti o preghiere, venivano usati, infatti, anche come abecedario, tanto che psalteratusindicava nel latino medievale una persona non analfabeta.
Il salterio, o liber psalmorum ( salmo da psallo, ossia percuotere corde sonore), era un libro poetico della Bibbia, formato da 150 canti che vari autori avevano composto in tempi diversi e che, tre secoli prima di Cristo, era stato sistemato in 5 libri. Nel nostro salterio i salmi sono divisi in 15 gruppi di 10 salmi ciascuno ed ogni gruppo principia con una grande iniziale miniata, una nota introduttiva o titolo ad indicare o l’autore o la natura del salmo. Ai salmi seguono 10 cantici dei profeti; una raccolta di inni; 25 inni per le feste principali dell’anno liturgico e un inno ad serenitatem poscendam, uno ad pluviam poscendam e due inni in tempore belloper un totale di 42 inni.
Le prime comunità cristiane di lingua latina provvidero alla sua traduzione dalla versione greca. San Gerolamo tradusse l’intera Bibbia dai testi ebraici sul finire del IV secolo. I cristiani cantarono, poi, i salmi ( ed altri canti biblici) nelle loro riunioni. A Milano, con S. Ambrogio, il canto dei salmi fu corale e quotidiano nelle chiese. Nel V secolo divenne obbligatorio per il clero partecipare alle salmodie quotidiane con un’orazione alla fine di ciascun salmo, orazione che continuerà dal VI secolo nella recitazione privata. I salteri altomedievali pervenutici vennero scritti, però, per l’uso pubblico liturgico e, per questo, solo in pochi esemplari si trovano tali orazioni[3].
Salmi e decime
Queste note amministrative in un salterio sono per noi incomprensibili, abituati come siamo a sprecare tutto. Non invece nel medioevo quando la charta, come impropriamente veniva designata la materia scrittoria ( membranao pergamenum), non abbondava e, quindi, al bisogno si utilizzava ogni spazio libero. Questa contabilità richiede almeno qualche riga sull’oggetto che l’ha determinata e cioè le decime. Su di esse si è scritto in più occasioni. Ma vediamo ciò che a noi più interessa. Intanto le decime erano di diverse specie. Fra tutte, importanti erano le decime feudali o domenicali e le sacramentali. Le prime erano quelle che si pagavano alla chiesa per fondi di sua proprietà passati in possesso di altri; il che accadde per beni ecclesiastici infeudati dai re franchi. Ma nel caso nostro si tratta di decime ecclesiastiche o sacramentali per mezzo delle quali i fedeli consentivano ai loro sacerdoti di esplicare il loro ministero. Decime che erano già in uso presso il popolo ebraico, il quale riservava al Signore il decimo di tutti i frutti della terra e degli animali da offrirsi al tempio o in natura o in denaro. Era poi precetto dare ai sacerdoti le primizie dei raccolti ed il vello delle pecore[4]. Le prime comunità cristiane non conoscevano le decime, ma soltanto le offerte spontanee dei fedeli. Il cristianesimo le introdusse nel IV secolo. Il precetto di pagare le decime fu ribadito dai Concili del periodo altomedievale[5]. Nel 494 papa Gelasio confermò l’antica consuetudine della divisione delle decime in quattro parti, delle quali una era riservata al vescovo (quartese) e le rimanenti andavano per il sostentamento del clero, per i poveri e per le necessità del culto. Solo dal secolo VI esse furono rese obbligatorie in Gallia ed in Spagna. Nella pianura padana lo fece la legislazione carolingia verso la fine del secolo VIII. Subito dopo troviamo la chiesa battesimale di s. Stefano in Vimercate, che ora anche un diacono può reggere e che i fedeli chiamano plebs, sottoposta all’autorità del vescovo e con a capo il prevosto[6]. La struttura e le funzioni della pieve furono una realtà nuova, centro dell’organizzazione ecclesiastica e della vita religiosa nel contado. Con la pieve si costituì un territorio ed una gerarchia delle chiese o titoli minori e loro clero sparsi nei villaggi ma dipendenti dal prevosto. E l’obbligatorietà della decima vi si andò adattando ed affermando[7]. L’investitura con carattere ereditario delle decime delle pievi milanesi fatte nel 983 dall’arcivescovo Landolfo II da Carcano “ a diversi potenti nostri concittadini per recuperare la sede arcivescovile ch’egli era stato costretto ad abbandonare”[8]trasferì ai laici la parte di decima sacramentale riservata al vescovo: un’azione contraria ai canoni e che creò in seguito problemi alle chiese rurali. Così la parte di decima sacramentale destinata al vescovo, che prima riscuoteva la chiesa battesimale di s. Stefano , fu del pievano, vale a dire dei capitanei di Vimercate. Da questo momento da gran parte degli abitanti di Vimercate (per la capopieve e suo territorio il recupero della parte del diritto di decima spettante al vescovo, la cui dispersione ed evasione crea una certa confusione, è evidente dai primi anni del secolo XII) e di alcune località della pieve fu il pievano ad esigere quella parte di decima costituita dai prodotti agricoli (cereali, legumi, seminato, erba, lino, frutti degli alberi ed orti, vino, castagne, miele e cera) raccolti sulle terre di loro proprietà (allodiali e non), inclusi gli animali (bovini, ovini e muli). In più quelle popolazioni non potevano togliere i prodotti dai campi senza il consenso del pievano o del prevosto a seconda di chi la decima spettasse. Resta da stabilire con precisione, però, quali fossero i tempi (s. Marco, s. Sebastiano, s. Agnese, s. Apollonia ?) ed i modi di riscossione definendo innanzitutto il periodo in cui ciò accadde. Infatti dalla fine del secolo XI il diritto di decima dei capitanei di Vimercate è piuttosto ridotto, sia quanto da essi ceduto che per quello che vecchi e nuovi piccoli signori locali si erano presi.
La pieve di Vimercate ed i diritti di decima
Su decime e decimazioni nella pieve di Vimercate, infatti, si è parlato principalmente dall’ultimo scorcio del secolo XII [9]; ma come siano andate le cose fino ad allora troppo scarsi erano i documenti rinvenuti per dare una risposta. Si congetturò che il diritto di decima a Vimercate e nel territorio della pieve era stato esercitato per la quarta parte dei capitanei di Vimercate, dotati, come ho detto, di feudo arcivescovile dalla fine del IX secolo[10], e dalla chiesa plebana per le altre tre parti[11]. Le annotazioni riguardanti le decime riscosse, inserite nel salterio appartenuto alla chiesa di s. Stefano in Vimercate e finito, non si sa come, a Monaco di Baviera dove è conservato[12], possono offrire ora un nuovo spunto al ricercatore. Le molte carte (oltre 700) relative alla chiesa plebana di Vimercate da me negli anni esaminate mi inducono, indipendentemente dal tipo di scrittura, a credere che queste annotazioni contabili siano del tempo in cui prevosto di Vimercate fu eletto Andrea (1138-1163)[13]. Ho motivo di ritenere, infatti, che la chiesa di s. Stefano già dagli inizi del secolo XII, malgrado il consolidamento di quella sorta di patto sociale intercorso fra il vescovo ed i vassalli, provvedesse a riscuotere di nuovo la decima destinata al vescovo di Milano, salvo per quelle parti della pieve cedute dai capitanei di Vimercate a privati o da questi usurpate. E questo anche se sarà il prevosto Arnaldo (1163-1193) a redimere nel 1169 da “ Eyrunus capitaneus qui dicitur de Vicomercato”[14]i beni ed i diritti di decime per Vimercate, villaggi e territori della pieve rimasti ai capitanei. In ogni caso la posizione di località della pieve, tra cui Bellusco, Concorezzo ed Ornago, contribuisce a far retrocedere nel tempo la ripresa della chiesa di Vimercate nelle sue funzioni rispetto sia ai capitanei che al vescovo. Ornago, ad esempio, è recuperato in parte alla chiesa di Vimercate già nel 1106 ( nel 1162 è sottoposto alla chiesa di Monza). Mentre le decime di Bellusco, anche se in buona parte legato al monastero di Civate al quale il Barbarossa lo riconferma nel 1162, e quelle di Concorezzo e suo territorio, da papa Alessandro III attribuite nel 1169 alla basilica di s. G. Battista in Monza dalla quale dipendeva la chiesa di s. Eugenio in Concorezzo, vengono riscosse nel primo decennio del XII secolo dalla chiesa plebana di Vimercate. Ma le pergamene da me esaminate contengono altri particolari sia pure parzialmente da verificare. Tra l’altro non è che i primi decenni del secolo XII siano fra i più facili da districare neppure per Vimercate e la sua pieve specialmente tra i risultati dell’azione dei papi contro le cessioni di decime ai laici, ritenute un abuso da condannare al pari delle non rare usurpazioni di decime continuate e ripetute da parte non solo di laici ma anche di monaci. Anche se dalla comparazione degli andamenti di Vimercate con quelli lombardi si osserva che Vimercate si comporta come un sensore che avverte, riconosce ed anticipa gli andamenti regionali, dalle annotazioni nel salterio, comunque, oltre che poter avviare ulteriori approfondimenti e precisazioni, si possono ricavare altri dati. Se non è possibile delineare la capacità contributiva di ciascun villaggio della pieve dal carattere economico ( un’ economia basata prevalentemente sull’agricoltura ma in cui non va trascurato l’artigianato né il commercio), si può, invece, rilevare come le decime riscosse a Bellusco, Bernareggio e Mezzago siano maggiori di quelle riscosse ad Agrate, Arcore, Caponago, Carugate, Cavenago, Concorezzo e negli altri villaggi. E dalla distribuzione territoriale della raccolta di decime si potranno valutare le porzioni di decime di cui la chiesa plebana godeva nei singoli villaggi. Vi si evidenzia, inoltre, più chiaramente una pieve la cui configurazione territoriale appare ben disegnata non meno della sua struttura organizzativa nei suoi cappellani ai quali il prevosto assegnava le chiese o i titoli minori[15].
E questo anche se tra le sue località non si trovano nelle annotazioni in esame Carnate, Oldaniga, Omate, Sulbiate, Velate e Villanova, località che però, fanno parte della pieve. Vi compare, al contrario, Zerno, oggi Gernetto, nel territorio di Lesmo (allora piccolo villaggio o castello o convento) che incontreremo per la prima volta nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani[16].
Da queste annotazioni, scritte da più mani in una minuscola cartolina documentaria[17]e non completamente risparmiate dal tempo, emergono altresì toponimi con grafia differente da quella in uso, come Ambezago per Mezzago (Imbersago era Amberciacum), Bernadeglo per Bernareggio e Ledesemo per Lesmo. Mentre Arculi per Arcuri o Arcori e Calugate per Carugate si incontrano in carte dal IX al XIII secolo e questo per il noto rotacismo riscontrato in buona parte della Lombardia.
E le persone nominate nelle annotazioni ? L’unico prete di cui viene fatto il nome è Pietro, forse un incaricato alla riscossione delle parti di decima di Vimercate e suo territorio ormai passati dal capitaneo al prevosto. In quanto ad Omodeo (della famiglia Omodei) si ritrova un chierico di tal nome accanto al prevosto Andrea in un atto di permuta per proprietà in Vimercate nel 1138. Nulla invece su Giovanni de Casale (Casati).
DOCUMENTO
Psalterium cum explicatione virtutum psalmorum exemplar valde antiquum in membranis scriptum
Ludovicus Maria ...
Msc. Lat. 343
Pro decima de Caponago solidos IIII et denarios IIII imperialium
{........ ded.. ...... ... }
Habui de prima colecta a presbitero Petro libras sex;
a presbitero de Curti solidos X; a presbitero de Brentana solidos
LXI et dimidium; a presbitero de Ambezago libras III
et solidos III et dimidium; de Cavanaco solidos XXIII;
de Caponaco solidos XXI et dimidium; de Grate solidos XXV;
de Concorezo solidos III; de Arculi solidos XX; de Opreno
solidos XL; de Ledesemo solidos V et denarios X; de Zerni solidos III;
de Belusco pro una et altera colecta libras III; item de Curti solidos VIII;
item de Concorezo solidos XVIIII;
Overnacum solidos XXXVII.
De colecta archiepiscopi : de Grate solidos XIIII et dimidium;
de Concorezo solidos XV; de Arculi solidos XVIIII; de Opreno
solidos XXI; de Zerni denarios XX; de Ronco solidos XV et dimidium;
de Bernadeglo libras III et solidos VI; de Curti solidos X et dimidium;
de Brentana solidos XXXII; de Cavanaco solidos XII et dimidium;
de Buguriaco solidos VIII et dimidium; de Caponaco solidos XV et dimidium;
de Uximate solidos III; de Calugate solidos XIIII et dimidium;
de Ambezago solidos XXX et denarios X.
Dedi domino episcopo libras sex et solidos XII; Homodeo solidos XXV;
pro expensis solidos VI; per data archiepiscopi libras XXXVIII
et denarios XXX; Johanni de Casale solidos XXXX.
[1]A. PALESTRA. L’origine e l’ordinamento della pieve in Lombardia, in ASL 1963, pp. 397-8. Sino alla metà del secolo X non si considera la plebs, che indica l’istituto plebano, ma la chiesa ed il suo clero. Il termine pieve per Vimercate compare nelle carte riguardanti la sua chiesa, da me viste, prima del 1026.
[4]Cfr. In Antico Testamento : Levitico 3° Libro del Pentateucoc. XXVII, 30-34; Esodo c. XXII, 29 e Deuteronomio c. XIV, 22-27.
[5]Cfr. P. PALAZZINI, Dictionarium morale et canonicum, 1965, pp. 17-18; Novissimo digesto italiano, UTET, vol. V, pp. 258-268; A. SOLMI, Storia del diritto italiano, 1930, p. 379; E. BESTA, I diritti sulle cose nella storia del diritto italiano, 1933, p. 269; G. DOZIO, Notizie di Vimercate e sua pieve, 1853, p. 14 e G. MORONI, Dizionario di erudizione storica ecclesiastica da s. Pietro sino ai giorni nostri, 1941, vol. 19, p. 180.
[6]Cfr. G. ANDENNA, La creazione dei distretti pievani in età carolingia e l’istituzione della decima(secoli IX-X), in Le istituzioni ecclesiastiche locali dal V al X secolo, pp. 134-135 (Storia religiosa della Lombardia, 1^ parte). La fisionomia della primitiva chiesa battesimale o matrice di Vimercate (del tempo del longobardo Rottoperto, 745) muta con la plebs cum capellis cui è annesso il diritto di riscuotere le decime. Papa Leone IV prescrisse, nell’850, il diritto di decima per le chiese plebane.
[7]Cfr. P. PALAZZINI, op.cit., vol. II (D-K), pp.17-18, Rationes decimarum Italiaee G. ANDENNA, Aspetti e problemi dell’organizzazione pievana milanese nella prima età comunale, in Milano e il suo territorio in età comunale(XI-XII secolo). Atti dell’ XI Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1989, pp. 354-9.
[8]Cfr.G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano nei secoli bassi, 1854, vol II, pp. 362-3 e vol. III, p. 314; G.P. BOGNETTI, Gli arcivescovi interpreti della realtà e il crescere dei minori ordini feudali nell’età ottoniana, in Storia di Milano, Fond. Treccani, 1954, vol. II, p.859; A. PALESTRA ,op.cit., p.398 e B.M. BOSATRA, Parrocchia in Dizionario della Chiesa ambrosiana, vol. IV, 1990, p. 2665.
[9]Cfr. G. BISCARO, Di una antica costumanza dell’archidiocesi milanese, in ASL 1907, pp. 538-540; G. L. BARNI, Note di una causa per decime riguardanti la chiesa di s. Stefano di Vimercate, in Rivista di storia del diritto italiano, XIII, 1940 pp.3-22; G. ROSSETTI, Motivi economici, sociali e religiosi in atti di beni del territorio milanese nei secoli XI e XII, in Contributi dell’Istituto di storia medievale dell’Università del S. Cuore di Milano, 1968, vol. I, pp. 349-410 e F. PIROLA, Una carta di fine tra i vicini di Agrate e la Chiesa plebana di Vimercate dell’inizio del secolo XIII, in ASCMi Libri e documenti n. 3, 1989, pp.42-46.
[10]Cfr. A. VISCONTI, Brianza- itinerari sentimentali, 1957, p. 30. Un ramo degli Airuni, signori della rocca di Airuno, ebbe il capitaneato ( capitanei o vassalli di primo grado) di Vimercate da cui ereditò pure il nome.
[11]Cfr. G.P. BOGNETTI, Milano longobarda, in Storia di Milano, Fond. Treccani, 1954, vol. II, pp. 330-1: “... quasi tutto il suolo spettava ancora ai laici, e la decima era quindi pel vescovo, che però la percepiva attraverso le chiese battesimali (plebane o parrocchiali) al cui clero era riservato, pel mantenimento, un quarto di tali diritti, mentre un’uguale porzione toccava alla manutenzione e alle spese del culto, ed un’ultima era destinata ai poveri del distretto”. E per il periodo carolingio cfr. G. ANDENNA, op.cit., p. 135; Novissimo digesto italiano cit., vol.V pp. 267-8 e M. BLOCH,La società feudale, 1977,pp. 281-7.
[12]BAYER, Staatsbibliothek, segnatura: Cod. Lat. 343- Il codice è composto da 236 fogli pergamenacei di cm. 25 per 17 ca.. Le annotazioni delle decime riscosse si trovano sul foglio 1R. Nell’ultimo foglio si legge invece che il salterio entrò nella Biblioteca del duca di Baviera (Guglielmo V, il Religioso, del ramo di Monaco, mia nota) nel dicembre del 1580 tramite tal Mathia Shelling ( ma non si conosce alcunché sulla sua provenienza). Le caratteristiche del codice hanno orientato mons. Angelo Paredi, il quale mi ha incoraggiato a proseguire le ricerche sulle annotazioni nel salterio a datarne la formazione al secolo IX quando cioè a Milano ferveva una grande attività culturale ed artistica, vale a dire all’incirca tra l’ 820 e l’ 880.
[14]Cfr. G. DOZIO, Cartolario briantino, p.61 e seg.. Tale redenzione coincise con l’abbandono della causa imperiale da parte del contado della Martesana che era formata da 12 pievi tra cui quella di Vimercate che giurò fedeltà ai consoli di Milano ed all’ arcivescovo Galdino della Sala sostenuto da papa Alessandro III e dalle forze politiche milanesi. Nel 1154 (con l’arciv. Oberto) vi era stato un tentativo per redimere le decime possedute dai laici, ma con scarsi risultati. Papa Alessandro III dettò norme particolareggiate in materia di decime ed il Concilio III lateranense nel 1179 prescriverà che i laici possessori di decime non possano trasferirle sotto forma alcuna ad altri laici.
[15]Cfr. G. ROSSETTI, op.cit., pp. 396-7-402 n. 144 e G. MARIMONTI, Memorie storiche della città di Monza, 1841, pp.385-6.
[16]Cfr. Liber Notitiae Sanctorum Mediolania cura di M. MAGISTRETTI e U. MONNERET de VILLARD, 1917, pp. 11 e 164.
[17]Cfr. G. BATTELLI, op.cit., pp. 195-197 e G.G. TROMBELLI, Arte di conoscere l’età de’ codici latini e italiani, 1756, pp.105-110.
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