UNO SGUARDO NEL MIO TEMPO:
Ieri
La vita
Una goccia di rugiada
Sopra una rete
Intessuta da un ragno.
La morte
In un rapido batter di ciglia
la vita ritorna fra la polvere di stelle.
Essere
Una cosa sola vorrei essere:
il mio volere.
Umanità
Pulviscoli vaganti
nello spazio.
Spore trasportate
dal vento.
Abbarbicati a un sogno
ci perdiamo nel nulla
Gli eterni poli:
il calore della vita
il freddo della morte.
Ieri
Segmento di tempo
disseminato di immagini
che la memoria
riporta alla superficie
oggi
e domani.
Omnia mutantur
Asfalto cemento
una cascata di lamiere
fumanti nella nebbia
e l'uomo si dibatte
in una nube di polveri sottili
che danza tra ogni genere di rifiuti
a lato della strada:
il progresso avviluppa l'umana specie
nel suo tossico velo.
Adversante cursu
O mente umana,
da mille secolari intrugli onnubilata
non seguire anche Candido
alla ricerca di un mondo che non c’é.
La torre rossa (pubblicata nel 1967, ma scritta negli anni Cinquanta)
Ti riconosco, torre di mattoni rossi,
dall’impronta inconfondibile
del tuo tempo,
rigida, immobile
affogata tra gli alveari
della nuova èra.
Rivedo il sole sopra l’orologio
e…la neve sulla gradinata,
bianca alla tua base.
Risento lo squillo delle trombe
e l’urlo di una folla nereggiante.
Mi sembra, anzi, che corra,
pur ora, nel frastuono dei motori
fumiganti, lungo le vie attorno.
Fermo ti guardo e la gente
passa e si perde sull’onda
dei juboxes e dei transistori.
Siamo rimasti soli,
tu a ricordarmi
io a ricordare
un passato che è stato
e non è stato.
SENZA CASA
Vivevo tranquillo
nel cavo d’un albero
lontano dagli sguardi curiosi
di chi passava pel sentiero.
Ma sono venuti
tanti uomini
con strani bastoni
e hanno gettato a terra
le piante e gli arbusti
che nascondevano la mia casa
agli occhi di tutti.
UN PASSERO E' MORTO
La nebbia ondeggia sul mattino.
In filari spogli
appaiono dalla terra
gli alberi imbiancati.
Un passero é lì,
il becco serrato, gli occhi chiusi,
irrigidito nella morte,
sotto un gelso
i cui rami spogli, tristi
abbracciano il vuoto.
sotto un alberello brullo.
Solo
Il ponte,
che univa la mia casa al paese,
è giù nel fiume,
l’acqua isterica, sbatte,
fango e detriti
da ogni parte.
Quelli che erano con me
si son gettati,
ad uno ad uno,
per non morire qui.
Ed io, ora,
li guardo.
Uno, cento, mille
Un sole senza ombre
veste ciò che si tocca,
che si vede
e danza la luce nell'aria
tremolante
trascinando il pensiero
che si confonde con la linea del sogno.
E' un mare di verde rigoglioso
dal quale si staccano ruscelli di speranza
si rincorrono su questa sfera
dal povero alchimista accarrezzata,
perdendosi velenosi, acidi
fra le sue vesti lacerate.
Rumore
Stridono i freni
sull'asfalto.
Il marciapiedi risuona
per il rumor di tacchi.
Batte una saracinesca
con il suo metallo al suolo.
Là, in fondo
il sole si spegne.
Lungo il selciato del paese
gli zoccoli d'un cavallo
quando si alzano
scintillano sui sassi
e ruotano i cerchioni del carro
in un cingolìo
veloce
sulla sabbia sparsa qui e là.
Acqua e polvere
La donna, smossa la tenda all'uscio,
chiama gli uomini al desco
,
con una bottiglia spande nel cortile acqua
che sopra la polvere si getta.
Dicembre
Ritorna il giorno che ci fa bambini.
Oh, quando accanto al presepe si pregava
e nella notte si vegliava
sognando la
scarpettina colma di regali!
Dove sei, ora, piccola magica
caudata stella che io non ti vedo?
Benessere
L’enorme scavo è acqua sporca
le macchine giacciono inerti
lucenti, senza vita;
dormono nelle baracche
gli operai
al lume della luce fioca
che filtra tra le assi rotte.
Critici
Tristi cerchi concentrici
flaccide onde
in una pentola
di pece ribollente.
Sole
Un sole senza ombre investe
tutto ciò che si vede
tutto ciò che si tocca
e la luce attorno
trascina il pensiero
che si confonde con la linea del sogno
in un mare di verde rigoglioso
dal quale si staccano
uno, cento, mille ruscelli di speranza
che si rincorrono su questa sfera
dal povero alchimista accarezzata
perdendosi acidi sulle sue vesti lacerate.
Test
Uomini impietosi
fino ad essere crudeli
ti frugano nella mente
quasi fosse viscere d’animale
che dà il domani,
ti frustano i pensieri
come carrettieri beoni
d’altri tempi
le ossa spelacchiate dei loro muli
e sopra spargono il sale amaro
delle loro vite intristite
dalle mille delusioni
d’ogni giorno
che la catena tiene uniti
nel grande circo
della vita.
UNA RONDINE
Oggi ho chiesto ad una rondine
che ha il nido sopra la finestra
sotto il tetto della mia casa in
montagna:
“Qual è il tuo nome? “
Mi ha risposto un trillo
in uno rapidissimo sbatter d' ali.
“Che fai?” E le ho steso una mano.
La rondine si buttò
a capofitto risalì a razzo
Il suo trillo, ora, fu un pigolìo,
un gridolino, un riso.
Poi si posò sulla grondaia,
mosse il becco
in un suono lieve
e
mi guardò.
FOLLIA
Un diluvio di nuvole bianche
spazza il piano e il monte
sconvolge virgulti e piante già
stanche
abbatte l’ultimo ponte.
CRITICI
Tristi centri concentrici
flaccide onde
in una. pentola
di pece ribollente.
VEGNA MEDUSA
Con il plettro tocca l’aurea cetra
dà fiato a una scaltrita tromba
dal limitar del campo
noi scuotiamo il capo
allibiti
i nostri occhi fissano
il vuoto
ci risucchia il vortice
mansueti buoi
trainiamo il pesante carro
verso l’ignoto.
IMPOTENZA
Graffio ombre deformi
e la mano s’invischia
sopra la parete viscida
levo il pugno contro strane forme
e danzo con il vento
e mi nascondo tra le ombre.
ILLUSIONE
Bello il pavone
fra quattro paratie stagne
canta e nessuno lo sente
ma non si stanca
canta
e il suo canto si spegne
nel silenzio che lo avvolge
e ruota la coda, su se stesso,
gli occhi fissi
nei colori delle sue penne.
CADONO LE FOGLIE
Piccola foglia, figlia della terra,
mentre alla terra crudel destin t’invola,
l’anima mia qui si ritrova sola
a reggere le sorti di una guerra.
Dentro
la vita mia sta in
una gola,
come un bel fiore
in un’angusta serra,
perdendo il colore della terra,
che lungi lungi se ne vola.
Ora intorno a me nulla più sento
di questa guerra trista e desolata,
chè tutto seco ha portato il vento.
ARSURA
Ragnatele stropicciano
in un tremolio confuso le dita
seguono gli occhi
oscuri punti scintillanti al fondo
le labbra espirano
il soffio della vita
immote
d’un pallore estremo
odor di terra
spento il temporale
sopra le messi scompaginate.
UN PO’ DI SOLE
Spenzola rassegnata al tempo
l’edera
i muri della casa
screpolano nel gelo
sotto i suoi tralci duri
indifferenti
e il piccolo topo
che a lor si affida
oscilla nel vuoto
quasi cade.
Il sole lambe l’angolo del tettp
trapassa il fumo del comignolo
casca lento sopra la parete
consunta e silenziosa
e al piccolo topo apre
un’altra via.
GIOVINEZZA
Indora il grano
da spiga a spiga
e i papaveri ridono
in quel mare d’oro
mirando gli uccelletti
ondeggiare sopra i chicchi.
Immersi nel canto delle allodole
le robinie e il sambuco
sorbono l’afa.
SPORE
Si rincorrono
per le strade tranquille
di periferia
come allegri fraticelli
in vesti candide
nel cortile del convento
prima delle funzioni in chiesa
di maggio.
PASSATO
Ho afferrato
un lembo di ricordo
e lo tiro
e lo distendo
come un chewing-gum
tra i denti.
Ora si fa sogno
ora è sorriso;
ma, alla fine,
ecco
un dischetto è lì
e dentro cento,
mille punte di denti.
CITTA’
Sopra una distesa di muffe
si stende la città di cemento
dal bitume prendiamo il respiro
lo stagno di petrolio ci stringe alla gola
e il calcestruzzo ci preme sullo stomaco.
FRENESIA
Milano, in corso Europa
il buio s’appiccica
alla sera diaccia
di gennaio.
Il frastuono ripara
negli orecchi,
uno stridere acidulo
di freni,
un’imprecazione sorda,
in un soffio di vapore
una ragazza corre
sulle strisce pedonali,
e dietro
sparate
le altre auto
simili a cani balordi
che in pubblico giardino
si rincorrano
in una cagnara fastidiosa.
Come a Largo Cairoli
a piazzale Susa
in corso Lodi,
per ogni strada.
SERA
Le voci
i rumori
che riempivano il giorno
più non si odono.
Dove l’uomo è passato,
dove ha lavorato
sudato
riso e pianto
i grilli ripetono
senza posa
la loro cantilena.
Un controllore di
tram
Crescono le stellette
sulla manica
cresce la pancia
il passo cala
l’occhio, come la mano, è meno pronto
e in fondo alla
vettura
siede a leggere il giornale.
TRANQUILLITA’
Nei parchi la città struscia,
sui viali soffici di macere foglie
goccia dalle piante spoglie
un umore scuro,
i paletti attorno alle aiuole
neri, corrosi dal tempo
dondolano sotto i piedi dei bimbi.
Buio e silenzio
Il buio nella piazza fredda
é rotto dalle luci fioche
dei lampioni impolverati.
Gli arbusti spogli
coprono le nostre ombre
e nell’aria si disperde
il nostro alito di vapore opaco.
Non un passo, non un rumore.
Le memorie, le immagini nascoste
tra le pieghe del pensiero
lente si perdono nel silenzio,
una dopo l’altra.
La vita della giornata spenta
é stesa sopra giacigli
che ignorano fabbriche e uffici
crisi e traffico caotico
in cui l’uomo si è perduto.
ALLA VAPORIERA (Stazione ferroviaria di Monza)
Il naso umido al cielo
con gli occhi lustri
ci guardavi
l’aria mansueta di un grosso cane
correvi bofonchiando
diritta
sotto le enormi proboscidi sostavi
a rinfrescare la tua avida calura;
ti affannavi sulle zampe tonde
verso una terra di sogni,
cara vaporiera,
prima speranza della nostra vita
visione lieta di questo giorno triste
in cui lenta rauca stanca
nel geometrico scalo ferroviario
soccombi alla ruggine sui binari morti.
A UN VECCHIO CONTADINO
Sembri una statuina
invecchiata fra il muschio
dei presepi,
di quei presepi della mia infanzia
dove i pastori
pregavano in ginocchio
un bambino di gesso.
La tua pelle é grinzosa,
screpolata,
i tuoi capelli son brizzolati,
secchi, scomposti
come la terra
nel gelo dell’inverno.
Nell’aspetto tuo
assomigli tanto
a certi ricordi
del mio passato.
CRUCCIO (non lontano dalla chiesa di San Lorenzo a Vendrogno)
I miei occhi corrono dalla valle
alle nuvole che incupiscono nel cielo
in mille forme bizzarre.
Le mie orecchie sentono la cornacchia
gracchiare nel vuoto
e il silenzio delle piante
immobili
in un verde prigioniero di mille goccioline
affamate di sole.
Un letamaio è vicino
e, dietro, un gatto nero
si sfrega con le zampine i baffi
come un bimbo che si lavi.
Odore d’acqua
porta un leggero vento
e dal torrente salgono al monte
bianchi sbuffi di fumo.
Laggiù
il cimitero tra le sue lapidi
tace
e il mio sguardo
sale verso le cime dei monti
e non mi dà pace.
A TANON (nella Brianza degli anni Trenta del Novecento)
Gaetano era il tuo nome.
In casa ti chiamavano Tanin.
Portavi le ghette e la paglietta
e cantavi la sera per le strade buie
nel silenzio delle contrade
con i compagni d’osteria.
Tuo padre, gli piaceva il gioco, morendo
aveva lasciato debiti e dolori
alla famiglia,
ma a te donò il piacere del dolce vivere
di niente
alla ricerca d’una donna
nuova come nuovo è il giorno
che ad un altro tiene dietro.
Giunse al paese una ragazza
povera, bellina, di un altro paese.
Tempi lontani, aria di Brianza.
Tu le facesti credere
di essere quel che più non eri:
la stalla, la mucca e i cavalli
erano di amici
come il vestito, la carrozza
e persin la casa.
Vennero presto tempi duri
tra figli e malanni.
Gli anni passarono
e ti incrociai pur io per le vie:
un grosso lumacone mi apparisti
solo che tu avevi due occhi cisposi
e grandi baffi spioventi
che ti facevano somigliare a vecchi
della tua infanzia
nei quadri appesi sopra la parete di una stanza.
Tanon ti chiamavano ora in famiglia
e le loro lingue scivolavano
negli angoli crepi della bocca
in un crescer di saliva
viscido e schiumoso.
Morivano denutriti i figli
e la moglie
sopra le cune e le tinozze
fra stracci e cimici
si curvava come il ramo
di un salice piangente al soffiar del vento.
A te bastava una tazza di vino
per vedere quel che i tuoi occhi
offuscati dalla cataratta più non vedevano.
Il tuo corpo
un colpo dopo l’altro
verso la terra
si protendeva
e tu adesso sembravi
un grosso ceppo
roso dai tarli in una campagna brulla.
Eppure sorridevi sempre.
Forse anche quando la morte venne
e ti prese per mano.
BUIO (da Pavia a Milano nei primi anni Cinquanta)
Nel caldo e nel fumo
lo scomparto ride
e il bimbo si stizzisce
col succhiotto fra le gengive rosse
insaliva il mento
mugola ai grandi
cui l’età calcificata ha la memoria,
ottusi
che non comprendono
ciò che vuoi.
E la vettura danza
sopra le rotaie dritte
ad ogni tratto rotte.
Ciondolano le persone
ritte contro gli schienali
nei loro aliti diversi.
Nel cortile fangoso del cascinale abbandonato
le vacche
copertesi del sole freddo di gennaio
contro il muro scalcinato delle stalle,
la campagna bianca intorno,
dormono
le une sopra lo stallatico fumante
le altre, immote,
e il gelo le attanaglia.
Il buio inghiotte questo treno,
che corre pei campi
gelati nella neve,
i nostri pensieri s’aggrappano alle luci
del soffitto
simili a farfalle
la stanca sera d’estate
sotto una lampada accesa.
FEDE
Filospinato che s’intreccia
nella ruggine del tempo
numeri che non han senso
per gli occhi
polvere di stagno putrefatto
acqua di marcite
che scola nelle bocche
di vecchi obesi,
serpi, nere serpi
che cercano rifugio
in cuori inariditi,
denti di iena che divorano
il dio prodotto dall’uomo
sulla terra in cui è arsa
questa misera vita.
SPERANZA
Vaghiam nel vacuo mar del nulla
in cerca di qualcosa che non c’é.
VANITA’
Sopra la mia ombra
io cammino
e non mi sento.
PENSIERO
Della grande casa
sgretolata
il tempo ha risparmiato
le colonne
allungate sopra la terra
A Franco Verga,
onorevole (anni Sessanta)
Vengono a te cento persone al giorno
e parlano e chiedono
e tu le ascolti
pensando forse ad altro,
hai gli occhi rossi, stanchi,
alzi la voce, insulti, offendi.
Tu puoi anche
ed a qualcuno porgi la mano.
Ma ora che vivi
in mezzo alle miserie umane,
ora pur nel tuo bel vestito
sei volgare
molto più volgare di quando
eri un ragazzo di
periferia
e in via Clerici arrivavi in bicicletta
nel giacchettino che ti stava stretto
con quell’aria di timido scontroso…
no, forse soltanto di paolotto
perso e spaurito
fra tutto quel casotto.
SOLO LA CAMPAGNA (anni Cinquanta, dalla Stazione Centrale di Milano verso Monza)
Spalanca le sue fauci grevi e nere
la stazione stanca
per antico lungo travaglio
e l’ossido si annida in un riparo nuovo.
L’acciaio alla rosa dei venti stende
le braccia di punti, linee, rette
in un affanno lucido e ferrigno.
Ai labirinti sfuggono i convogli
rotando le infinite parallele.
Tra le grezze faticanti traversine
e le banchine sparse
di rifiuti
pigra la ghiaia riposa
sotto una coltre densa
d’oli incombusti.
Dalle nibelungiche ferriere
un ombrellone di rossiccio fumo
priva la grand’arca dell’ultima rugiada.
Acre lo smog l’incarta
come il macellaio carni sanguinolenti:
città, sei di chi ti compra.
Nella carrozza di seconda classe
i viaggiatori leggono
o sbadigliano;
qualcuno dorme
la testa riversa sul sedile.
Un disco vermiglio lacera
il latteo oriente tremolante
in cielo si dispiega
alla Romana retriva presta la sua luce.
Contro i muri sbattono le imposte
lungo la via
una tapparella risale
lenta
la sua corsia.
S’intrecciano le auto
in un rumore molesto
i ciclisti ondeggiano
sui bordi della strada.
Dell’aria brontola
nella pancia vuota del vicino:
una ragazza dalla brutta pelle,
mal trattata,
nel gonnellino corto, stiracchiato
in cui sta seduta appena
scuote da sé la cenere della sua bionda
e… il tempo.
I vetri della vettura sono ciechi di vapore.
Annoiata una mano si leva
e disperde il tepido umidore.
Solo la campagna
in una chiara nebbiolina
trasparente
continua il sonno
nel silenzio che fa cantare i grilli
e le ultime civette.
PIGRIZIA MENTALE
Queste case basse
dagli occhi inespressivi
che affondano nel fango,
grige prigioni
di un’ignoranza
ostinata come la morte:
Fuori! – gridano alla grazia,
al lume di una ragione nuova.
Negli angoli trasuda la fungaia
pallida, smunta
e l’aria mefitica si espande.
VITA DI RELAZIONE
Un mondo simile a una betoniera
in cui entra quello che c’è
ed esce quello che vediamo.
NEVICA
Le pale raschiano il selciato
aprono sentieri nella neve.
Guarda la terra
nel suo color di gelo
il fioccare fitto
che con un manto
tutto avvolge
nel suo soffio bianco.
DICEMBRE
Accarezzata dalla brina
l’erba
ride
come il viso rugoso
di una vecchia senza denti.
NEBBIA
Campagna opaca
garza
stesa sopra una ferita
ombre di alberi
qui e là
simili a scheletri
che nuova morte
cerchino pei cimiteri.
FOLLA
Nella notte fredda
la falena dura
nella notte afosa
la falena dura
dura fin che il vento si muove.
ESTATE D’UN GIORNO (a Concorezzo negli anni Quaranta)
Azzurro.
Vento che spira da ponente.
E azzurro.
Azzurro là fino al Rosa
sempre tutto bianco di neve.
Azzurro là in fondo
tutt’intorno alle Alpi bianche
bianche nel cielo turchino.
Giornata d’azzurro e di sole
giornata di grandi, vaste visioni.
Le ultime foglie rimaste sui rami
sembran più verdi che mai.
In terra le foglie avvizzite
dal vento son ridotte a un lato
lascian le vie pulite
e l’erbe che paiono rinate.
Il freddo pungente dei giorni trascorsi,
l’acqua fin fine che ancor ieri cadeva
dimentichi ci trovano oggi,
oggi che vediamo lontano.
ALLOTROPIE
Il grillo nel giardinetto sottocasa è innamorato
di questa notte senza luna.
I passi sull’asfalto muovono incontro al silenzio.
Non una nottola che danzi tra le antenne sbilenche
delle case mute nella strada deserta.
Profilo di lepidottero.
La superficie è perlucida: netta l’immagine tua ed altre
simili a scarafaggi che si rifugino al caminetto
nella luce esplosa.
Introiezione, proiezione,
primitive pulsioni infantili
fantasie onnipotenti.
Candele sfrigolano nella penombra della chiesa barocca
pregna d’incenso.
Estremità fredde.
Un puntolino ruota al centro dell’occhio.
Folleggia un filo di vento tra i tuoi capelli.
Tende le labbra Simbad che dorme in abito da sera.
Nelle pupille si frange il desiderio
e l’io attende.
Contro il logorio
della… Solo le sue tasche,
accanto all’ara e alla vittima del male,
non hanno fondo.
Scorre nel buio lenta la notte.
Nubi di un rosso sempre meno tenue
dalle cime pulite dei monti
penetra nelle forre
danza fra massi scomposti.
La consecutio
temporum…
Terra ammorbidita da uno spruzzo di pioggia,
un’acqua tinta di stelle.
Vota per noi… vota per
lui… vota per me!
Il delirio cosmologico in prossimità di Teeteto.
Lungo la pensilina sputi, carta straccia,
e la scarpa si imparenta per la bica al cane.
Lunghe braccia pelose impalano la vettura
in un sudore fracido, maleodorante.
Nati nell’isola selvaggia, rami divelti
sognano il Bengodi,
membri avulsi da portali porporini.
Rigide teorie di auto grattano il granito,
il mastino odora lo zolfo impastato al muro
e non alza più la zampa posteriore.
Logore figure scolorite,
metessi
sincronia dei mitemi,
Corna di cervo.
Fin che la barca va,,,
Sabbia verde.
Galassie spente divorano un satellite
naufragato fra le radiazioni UV del sole.
De profundis clamavi
te…
Sul vetro della tela appesa al muro
scintillano lumini fluorescenti.
Fulmini globulari,
camici,
riso di fanciulla.
La volontà di credere è spersa,
mista al loglio di campi non curati.
Scalini sbocconcellati come pani,
l’ultimo gelso tarlato
cede alla scure
e pure il larice trasparente.
Perle macinate con sfumature di ostrica matura.
Riccio di mare, ottuso, s’infigge nella carne viva.
Dei freudiani lumi l’uomo si nutre
e al suo primitivo istinto approda.
ANSIA
Consumiamo tutta la nostra vita
a prendere sul serio le cose più banali
a inseguire i sogni più fallaci.
E dalle spente braci
togliamo le ceneri.
VITA
Pianticelle
alberi rugosi
e sopra calano gli uccelli
quando il giorno muta.
UN FILO DI FUMO
La vita è un fil di fumo
che un soffio di vento disperde.
UN NOME
Ho conosciuto le vie della città
i sentieri di montagna
gli antri bui
i pianori inondati dal sole
ho scavato con gli occhi il vuoto azzurro,
l’acqua del torrente
che rispecchia i sassi,
ma della felicità
ho udito sussurrare
il nome soltanto.
RICORDI DI IMMAGINI LONTANE
Sugli sterpi e sugli orti
attorno alla città
la brina riflette i raggi del primo sole.
Sotto si raccoglie il ricordo
di mani rosse
screpolate
incapaci quasi di dolore
di membra intirizzite
di piedi
che aderiscono ad un terreno inamidato
doloranti.
Immagini lontane
di tempi senza neon sopra le case
senza scarabocchi sui muri
né ossido di carbonio
o anidride solforosa
per le strade?
Ricordi di natura
non di pensiero
non di uomini
imprigionati nelle costruzioni
del loro variopinto ego.
BENIGNA MADRE, TERRA
Lentamente sovra te cammino, o Terra,
e quasi lieve piuma mi soffermo
ad ascoltare la semplice tua poesia.
Il tempo mi sospinge, incalza,
sembra voglia spingermi da te lontano,
ma dentro di me è una zolla tua
che mi hai lasciato il dì che dal seno tuo
mi hai staccato.
E’ l’àncora che mi tiene a te legato.
Uno stelo d’erba, un fiore di campo,
uno stormir di fronde,
un mare di spighe dorate
o un campo di stoppie di gran turco
tutto di te in me risveglia l’atavico legame.
A te mi sento avvinto
sia che il sole ti inondi
sia che la notte buia ti avvolga.
E quando, Terra, in te mi accoglierai,
benigna madre,
a te riporterò tutta
la poesia
che al cielo effondi.
LA GRANDE FAMIGLIA
La grande famiglia
é un’ eredità
di tempi antichi
con maggior potenza
e minor potere.
Il pater,
oggi,
è un modesto dittatore complessato
inferiore per sé
superiore per gli altri.
Dinanzi a lui
tutti chinano la fronte.
Ma anche il pater,
ieri come oggi muore.
Nella sala del consiglio
al lungo tavolo siedono
scimmie spelacchiate
e rauchi pavoni dalle piume stinte,
oche e galline
anatre e pulcini
attorno
su e giù muovono il capo,
annaspano, starnazzano.
Basta sederli su gommapiuma,
d’auto o poltona poco importa,
e stanno cheti
come bellimbusti
che hanno accalappiato
brutte o sfiorite ereditiere.
Post fata resurgo
sta scritto sopra la poltrona del defunto
e non si può cassare.
Sotto
le scimmie e i pavoni ridono,
negli occhietti cispi
sperando e pregando in cuor loro
che il pater non risorga.
GUERRA
Croste di muro fan polvere a terra
imposte pencolanti alle finestre
più ampie delle porte lacerate
lamiere friggenti
in bubboni di fumo asfissianti
gli occhi prosciugati
da una paura biblica
d’un dio che esiste perché esiste l’uomo
incollato lo sguardo al nulla
la donna il male preme
spezza ogni filo nervoso
e non v’è riso
non carezza per la speranza
nella vita accartocciata
cenere fra le spire d’un fato
sanguinante e maledetto.
FOLLA
Nella notte fredda
la falena dura
nella notte afosa
la falena dura
dura fin che il vento
non si muove
e le sue spore disperde.
A UN POLIZIOTTO (anni Cinquanta)
Passi impettito con una grinta dura
portando sulla spalla un mitra
da un fianco penzoloni
la pistola
ti butti contro chi protesta
per un tozzo di pane
o su chi la società
ha emarginato
perché ha rubato per mangiare.
E sembra che ti stian derubando
di qualcosa che…non hai.
Cos’hai tu, infatti, da difendere
di tuo veramente?
Forse il sudore di tuo fratello
che soffre in paese straniero
o le lacrime di tua madre
sola nella miseria
su una distesa di pietre
arroventate dal sole?
Sei uomo della legge,
una legge umana;
non hai molte altre scelte di lavoro,
chi ci manovra non ce ne ha lasciate.
Resta dove sei, ma guarda,
guardati attorno
e fa che chiamino
sbirri
le canaglie soltanto.
A ITALO UGGERI
Salendo a fatica
la lunga scalinata
che dalla chiesa di San Francesco
porta alla casa albergo
Mondial di Rapallo,
ti rivedo, Italo,
raccolto in pensieri,
che anni e malanni
oscurano la vita.
Pensieri,
non certo più per i nostri incontri
dei primi anni Cinquanta
al Licinium di Erba,
dove Gianni Bagget Bozzo
iniziava la sua lunga tortuosa strada,
non per quelli di Bologna
con Franco Maria Malfatti,
e neppure per il tuo Popolo Lombardo.
Nè per tutto quel baillamme
che non è più sotto i tuoi occhi,
mentre in me solleva
una rabbia profonda,
che mi rivolta una volta ancora,
ma senza più speranza.
A UNA POVERA MADRE
La guerra era finita da un pezzo
ma tu continuavi a chiedere
sottovoce al macellaio
teste di vitelli morti
che per legge si dovevano sotterrare.
Tu le pagavi pure
e, una volta cotte,
un giorno dopo l'altro
le mangiavi a cena e a pranzo,
anche quando già puzzavano.
D'inverno t'arrampicavi su per le colline
a raccogliere legna per il tuo misero tugurio,
sperando così di risparmiare i pochi soldi
che ti restavano di quelli che guadagnavi
facendo la serva a ore,
e non per te, ma per tuo figlio
che ti ricompensava mal trattandoti.
Un marito che ti aveva ingannato fanciulla
abbandonandoti col figlio ancora piccino;
un paese che tu servivi a modo tuo
come potevi
e ti ignorava, quando non ti biasimava.
Solo disprezzo tu coglievi sui volti di chi ti viveva attorno:
eri una madre debole
anche per quelli di te non meno miseri
entro le loro case.
Ma tu andavi avanti
fra le lacrime, la rassegnazione
e sprazzi d'ira sorda
che subito si spegneva
pensando a tuo figlio.
Ora tu hai finito di trascinare le tue catene
e in fondo a una fossa
consumi i resti della tua sfruttata carne.
Tuo figlio, il tuo prossimo
non possono più nulla su di te.
Essi continuano a dipanare le loro miserie
senza di te capro espiatorio
dells loro esistenza meschina.
Al prezzo della morte tu hai acquistato
la tua libertà
e ad essi non rimane che maledire
di aver lasciato questo inferno prima di loro.
De fumo ad fiammam
Dallo stagno ranocchi e rospi
erano un po’ qui, un po’ là,
tanti tanti
e ciascuno faceva il suo verso
riempiendo l’aria di suoni diversi.
Ascoltando non si capiva quasi niente
fra acuti e bemolli: soltanto un gracidar confuso.
Poco distante in un terreno incolto molti asini ragliavano alzando il muso
e il loro ragliar stridente si mescolava al gracidar confuso degli anfibi anuri.
Più in là il cicaleccio della gente si disperdeva
nell’aria sopra ciò che rimaneva dei campi verdeggianti di un tempo, remoto,
in attesa del pasto quotidiano.
D’un tratto: il silenzio.
Il dominus era tornato.
SICUTI…ITA
Ieri la vita era uno squillo
ininterrotto di tromba…
oggi non è che un’eco
lontana di suoni
confusi.
Promesse e realtà
Sicut erat in principio…
et semper
Ier l’altro i lanzichenecchi
di Frundsberg,
ieri le SS del Terzo Reich,
oggi le crisi finanziarie,
economiche, sociali
prodotte da avventurieri
sempre più famelici.
E domani…
Al domani provvedono
entità potenti e
incontrollabili,
politici corrotti d’ogni
paese
creando confusione, disordine
tra i popoli
e riempendo i forzieri delle
grandi banche
per sé e compari
per stampa e
televisione
banda del piffero
magico.
Dunque, pover’uomo,
il tempo che verrà non sarà
mai
migliore dell’ieri e
dell’oggi:
sic vos non vobis....
Oggi i capi dei greggi,
una tv sotto la notizia niente,
lucidando le millenarie panzane,
ti conducono, come ieri,
nel paese di Bengodi.
Tu, però, non preoccuparti:
continua nella tua ignoranza
a vivere stupito e giocondo,
nunc et… semper.
CALEIDOSCOPIO
Pensieri per chi non vive nel paese dei balocchi.
Ciò
che guida l’uomo: l’attimo e il nulla. fp
Il tempo poche cose non deforma ma molte ne sopprime.
La terza generazione non vede più lo stesso uomo che ha
visto la prima.
L’ umanità è demograficamente ingovernabile.
L’uomo ha bisogno di un ubi consistam per poter svolgere una sua funzione, non di essere ammaestrato da altri uomini da
sempre affannati a raccogliere il bastone del comando. Il buffone con qualche ambizione viene riciclato a volte nella storia alla corte del re per creare miti e alla sagra paesana per dare vita alle fole, che fin quasi alla metà del secolo scorso si raccontavano nelle stalle durante le fredde notti d’inverno ed oggi ruotano vorticosamente nei social, epigoni dei tam-tam africani, instillando fake news in quei cervelli che nei secoli si sono persi in un’ignoranza sonora che ha preso il posto del raglio dell’ asino che non sale al cielo.
L’umanità, purtroppo. è composta, secondo natura, da tanti Pinocchi; secondo l’evoluzione della vita
sociale da molti Lucignoli e pochi burattinai che insieme al caso l’intero
vivere dell’uomo fanno ruotare.
Una delle cause per cui l'uomo ha incontrato tante difficoltà nel procedere verso l'avvenire é stata la sua ignoranza del passato.
Cascate di suoni, fiumi di parole che uno strato di
smog nasconde…. si arrabatta per arrivare a sera l’uomo… rien ne va plus!
Dal
momento in cui l’orologio della vita iniziò a battere il suo tic tac nella mia
testa mi
sentii come una minuscola scheggia di meteora perduta nello spazio.
Poca memoria, molta ignoranzaIl
potere passa di mano, ma è perpetuo appoggiandosi sulle necessità del vivere di
ogni giorno.
E la facoltà di comandare quando manca il senso del limite se non alimenta la follia, toglie
lucidità alla facoltà di pensare. Cambiano i burattinai non i burattini.
Divide et impera -- Parcere subiectis et debellare superbos: così si é retto e si regge il
potere supremo di un uomo; mentre la sua fine la segna il caso.
Le
rivoluzioni cambiano gli uomini al potere non il potere.
L’uomo
distruggendo la natura distrugge se stesso.
Un pater ave gloria non può cambiar la storia del pover’uomo che sogna
Icaro guazzando sempre nel suo stagno melmoso, assatanato di potere e di denaro per finire ad alimentare i vermi della terra.
L’inattività logora a volte
più del lavoro pesante.
L’uomo d’oggi è il bambino di ieri coperto di
sovrastrutture e carico di incrostazioni.
Il
mondo è secondo da dove lo vedi, come lo vedi.
L’uomo:_
Lacrime e liquame –splenda il sole- o brillino le stelle.
O mente umana da mille
secolari intrugli travagliata non seguire anche Candido alla ricerca di un
mondo che non c’é.
La vita è madre a chi è
favorito dal caso o dalla natura e matrigna di chi dall’uno o dall’altra
favorito non é.
Dalle moltitudini salmodianti, alle masse ruggenti or conglobate in pecore e bulli pronti ad urlare di nuovo al comando del primo capobastone impazzito.
Ogni generazione crea i propri idoli e i propri miti incuneandoli fra i millenari
nell’illusione di non vivere in questo marcioso stagno.
Stanno sbriciolando tutto quello che l'uomo nel passato di buono ha trovato.
Storia o non storia, l’uomo, nel corso della sua
evoluzione in ogni suo evento, nell’intero suo diuturno cammino, altro non ha
inseguito che “ l’ombra di un sogno fuggente”. In un’annaspare ossessivo su
quest’aia che lo fa tanto feroce nell’ affannosa, disperata ricerca del
nulla.
La strada che attraversa il globo unendo i continenti è stata
lastricata di bugie e di false verità dopo che sul pianeta é comparso l’uomo.
L’uomo riesce a fare molte cose; ma anche a
distruggere tutto quello che è stato fatto.
Dalla fattoria degli animali di George Orwell ancorata alla vita umana sulla terra al pollaio digitalizzato accalcato in una stia persa nello spazio.
E’ dalle buone condizioni genetiche bene
coordinate e meglio sviluppate nell’ambiente dalla nascita all’adolescenza che
si origina generalmente una buona esistenza.
Ho visto tutto nella vita e non ho visto
niente: ho troppa consuetudine con la natura umana e con i testi antichi per
meravigliarmi di quanto i miei occhi vedono e le mie orecchie sentono. Gli
storici ufficiali? Solo dopo serie verifiche sono disposto a creder loro.
Come si può pretendere che in una società
cresciuta in modo disordinato, disorganico, irrazionale; una società in cui i
mezzi di sostentamento sono distribuiti altrettanto malamente si possa sviluppare
un sano senso civico?
L’umanità: Pochi padroni, molti servi- una moltitudine di socialmediadipendenti-
una minuscola schiera di resistenti.
Un
mondo dominato da credenze accettate senza riflettere, nel quale si guarda senza
vedere e si ascolta senza sentire, è quello dell’homo insipiens.
Il raglio di un asino non sale al cielo, ma attira attorno a sé gli altri asini sulla terra.
Ed a una tragedia segue un caos da cui nascerà una farsa alla quale seguirà una tragedia.
Noi siamo il presente, ma anche il passato dal quale dobbiamo prendere la parte migliore e il futuro al quale dare la nostra parte migliore.
Fantocci,
furfanti e pagliacci o pazzi: ecco chi governa il mondo.
Sono stati chiusi i manicomi, ma chi chiuderà il Manicomio
dell'esistenza dell'uomo sulla terra?
Chi parlerà male di me lo farà perché non conosce
completamente i fatti e giudica solo per sentito dire quando non con malizia.
Le cosiddette fasce deboli sono una trovata dei
signori che vogliono scaricare sullo Stato un’assistenza spesso non necessaria
(o solo per consentire al capitalismo di operare in maniera irrazionale o contro la realtà sociale esistente) senza tenere conto che in questo modo si
creano dei cittadini eterni bambini con tanti diritti e pochi doveri e... le rivoluzioni.
…raramente nella storia le cose sono state chiamate con il loro nome: la realtà sostanza è una cosa, l’appellativo è un’altra; l’appellativo è la propaganda, l’apparenza: e l’apparenza è molto più importante della sostanza. Sia detto incidentalmente, questa è una massima essenziale della convivenza internazionale, vera oggi come duemila anni fa, che noi italiani con tutta la nostra pretesa astuzia ci rifiutiamo di imparare…..
Che cos’è la verita storica?...La verità è dalla parte del vincitore; chi ha vinto è in grado di imporre la sua teoria, la sua volontà. Il vinto ha torto (il morto ha... sempre torto) perché è stato vinto; scoprire la verità vera non è facile….
La verità storica
…che cosa diventerebbe la storia se ne togliessimo tutti i miti? Renan, il quale viveva nel secolo della ragione, nel rigoglio giovanile della critica storica, diceva che entro un secolo la storia sarebbe stata ridotta ad una serie di congetture di cui nessuno si sarebbe interessato. Se questa sua previsione non si è verificata, è perché la critica storica ha abbattuto sì una grande quantità di vecchi miti, ma ne ha creati altrettanti al posto di quelli distrutti. Che cosa è il mito in fondo?
La storia, quando essa è in atto, è politica o, se vi piace di più, la politica di oggi è la storia di domani. Un signore che in quel momento è re, imperatore, papa, ministro, cerca di svolgere una certa determinata politica: perché i suoi popoli lo seguano, deve presentare questa sua politica in una certa forma, deve ingannare i suoi popoli. Se perde, non se ne parla più; se vince, è la sua propaganda che diventa la verità. E la propaganda è tutto…..
(ISPI) Istituto per gli Studi di Politica Internazionale;anni Cinquanta, quand'era ambasciatore d'Italia a Parigi, Pietro Quaroni (Roma,1898-1971),un Maestro.
BUGIE
Bugie, grosse bugie e statistiche
mezzo secolo fa venivano aggiunte
alle favole, alla propaganda di ogni genere
e alla pubblicità precedente.
Non eravamo ancora giunti alle tecnologie
un po' più avanzate.
Pochi erano avanti un passo,
ma non servì a nulla
come non erano servite a nulla
i tentativi da secoli di comunicare ai più
che persistendo su questa strada
si finiva sempre alla mercè
di prepotenti o baciamani infidi e rapaci
rappresentanti di camarille di corrotti o di fanatici.
La dantesca gente nova e subiti guadagni
appartiene a ogni generazione
che produce individui magari di scarso livello culturale
ma che sa gestire il popolo sotto forme diverse
del dispotismo o della pseudo democrazia.
E allora?
E' inutile continuare a sperare che
la Storia produca un cambiamento
della mente umana
neppure su scala locale.
L'uomo é l'essere vivente che
per le sue caratteristiche
rimarrà tale, anche se mutato nomine de te
Fabula narratur, fino a quando dalla terra verrà eliminato
da un altro meteorite come i dinosauri e altre specie
sessantasei milioni di anni fa.
20 settembre 2019
FELIX SUM IN CLOACA MAXIMA
...dixit insipiens in corde suo, non est Deus, Salmi 13,1.
insipiens dicit : naturae quid est hoc?
Panem et circenses, lupanares, subura et
mutatoria: ieri.
Lavoro, discoteche, erotismo e droga; quartieri
delle città nelle mani della malavita, politica da meetup e grattacieli: oggi.
Panta rhei, tutto scorre: la vita è divenire; cambiamento è la stabilità, diceva Eraclito.
Già, quel che vede oggi non è più quello che ha
visto ieri. Il giorno che passa se lo porta la debole memoria. Tutto si
muove sempre fra il sorgere e il tramonto del sole, come avviene dalla presenza
dell’essere umano sulla terra.
L’insipiens da secoli esegue solo e sempre le
volontà di chi muove le leve del potere. Ieri dello sciamano; oggi di
internet e degli algoritmi dei motori di ricerca o social network che dettano
dogmi, principi etici e portano all’omologazione sociale e senso di
appartenenza in una maniera ambigua. Non è la ragione a convincerlo di ciò che
è e di quel che deve fare. Lo fa sotto il martellamento continuo dei nuovi
mezzi di comunicazione. Ciò lo ha spinto oltre la cultura dell’oraziano carpe diem e del
dantesco facili guadagni: soldi, soldi !!! dicon essi
riguardando in suso.
L’insipiens non è, però, solo un prodotto di marketing, dell’inganno dei social, ma anche di una millenaria ignoranza imbrigliata tra pregiudizi e superstizioni e di un conseguente analfabetismo funzionale molto presente nella vita di tutti i giorni. Il popolo é senza un pensiero, confuso, disordinato mentre il cretino parla e straparla.
La stupidità umana congenita, infinita la definì Albert Einstein che infinito dubitava fosse l’universo, quando non rotola come l’acqua del fiume eracliteo, tende a esondare.
Le mutazioni generazionali lo aiutano a intaccare ulteriormente ciò che rimane della struttura dell’uomo moderno.
Il suo comportamento è sempre orientato dai suoi istinti elementari dettati dalla sua corporeità, ancestrali eredità rilevate nella selezione naturale di Charles Darwin e integrate nel trasferimento genico orizzontale di Carl Woese.
In Grecia come a Roma nei momenti di difficoltà
per le sorti dello Stato si risvegliava anche la sua attenzione. Passano i
secoli e tutto, tra guerre, rivoluzioni e farse d’imitatori di grandezze del
passato, si perde in mille rivoli. Altri pericoli e analisi e critica li
risolve con le sue urla un novello capobranco. Le cose procedono fra
grida di evviva e morte e lui va sempre a
morire senza capirne il perché. La sua cultura scende un gradino dopo l’altro,
sostenuta da media, televisione, studi pseudoscientifici, fake news, psicologi
specializzati nel creare, avvallare, diffondere micro e macro disinformazioni che
conducono ogni passo in più il suo cervello all’incapacità di pensare e di volere.
L’aria pulita sotto i cieli
tersi, i fuochi fatui per la campagna nelle notti buie, passata la metà del
Novecento, hanno lasciato il posto, anno dopo anno, all’inquinamento che nei
giorni nostri, unito alla cementificazione e alla motorizzazione incontrollate, agli
allevamenti intensivi a
rischio ambientale per eccessivi carichi di azoto, all’abbandono del suolo coltivato, alla
desertificazione e a tutto ciò che
produce i veleni che riempiono gli ospedali, spesso fonte di
altre infezioni. Ma il suo sguardo è perso
nel vuoto, inebetito.
Dilaga la corruzione, l’evasione fiscale, i politici in posizioni
chiave accumulano privilegi, denaro, pensioni d’oro, vitalizi. L’insipiens mormora: così fan tutti e non cambia
nulla.
Vagola per il pianeta del quale ha contribuito
a cambiare anche l'ambiente e il clima, ma nella sua mente è, come per
Pinocchio, sempre il paese del
bengodi.
Ammoniva Dante nel Trecento sul finir della sua Comedia:
Uomini siate, e non pecore matte.
Candido, personaggio di Voltaire che nel Settecento
aveva capito chi era questo tipo d’uomo, mentre proseguiva nel suo avventuroso vagar di terra in
terra dopo l’imbarco a Cadice dice a Cunegonda: noi ce ne andiamo
in un altro mondo… bisogna riconoscere che quel che avviene nel nostro,
fisicamente e moralmente, fa piangere.
Nell’Ottocento il Giusti, acuto osservatore dell’ umana specie, esprime
su di lui il suo amaro commento: il capo del gregge ci vuole un gran bene; i
mali, i bisogni degli asini vede, e al fieno provvede col libro dei sogni….. O tisici servi, Dal cor
di coniglio, Un savio consiglio, Vi fodera i nervi; Un tempo corrotto, Perduta ogni fede……
Quello che è seguito nel Novecento è presentato
in un confuso rapido susseguirsi d’ immagini che si dissolvono fra cumuli di
macerie e polvere che l'insipiens liquida: io non c’ero. Rien ne reste de nous ; notre œuvre est un problème.
L’homme, fantôme errant,
passe sans laisser même
Son ombre sur le mur. Victor Hugo
Che cosa è cambiato in lui non negli ultimi
decenni, ma in tre-quattro millenni?
Il suo cervello è meglio di quello del tempo del
basso impero romano o di quello del teatro di Euripide nel V secolo
a.C. in cui si declamava: “A che serve mille
cose investigare e nuove arti inventare, quando una cosa nessuno sa e nessuno
ricerca: come ridare il senno a chi non ha cervello?”.
E alla fine l’involuto insipiens, sventolando
intronato lo stendardo della sua libertà virtuale, va avanti, in una palude
popolata da coccodrilli che prima ti sfasciano e poi…lacrimano, e
affonda, lentamente fra le sabbie mobili di questa società insipiente, targettizzata, con una cultura propria, che aumenta
in maniera esponenziale le diseguaglianze sociali ed economiche.
Dalla palude si diffonde
nello spazio un gracidar assordante di rospi che si unisce alle urla armiamoci
e partite di chi scatena gli ululanti sulle curve degli stadi.
Dalla politica dei magna
magna, a quella dei baluba vu cumprà, dei un tant al toc e dei dottor balanzoni
aruspici delle stelle volanti hanno
fatto risorgere ancora una volta la corte dei miracoli di cui l’insipiens è la colonna portante.
Col novo signore rimane
l'antico; L'uno e
l'altro sul collo vi sta: Alessandro Manzoni,
Adelchi.
L’odissea umana termina all’Ade.
I disegni degli dèi che riguardavano il futuro preoccupavano non poco gli antichi romani che ricorsero a indovini, aruspicini i quali si erano specializzati nell’interpretazione della volontà divina.
Ma chi risolse di volta in volta i problemi della loro vita pubblica e del loro vivere quotidiano per qualche secolo
furono i gladi e il sangue dei soldati di Roma che con il parcere subiectis etdebellare superbos portarono la civiltà in Europa e divennero la potenza egemone del Mediterraneo occidentale.
L’ignoranza, la superstizione e il terrore accompagnarono, però,
l’uomo nei millenni che insieme alle guerre illusero molte generazioni spingendole al sacrificio della vita quali vittime sacrificali.
Si è passati così dagli auspici, ai fuochi fatui, alle fake news aureolate arrivando ad una eliminazione totale dell’aria pulita del primo Novecento che distruggerà questo pianeta più radicalmente della civiltà di Atlantide e delle altre civiltà sommerse e forse più di quel che fece oltre 60 milioni di anni fa l’asteroide dello Yucatan.
Andremo, dicono, a vivere su altri pianeti. Per destinarli alla stessa fine della Terra?
Dagli àuguri indaffarati tra dèi, veggenza e furberie loro ai ricercatori, scienziati, indovini on air, che ignorano il cogito ergo sum cartesiano o il saggio detto veneziano Prima de parlà tase, vivacizzando la confusione dilagante ci hanno infilati in un circo mediatico nel quale un altro pifferaio per l’ultima corsa ci conduce all’Ade. La sua coscienza inconscia è video ipnotizzata. L’uomo accusa tutto ciò un po’ come chi è affetto di un drop attack.
Ora non si tratta più tanto di identificare la fake news di stamane o la bufala, in inglese hoax, dell’altro giorno; ma di arrestare questa corsa all’Ade riabilitando una cultura abbandonata. Abbandonata alla mercé di una resa simile a quella che
i faraoni ai tempi dell’ erezione delle piramidi applicarono la loro legge, una e sacra, ai loro schiavi che le eressero? I tempi fuggono; gli uomini restano in balia del carpe diem oraziano; mentre la speranza è come l’araba fenice.
Oggi, come ieri si può ripetere soltanto al vento: Tornate all’antico e sarà un progresso…Ma quale antico, quale progresso!?
Volano nell’aria numerosi i: dobbiamo, dobbiamo e niente o assai poco si fa quando si fa. Cose non nuove per l’uomo. Al tempo dei Visconti, settecento anni or sono, già in un giorno di loro: Multa dicebant; pauca facebant. Il giorno dopo accadeva il contrario. E siamo arrivati, come siamo arrivati, al XXI secolo.
Metafore, retorica, condizionali inutili…chiacchere forse buone per le shakespeariane allegre comari di Windsor.
Nel pozzo del tempo è affastellato di tutto. Ma le nuove generazioni in buona parte ignorano il passato e navigano nel buio.
Inoltre anche nelle scienze il potere continua a distogliere dal sapere chi si dedica seriamente alla ricerca. I poteri ombra stanno utilizzando come avamposto una società creata tramite i social network. Una società composta di homines videntes, ludentes et insipientes senza che nessuno finora abbia cercato di fermarli. Le Big Five? Vi si accenna senza fare nulla.
Si parla, poi, di simulazioni statistiche. Bene, basta che tali simulazioni non appartengano alle bugie, grosse bugie e …statistiche dell’ultimo dopoguerra.
Mascherine, sì; mascherine, no; business, welcome! Vaccini, sì; vaccini, no. Zona bianca, zona arancione, zona gialla e zona rossa. Qualcuno le nomina e ognuno fa come vuole: cos’è cambiato da Platone? Varianti? Divertitevi: del doman non c’è certezza. La crescita demografica sfugge ai controlli: esiste proprio chi crede di rimediare con i Centri di ricerca batteriologica ed impoverendo sempre più i servizi sanitari?
Ordini; contrordini. Il Covid-19 è variante, gli uomini non tutti, eccetto chi occupa una poltrona. Fra la poca gente anziana, che sempre meno si vede nelle strade della città, di fronte a pseudo scienziati e agli altri pseudo presenti sullo smartphone vi è chi scrolla la testa ricordando quel che aveva sentito durante la sua giovinezza e brontola: Quand la m…la monta in scàgn o la spussa o la fa dàgn.
Mentre l’homo insipiens, il ludens e il videns distribuiscono
la loro parte ancestrale un pò qua e un po’ là fra i cerchi magici della pseudo scienza. Ghigna beffardo chi coltiva il peccato di Hybris. A questa categoria appartengono non pochi pseudo. La loro supponenza sale sopra il piedistallo della Scienza e di altre Discipline e le imbratta.
E in una infodemia di fitter bubble ed echo chamber davanti agli occhi di molti esseri umani la Terra è il paese di Bengodi.
Che importa se l’Europa è divisa fra chi segue le leggi dell’UE e i contrari per interessi di non si sa chi, che da buoni Gattopardi non cambian niente. America e Cina si muovono fra competizione e guerra fredda.
Bonus, bonus gridan tutti guardando in suso: Italia= Grecia?
Le banche si lamentano per l’eccesso di depositi cresciuti per le cattive condizioni nati dal coronavirus e dalla politica ondeggiante; ma se uno preleva quello che vuole dei suoi soldi il fisco vuol sapere che cosa ne fa. Non fa nulla invece a chi porta grossi capitali nei paradisi fiscali perché i suoi avvocati corrompono politici, fisco e chiunque incontrino sul loro cammino.
Insomma quando l’uomo incominciava a parlare, ma non ancora a scrivere, il canto delle sirene attraeva i naviganti trascinandoli alla perdizione; oggi alla perdizione li trascina la confusione di un’umanità senza più sponde su un pianeta dove il manicomio ha cancellato ogni confine. Ci si avvicina all’Ita est, tempus est ire.
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