martedì 2 ottobre 2018

Meminisse iuvabit

Il Borgo di Concorezzo nei documenti del Catasto settecentesco

di Floriano Pirola

pubblicato in I Quaderni della Brianzan°149/150, luglio-settembre 2003

Sommario 
-     Dal conteggio delle teste o delle bocche alla riforma censuaria
-     Il censimento nella sua esecuzione
-     Documento: Il borgo di Concorezzo a metà Settecento



Un primo passo per studiare il divenire dell’aggregazione urbana di Concorezzo I successivi saranno dedicati al suo territorio, anche per l’Ottocento.  

E’ dopo la metà del secolo XIX che si sviluppa l’interesse per le ricerche storiche centrate sull’evoluzione negli ambiti territoriali, sia per l’aspetto esteriore che per la loro organizzazione, da parte di istituzioni pubbliche e private. E qui si colloca il censimento settecentesco.
Riprendendo il disegno della precedente, con la correzione però dell’errore di fondo, si avviò la grande riforma che produsse il primo catasto particellare lombardo. “Con la decisione presa da Carlo VI di procedere alla nomina dei componenti la nuova R. Giunta del censimento, si ha il primo atto formale indispensabile per l’inizio delle operazioni connesse all’iniziativa”[1]
Prima che i lavori di misura terminassero l’editto del primo marzo 1723 ordinò la pubblicazione delle mappe e dei sommari d’estimo. La comunità di Concorezzo venne convocata allora al suono della campana nella piazza del borgo per prendere visione dell’assetto territoriale. Qualora si fossero rilevate inesattezze od omissioni si aveva facoltà di ricorso.
Tra il 1723 e il 1726 la Giunta per il censimento procedette per la realizzazione del nuovo censo con la stima. Dai processi delle tavole di stima si ha un quadro abbastanza preciso dell’economia del borgo nella prima metà del ‘700. I risultati delle operazioni di stima, resi pubblici nel 1726, diedero luogo a ricorsi di ogni genere. Coloro che erano contrari anche a questo tipo di censimento sperarono che tutto si arenasse lasciando le cose come stavano. Ma si giunse alla revisione generale della stima, che alla fine portò alla compilazione dei registri o libri catastali di ogni comunità. Nel 1731 si chiusero definitivamente i lavori di attribuzione delle stime a causa delle guerre polacca e austriaca. E subito dopo mappe, registri e l’intero archivio della Giunta del censo milanese vennero trasferiti a Mantova.
Di tutte queste operazioni rimane un’ampia documentazione scritta e cartografica. Per quanto riguarda la documentazione cartografica, essa mira ad una restituzione più diretta, per immagini, dell’ambito che si vuole conoscere. Quest’opera di traduzione, di trasposizione cerca di andare al di là della descrizione verbale, ma il documento scritto, almeno per le nostre mappe, serve a correggere eventuali equivoci ed errori di prospettiva o di trascrizioni ripetute negli anni. La rappresentazione cartografica, inoltre, non è mai obiettiva, né meccanicamente interpretabile come fotografia di una situazione di fatto: è  pur essa sempre un’interpretazione con i suoi codici, criteri e scopi pratici. Per questo ho condotto la mia ricerca, nel corso di tre decenni, presso archivi pubblici e privati di Milano e della Lombardia, non trovandosi nulla in Concorezzo anche se il primo marzo 1723, per volere di Carlo VI, la cesarea Real Giunta del censimento provvide a consegnare ai rappresentati dei comuni le mappe ed i sommarioni realizzati nella prima fase del censimento stesso.[2]
Da questa ricerca sono emersi dati catastali del valore non solo numerico. Questi dati, infatti, oltre che fornire una chiave di lettura, che mancava, delle mappe del XVIII secolo (e XIX che si esamineranno in successivi interventi) offrono una base per ulteriori indagini, se opportunamente elaborati per mezzo di strumenti e conoscenze appropriati, di diversi aspetti della vita socio-economica nel centro storico di Concorezzo, e nel suo territorio.[3]Così da conseguire una descrizione meglio definita di quanto non  sia stata sinora. Descrizione che, completata anche nei particolari, evidenzi la continuità di una storia del borgo e della sua comunità. E’ stato questo un lavoro per nulla facile soprattutto a causa della documentazione incompleta conservata negli archivi pubblici. Concorezzo rientra, infatti, fra un piccolo numero di comuni della provincia di Milano che hanno subìto una perdita di mappe e carte censuarie, e non solo per eventi bellici.[4]

Dal conteggio delle teste o delle bocche alla riforma censuaria

Con Gian Galeazzo Visconti il territorio milanese venne eretto in ducato con investitura imperiale (1395). All’estinzione degli Sforza (1535), successi ai Visconti, il ducato di Milano quale feudo imperiale ritorna all’impero. Carlo V d’Asburgo, imperatore in quel momento, lo trattiene per sé nominandovi un governatore. Così i sovrani asburgici di Spagna, ascendendo al trono, ottengono dall’imperatore la conferma di tale investitura.[5]Con la pace  di Utrecht ( 2 aprile 1713), dopo la scomparsa rovinosa dell’impero spagnolo confermata dal trattato di Radstat del 1714, in un intrico di manovre di potenza, celandosi dietro il vessillo della libertà dei popoli, Savoia e Borboni piegano a proprio vantaggio il “vetustum externi dominatus fastidium”, (l’antica avversione al dominio straniero) di cui si lamentano i protagonisti di una nuova coscienza storiografica, tra i quali il Vico e il Muratori. E lo Stato di Milano passa a Carlo VI, al quale è stata riconosciuta l’eredità dei possessi spagnoli. Stato che, tornato all’impero come principato, ha già subìto la trasformazione della struttura statale che presenta la caratteristica dell’età moderna.
Fino ad allora, ab antiquo, si era ricorso, per ripartire i tributi, prima a parametri come il consumo di sale nelle comunità o il mantenimento di cavalli per l’esercito ducale; e, poi, non reggendo più il sistema, era seguito l’accertamento sulla popolazione, sui terreni, case e attività di mercato. Dal conteggio delle teste o delle bocche[6], operazione non difficile da eseguire specialmente dopo l’attuazione dell’imposizione del Concilio di Trento nel 1563 a tutti i parroci di tenere i registri di stato civile dei parrocchiani, si arrivò, stimolati da una effettiva necessità di riordino della politica fiscale, al nuovo censo, che sarà modello di altri catasti. 
Non facile fu, però, descrivere il territorio nei suoi beni immobili e valutarne l’imponibile.[7]

Il censimento nella sua esecuzione

Con la prima Giunta (1718-1733) si erano svolte le operazioni di misura delle comunità dello Stato di Milano: originali di campagna (1721-1724). Direttamente in campagna si stendevano le mappe in scala 1:2000. Per ogni particella (la cui numerazione, però, non corrisponde sempre a quella riportata nelle mappe originali) si annotava il numero d’ordine, la qualità di coltura e la superficie, misurata a tavolino sulla  base della mappa stessa. Si rilevarono allora soltanto i terreni. In ufficio vennero redatte, poi, le copie degli originali di campagna (riprodotti in fogli staccati), note come mappe di Carlo VI (con artistici cartigli per la titolazione in epigrafe del comune rappresentato in mappa e cartigli indicanti il nord topografico). Le operazioni di rilevamento vennero effettuate utilizzando non più lo squadro, e i trabucchi (catene di 10 trabucchi  di lunghezza) = 1 trabucco corrispondeva a 6 piedi, ossia metri 2,61 =  e il trabucco da legno localmente sino allora impiegati, bensì la tavoletta geometrica, detta pretoriana[8], sormontata da una riga di ottone con traguardi per la definizione delle direzioni angolari e la loro immediata trasposizione grafica. L’unità di misura adoperata fu il metro; si utilizzarono catene e canne metalliche. Le mappe furono orientate al nord magnetico. L’unità di superficie usata fu la pertica milanese di circa 654 mq. Le mappe catastali derivatene furono una proiezione planimetrica del terreno.
La riforma, nel 1732, era quasi interamente compiuta. Fino a questo momento erano state eseguite, infatti, le misurazioni e la stima dei terreni e degli edifici rurali annessi. ( che tratterò successivamente ) Non completato, invece, il censimento delle case e dei beni di seconda stazione (mulini, torchi ecc.)
La guerra di successione polacca arrestò tutto, come ho detto, e Maria Teresa, successa al padre Carlo VI nel 1740, impegnata a difendere il trono (1741-1748), non potè fare nulla per il censimento. Ma con l’inizio del suo regno aumentò la critica al vecchio sistema amministrativo e fu segnata l'evoluzione dell'indirizzo di governo. E quando l'imperatrice fu in grado di governare ordinò di riassumere l'opera del censimento e in data 19 luglio 1749 costituì una nuova Giunta , presieduta da Pompeo Neri, che, avvalendosi dell'opera svolta dalla prima, integrò e completò le operazioni di misura e stima. A questa Giunta Maria Teresa aveva conferito tutte le facoltà in precedenza concesse da Carlo VI, e prima da Carlo V, ai prefetti dell'estimo. Vennero allora rifatte anche non poche mappe copia e mappe ridotte, andate perdute o danneggiate negli anni di interruzione delle operazioni. Gli interventi e le revisioni portarono alla pubblicazione delle tavole del nuovo estimo. Ogni comune, in questa fase, dovette dare anche le risposte ad un questionario consistente in 45 Quesiti sul vecchio sistema di riparto dei carichi fiscali in vigore (Risposte à 45 Quesitidella Real Giunta).[9]Le mappe di seconda stazione con il rilevamento in planimetria degli edifici vennero realizzate in questo periodo. Ad ogni edificio venne assegnato un numero di mappa consecutivo partendo dall’ultimo numero assegnato ai terreni. Per Concorezzo, come già accennato, le mappe relative al centro storico non ci sono (e bisognerà attendere che riemergano da dove sono finite) e si deve ricorrere alle mappe originali, di campagna o di lavoro (1721-1723) che, però, non sempre corrispondono nei numeri a quelli contenuti nelle carte censuarie di un trentennio più tardi.[10]
Attraverso i dati ricavati da petizioni, trasporti d’estimo (volture 1758-1864), ricorsi vari, esenzioni, suppliche e minuziose elencazioni di amministratori di grandi proprietari in Concorezzo confrontati con le mappe rimaste, sia pure sintetizzati, sembra quasi di esaminare i fotogrammi di un mondo che non c’è più, ma i cui segni, che affiorano ancora qui e là, ci aiutano ad intravvedere come questo mondo si è mosso.[11]
Anche da questo censimento non si apprende ancora, ad esempio, quali erano le condizioni degli edifici, il tipo di lavoro che si svolgeva in alcune di esse (per le quali il generico “lavorerio” non ci dice se, oltre il lavoro della terra, vi si fabbricavano aghi, il che anche avveniva, o vi si filava la seta o la lana) ed altre indicazioni di carattere generale ma utili per la ricomposizione del quadro complessivo di quel borgo. Ciò avverrà, invece, con i successivi censimenti, a partire da quello del 1856 che spero di poter esaminare in questa sede per non lasciare che un pezzo di storia importante sia ignorato o mal conosciuto.
Ma, prima di passare alla descrizione dei beni di seconda stazione -edifici- misurati successivamente al 1721, devo aggiungere che: il 20 dicembre 1757 venne pubblicata la sentenza definitiva dell'estimo generale e l'estimo dei beni di I e II stazione di tutto lo Stato e fissato il termine per la presentazione dei ricorsi entro il giugno 1758. La Giunta fu sciolta il 2 marzo 1758. Il dispaccio reale del 5 novembre 1759, pubblicato in data 29 novembre, sanzionò l'attivazione del nuovo censimento con il primo gennaio 1760.














[1]Sergio Zaninelli, Il nuovo censo dello Stato di Milano dall’editto del 1718 al 1733, capitolo secondo, La fase preparatoria  (1718-1720), p. 25.
[2]La documentazione catastale è depositata principalmente presso l’ASMi per le parti preparatorie. Mentre altri documenti sono presso la Bibl. Naz. Braidense (Gridario relativo  al censo). I registri catastali e le mappe, utilizzati dagli uffici fiscali, si trovano presso altri Archivi lombardi. Come accadde per i successivi censimenti non solo il comune ma anche tutti i grandi proprietari terrieri locali ebbero le proprie mappe e registri catastali. E, se pur dispersi nel tempo e nello spazio, alcuni di questi documenti esistono ancora. Altri aspettano che li si ritrovi.
[3]Mi auguro che l’ing. Pella, con il quale nel 1991 si era quasi arrivati a sviluppare questo lavoro, anche sulla base di quanto esaminato insieme circa lo sviluppo di Concorezzo dalle sue origini, trovi il tempo per approfondire dati e  notizie da me raccolti e trasmessigli così da arrivare finalmente a ricostruire l’aggregazione urbana, tenendo conto di quell’andamento geomorfologico del territorio di cui si era pure discusso, a proposito della derivazione del toponimo Concorezzo di cui sono pervenuto al reale significato, senza, se possibile, trascurare le attività socioeconomiche sviluppate da coloro che vi hanno abitato nei secoli. Sulla situazione politico finanziaria nei primi anni del ‘700 si veda: Salvatore Pugliese, Condizioni economiche e finanziarie della Lombardia nella prima metà del secolo XVIII, in Miscellanea di Storia italiana, a cura della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie e la Lombardia, ed.Bocca, Torino 1924; Carlo Cattaneo, Notizia economica sulla provincia di Lodi e Crema, 1839 e Giulio Guderzo, Uomini, terre e colture nel Settecento pavese, 1980.

[4]Di quasi tutti i comuni, ad esempio, sono conservati presso l’ASMi due copie delle mappe sette-ottocentesche e delle carte censuarie relative, salvo che per Concorezzo e per qualche altro comune di cui vi è una sola copia (e tra ‘700 e ‘800 i fogli di mappa di cm.50 x 60 ca., a colori, sono circa 40 per Concorezzo, del quale mancano anche i fogli in cui compare il centro storico). 
L’archivio catastale, che comprende atti dal 1718 al 1902 con allegati risalenti al XV secolo, venne conservato dall’Ufficio tecnico erariale fino al 1939 anno di versamento all’AS. Accentrato  durante la guerra, fu riportato in sede nel 1946 non accompagnato, però, dal corrispondente inventario – ma gran parte delle mappe e registri censuari furono in consultazione per i ricercatori alla fine degli anni Settanta, mia nota– come si legge in Guida generale degli Archivi di Stato Italiani, vol. II, Roma 1983, pp.952-957.
[5]Cfr. Stato di Milano/Dominio Asburgico (1535-1748)Lombardia Austriaca (1749), a cura di Ada Annoni, Fondazione italiana per la storia amministrativa,  in  Acta Italica,  Milano 1966.
[6]Per Concorezzo si veda: F. Pirola, Storia di Concorezzo,“Dai libri del perticato 1530 die 18 settembre”, pp. 414-425.
Un censimento o estimo generale dello Stato di Milano fu ordinato da Carlo V, con i difetti dei precedenti censimenti. Ma con il censo milanese che prese il via nel 1718 l’impostazione cambia. Le disposizioni di compilazione vennero impartite dal governo centrale e si ritennero valide per l’intero territorio: si passò così dalla finanza patrimoniale alla finanza tributaria. E questo, insieme alla sua natura geometrico-particellare, evidenzia la modernità del catasto milanese.
[7]Un’operazione simile era stata tentata nella 2^ metà del secolo XVI: cfr. R. Beretta, Misura del territorio di Vimercate del 1559, pp. 82.L’impresa se non giunse in porto fu a causa delle condizioni in cui quegli uomini dovevano operare. L’anagrafe centralizzata dei proprietari, indispensabile per produrre gli esiti necessari, rimase così nelle speranze del potere centrale.
[8]Strumento inventato dal matematico tedesco Johannes Praetorius (1537-1616) e imposto per l’occasione dal matematico di Corte Giovanni Giacomo Marinoni (1676-1755).
[9]Cfr. F. Pirola, Storia di Concorezzo, da p. 515 a p. 527; C. Lupi, Storia de’ principi, delle massime e regole seguite nella formazione del catasto prediale milanese introdotta nello Stato di Milano l’anno 1760, Milano 1825, pp. 49-50; S. Della Torre, Le mappe teresiane: dalla misura al segno grafico, in  La misura generale dello Stato. Storia ed attualità del catasto di Maria Teresa d’Austria nel territorio di Como, Como 1980,  pp.31-39.
[10]Le operazioni per il territorio di Concorezzo, S. Albino e Taverna della Costa , che allora formavano un unico comune, furono eseguite dall’8 agosto al 12 settembre 1721 “dal geometra Gio. Pietro Pozzo coll’assistenza di Gio. Morè sindico, Gio. Valera console, Pietro Sormani, catenaro , Carlo Zappa, palizzaro ed Antonio Meda, in fogli 18”  Cfr. ASMi, Mappe di Maria Teresa c. 2065 e mappe arrotolate. Ma "la descrizione delle case ad uso villa e di ordinaria abitazione" fu eseguita "dal cancelliere delegato  Carlo Martino Lualdi" come si legge in  ricorsi del 1754 e 1756.
Le varie fasi sono ben riassunte nella  Relazione dello stato in cui si trova l’opera del censimento universale del ducato di Milano nel mese di maggio dell’anno 1750. Divisa in tre parti, nella prima delle quali si dimostra il sistema, che attualmente serve al compartimento, e all’esazione dei carichi dello Stato, e si espongono i principali disordini che esso produce. Nella seconda si riferisce il nuovo sistema immaginato dalla Giunta creata nell’anno 1718, in correzione dei veglianti disordini, si narrano le operazioni da essa fatte per perfezionarlo, fino all’anno 1733, in cui restarono interrotte. Nella terza si riferiscono le operazioni fatte dalla Giunta ristabilita per il benigno Dispaccio di Sua Maestà del dì 19 luglio 1749, e si rappresenta ciò che resta da farsi per condurre il detto nuovo sistema in grado di esecuzione. In Milano  X MDCCL  “Nella Regia Ducal Corte, per Giuseppe Richino Malatesta stampatore regio camerale”.
[11]Spero che queste note possano essere uno stimolo alla ricerca sul passato di Concorezzo: una ricerca che, non solo va proseguita, ma sempre meglio definita, almeno per i secoli di cui è ancora possibile reperire quelle parti di storia disperse nei più svariati, e a volte impensati, archivi.

[12]Cfr. F. Pirola, Il territorio di Concorezzo dal censimento di Carlo VI e di Maria Teresa d’Austria




L’ultimo censimento austriaco di un borgo lombardo.
Concorezzo 1856

di Floriano Pirola





































Don Antonio Girotti parroco di Concorezzo dal 1918 al1935. 
Note per una ricerca sul potere locale in Brianza negli anni dalla fine della Prima Guerra mondiale al Fascisno impertante.di Floriano Pirola 
articoli pubblicati in I Quaderni della Brianza nn.24; 26/27 e 30.


 Sommario 
-     Il Liber Chronicus di don Girotti
-     Don Girotti a Concorezzo 
-     Impegno, sociale del parroco e collaborazione laica 
-     Dal Socialismo al Fascismo
-     Salto nel buio
-     Guerra e pace

La presenza di don Girotti a Concorezzo, se si esclude l’agiografia, non è ancora stata esaminata, come meriterebbe, negli aspetti sociali e politici. Attraverso un simile esame si potrebbero verificare alcune pagine di storia della Brianza nel periodo fascista. Antonio Girotti nasce il 21 ottobre 1875 a Lurate Abbate da una famiglia di modesti operai. È don Pietro Vitali, appartenente ad una famiglia della Valsassina nota anche a Milano da secoli, e parroco del paese di Antonio, che lo avvia al Seminario. Gli anni in cui il chierico Girotti si forma, una parte dei Cattolici propugna la lotta sociale e con questa parte egli, sensibile alle istanze sociali di coloro che gli vivono attorno, si schiera. L’ideale dei preti di quegli anni è la pastorale giovanile, che si applica negli oratori parrocchiali, e la pastorale del lavoro, espressa nell’organizzazione del Movimento Cattolico. Siamo nel clima della Rerùm Novarum, dell’episcopato del Cardinal Ferrari e delle lezioni di economia sociale di Giuseppe Toniolo e di don Carlo Dalmazio Minoretti, carissimo al card. Ferrari, e di una notevole importanza nella Milano cattolica.  Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1899 don Girotti è per due anni coadiutore al paese natale, passando poi all’Oratorio di Bellano. Nel 1905 gli viene affidata una della due Coadiutorie titolari di Seregno dove egli opera con don Giovanni Maggi (al quale sarà assegnata la Cura di Concorezzo). Qui don Girotti viene a diretto contatto con mons. Minoretti, ora prevosto di Seregno. E’un momento di particolare attività politica, artigianale ed industriale in tutta la pieve di Desio della quale Seregno è parte. A Seregno i Cattolici sono bene organizzati e per don Girotti, in una zona di agitazioni operaie e di discordanze anche profonde tra padroni, si apre un terreno fertile per le iniziative sociali in cui si distingue. Ma nel 1917 il parroco di Concorezzo, don Gerolamo Bonomi, dopo anni di malattia, rinuncia alla Cura, che, verso la fine di agosto, il card Ferrari affida a don Girotti. Quando egli fa il suo ingresso in parrocchia, nel gennaio del 1918, la guerra imperversa. Ciò non gli impedisce però di immergersi subito nella vita della parrocchia che per lui è quella di tutto il paese: non esisterà, infatti, problema che non lo coinvolga in prima persona.
Un paese operoso attraverso i flash de Il Liber Chronicus di don Girotti
Nel Liber Chronicus, che principia con il 14 febbraio 1918, don Girotti non si limita a registrare o ad annotare le questioni riguardanti la vita religiosa della parrocchia e la gestione del beneficio affidatogli; ma vi inserisce i temi sociali ed economici (appena sfiorati da don Gerolamo Bonomi sul finire della sua cura e con altri accenti) in tutte le loro implicazioni politiche. Scorrendolo, risulta evidente che per don Girotti la Parrocchia è il centro propulsore, il cuore del paese. E vi si possono cogliere le premesse da cui desumere come in lui il dato di fatto poté aspirare a diventare dato di diritto per quanto riguarda la vita globale di Concorezzo. Quello che riesce invece non facile è lo stabilire con esattezza le date in cui il parroco ha steso la sua cronaca, perché don Girotti compì gran parte del suo Liber Chronicus, almeno sino al 1926 quando si tronca improvvisamente per proseguire in quaderni riservaticome un ripensamento degli avvenimenti vissuti, descrivendoli cioè in momenti successivi al loro verificarsi. Ciò non significa che non ci si trovi dinanzi ad un attento cronista del quotidiano e a un Liber Chronicus nel senso stretto del termine, vale a dire pura registrazione di fatti a scopo di immediata utilizzazione. Ma gli eventi fecero di don Girotti anche un memorialista, il cui memoriale ci apre l’accesso all’uomo ed al suo tempo. Come cronista e memorialista egli ci fa cogliere talvolta le pulsioni più intime, con le sue critiche osservazioni ci aiuta nel ritrovare il filo per ricostruire le vicende e la vita di  un paese, che per noi è già più  una comunità la cui esistenza poggia esclusivamente sull’agricoltura, in uno dei momenti di transizione di grande rilevanza storica. Per comprendere meglio lo spirito che animò don Girotti nello stendere il suo Liber Chronicus, le cui pagine riflettono altresì le polemiche dei tempi, non si deve perdere di vista la sua estrazione popolare e, forse ancor più, gli anni della sua formazione teologica, che come disse lo storico don Rinaldo Beretta, suo coetaneo, aveva fatto di quei sacerdoti tanti «cappellani del lavoro». 
Don Girotti a Concorezzo 

Don Girotti entra in un paese nel quale, come per Seregno, la Chiesa, che rappresenta da secoli ogni autorità e istituzione, punto di riferimento e perno per l’intera popolazione, superati anche i contrasti formali del periodo post unitario, si è immessa senza contestazioni sostanziali nel mutare dei tempi, ponendosi prima tra i proprietari terrieri e i contadini e mostrandosi poi disponibile alle tendenze ed iniziative di emancipazione di questi ultimi. La popolazione di Concorezzo si schiererà così ancora una volta con il parroco perché egli e non altri comunica con essa. il Comune, infatti, non gode le simpatie dei suoi amministrati per le funzioni fiscali e burocratiche che esercita. Nel caso nostro ciò si evidenzierà meglio quando il fascismo farà il suo ingresso ufficiale in paese (1923) e soprattutto quando i fascisti locali intraprenderanno iniziative sociali che collidono con quelle portate avanti da don Girotti. La popolazione di Concorezzo, che il parroco definisce “un po’ indifferente” alle sollecitazioni politiche, reagirà in modo negativo, quasi si trattasse di un’intrusione di singoli individui avulsi da qualsiasi contesto di più ampie proporzioni, avallando in una certa qual misura l’urto tra potere civile e potere religioso che investirà chi la rappresenta. Ma seguiamo il cammino del nuovo parroco.

Per ogni festa o funzione egli si compiace della numerosa partecipazione di popolo e dell’entusiasmo dimostrato. Intanto esplora la realtà del paese nei suoi diversi aspetti. Il suo Liber Chronicus e i suoi memoriali ne offrono scorci interessanti. Ma nel suo primo anno di Cura alla guerra si aggiunge la siccità e la spagnuola con le sue vittime. Poi, il 4 novembre 1’incidente in cui un giovane di Monza perde la vita e due giovani dell’Oratorio finiscono in carcere, assolti qualche mese più tardi per legittima difesa, porta un certo scompiglio in paese e per il parroco. Ciononostante il 1° gennaio 1919 don Girotti, riferendo sullo stato della Parrocchia, presenta un progetto di lavoro riguardante Oratori, Scuola di Economia domestica, Associazione dei padri e delle madri, Società di Mutuo Soccorso femminile e Società della Buona Stampa. Procede al riordinamento di funzioni, orari, disposizioni, ordini di servizio per coadiutori, alla distribuzione delle cariche, provvede alla Cappella Cantorum ed all’assistenza agli ammalati. Con l’esperienza che ha acquisito a Seregno, don Girotti porta in parrocchia una ventata di innovazioni, che investono pure certe tradizioni radicate in paese sulle quali si era già cimentato il suo predecessore (si tenga presente che don Bonomi resse la Cura di Concorezzo dal 1868 al 1906). E’ in questo periodo che viene fondato e si sviluppa con don Sturzo il Partito Popolare Italiano.


Impegno, sociale del parroco e collaborazione laica
«Per meglio coordinare il lavoro delle varie associazioni e dare origine ad altre associazioni necessarie per il bene del paese, scrive don Girotti, si è formato il comitato che più precisamente si doveva chiamare parrocchiale, ma che per incontrare minor ostilità si chiamò popolare. Esso è composto da tutti i presidenti delle varie associazioni e da altri membri scelti dal parroco »;..Di questo Comitato viene nominato segretario Gerolamo Bonati «giovane di buone speranze», sottolinea il parroco. Bonati aveva già fatto parte della commissione di notabili pro ricevimento parroco in paese. Fra don Girotti e Bonati  vi sono 17 anni di differenza, formazione ed esperienze diverse.
Tuttavia Gerolamo Bonati opererà accanto a don Girotti nella realizzazione delle sue prime e principali iniziative sociali. Una delle prime opere compiute dal  Comitato popolare è la Cooperativa di Consumo, aperta in aprile con 70 famiglie iscritte, di cui Bonati è nominato presidente. Don Girotti giudica le iniziative sociali del Comune troppo limitate, inadeguate ai tempi e impregnate di incertezza e conservatorismo. Egli si trova quindi a operare in un ambiente, dove i grandi proprietari terrieri ed i più importanti imprenditori non si muovono nella direzione che egli vorrebbe ed i  socialisti, pur non essendo presenti ufficialmente in paese, conducono un’azione sotterranea a lui non favorevole. Ciò si evidenzia già nel corso dell’agitazione dei contadini a fine maggio del 1919 in cui il Parroco si schiera dalla parte dei contadini. In un memoriale che don Girotti invia a Mons. Pizzardo della Segreteria di Stato nel 1930, dopo che l’eminente Prelato era stato a Concorezzo, viene bene sintetizzata anche la situazione derivata da tale vertenza in paese. Egli pone  in rilievo, inoltre, i pareri discordi dei parroci della Pieve di Vimercate sul permesso ai propagandisti cattolici di accedere alle loro parrocchie per guidare i contadini verso una soluzione favorevole dei contratti agrari. E come il card. Ferrari lo additasse ad esempio agli altri parroci. Rimarcherà, fra l’altro, che a Concorezzo a differenza che in altri paesi della pieve, invece tutto restò tranquillo ed io dal pulpito potei avere la forza di dire: i Socialisti non devono entrare nel nostro paese. Tentarono pure qui, ma non riuscirono. Fu memorabile in quei giorni il lavoro fatto dalla Lega di Monza e ad essa si deve,  specialmente al propagandista Achille Grandi (che sarà suo amico sino alla morte), se  i nostri paesi non caddero tutti in mano ai socialisti... Finalmente quei padroni, che non avevano voluto cedere, spontaneamente dovettero cedere per forza concedendo più di quanto si era combinato a Concorezzo. Era questa una delle prime vittorie ottenute, principio di uno sconvolgimento generale dei vecchi patti colonici...». Ma è anche vero che a Concorezzo, a partire da fine Ottocento, si è attestata l’industria e i lavoratori di altri paesi, che da qui  accedono più facilmente agli stabilimenti di Monza e di Sesto san Giovanni. Esistono perciò altre condizioni rispetto ad altri paesi della pieve. E don Girotti si mostra contrario al pendolarismo mirando a far sviluppare l’industria in Concorezzo. Egli non si rassegna, infatti, di fronte al fatto che a Monza, Sesto, Milano, la guerra abbia rianimato e potenziato al massimo le industrie preesistenti e ne abbia create di nuove; mentre a Concorezzo non solo non si era fatto  nulla  ma ci si era lasciati altresì sottrarre manodopera, persino quella che serviva per i lavori  nei campi. Non potendo fare più di quanto andava tentando di fare (contatti con industriali di Seregno e di altre parti per la riattivazione degli stabilimenti esistenti, ma poco efficienti), egli si sforzava di individuarne le cause e si sfogava ad attribuirne le responsabilità. La sua penna supporta per pagine e pagine il suo pensiero con il medesimo spirito con cui aveva trattato i problemi dei contadini. Non vi è, però, problema del paese che don Girotti non affronti cercandone una soluzione: dalle associazioni parrocchiali, ai corpi musicali, ai circoli, alle feste. In un paese dove ci si muove sull’onda di ritmi secolari e naturali l’opera del nuovo parroco appare febbrile travalicando ogni aspettativa. Tra  le aspirazioni dei parroci che lo hanno preceduto fu, ad esempio, la realizzazione degli Oratori per la gioventù; egli li porterà a compimento. Ma ora sotto l’incalzare degli eventi politici ed economici nati con la guerra le aspirazioni si trasformano in necessità. Fra queste si impone una sede per le associazioni rapidamente cresciute in paese. Don Girotti acquista nel 1919, con il concorso di Federico Varisco e l’aiuto dell’arch. Giovanni Monti, la casa Stucchi in via Borgo dove le riunisce. Nasce così la Casa del Popolo, oggi a lui dedicata. In questa Casa egli colloca pure, tra le altre sue realizzazioni, la tanto desiderata Scuola di Economia domestica.
Dal Socialismo al Fascismo.
I problemi del Comune e le elezioni politiche non impegnano meno don Girotti. Lo vediamo così occuparsi dell’istruzione pubblica, delle colonie estive, dell’aumento dei prezzi dei generi alimentati e relative conseguenze, della tassa di famiglia contestata, dell’amministrazione del Comune, delle liste da presentareper le elezionicomunali e della propaganda in occasione delle elezioni politiche. Anche se il parroco non può seguire tutto ciò da solo ed è costretto ad avvalersi ancor piùdella collaborazione laica.  Così, come è accaduto per la Cooperativa di consumo e di altre società accade per la Mutua ospitaliera che fa gestire da Bonati.  Se dei suoi collaboratori ho nominato solo Bonati è perché questa collaborazione evolverà  in pochi anni in un contrasto determinato dalle condizioni politiche nazionali e sostenuto da quelle interne al paese, vale a dire l’orientamento dei maggiori proprietari verso forme politiche confacenti ai propri interessi e avverse a don Girotti, che si muove ormai nella scia del Partito Popolare. Pur godendo la stima di questi ultimi come sacerdote, non rappresenterà più per loro sul piano politico il futuro.Ed è il Blocco nazionale prima, e il  Partito fascista poi che entrerà in Comune, non senza forzature, ma non nella maniera in cui entrerà negli altri Comuni del Circondario. Concorezzo, infatti, non si verificano né assaltiné saccheggi a Cooperative o a Circoli. Il fatto più saliente fu il contrasto tra don Girotti e Bonati al quale anche i notabili del luogo passati sull’altra sponda avevano concesso credito e fiducia. Tale contrasto, che osservandolo dall’esterno riduciamo in poche righe, ma cheprocurò invece al parroco Girotti amare lacrime ed al Bonati non pochi grossi dispiaceri: le une e gli altri se non verranno storicamente dipanati manterranno fin che il ricordo vivrà disagio  a parlarne creando nel tempo un’altra delle pagine oscure sulpassato di Concorezzo. Ma procediamo con ordine.  Nel1921 don Girotti scriveva: «I facili successi ottenuti dai socialisti negli anni di guerra e più ancora nel 1918/19 li avevano accecati e condotti alla prepotenza e alla barbarie.  L’anno 1920 fu quello dei loro maggiori trionfi e di predominio, che aveva ormai reso impossibile la vita ai benpensanti.Accecati dai loro successi, ottenuti anche per la debolezza dei Governi passati e degli industriali, andarono alla mina con l’occupazione delle fabbriche... I fascisti, nati in piccolo numero da qualche anno per far fronte alla prepotenza bolscevica, non avevano osato affrontare in pieno la rivoluzione tentata e lasciarono al Partitopopolare il duro lavorò di resistere all’onda bolscevica aspettando il momento giusto di combattere il nemico. delitti commessi dal socialismo, un po’ dappertutto, avevano stancato ed il continuo ripetersi di scioperi ingiustificati aveva fatto nascere in tutti, anche fra gli stessi operai, un desiderio di pace e d’ordine. L’occupazione delle fabbriche fu il tracollo per i socialisti, il nemico fuggente fu valorosamente inseguito dai fascisti. Ma anche questi ultimi, salutati da tutti come liberatori da uno stato insopportabile, avrebbero potuto benissimo essere benemeriti dalla pace, ai primi successi non seppero fermarsi e caddero neglie errori dei primi. Giolitti sciolse la Camera mal composta e per formarne una più omogenea incoraggiò le forze d’ordine formando il Blocco o Fascio Nazionale. Di qui incominciò la campagna elettorale, la reazione alle prepotenze socialiste da parte dei fascisti... A Concorezzo abbiamo avuto poi uno strano fenomeno. Il sindaco, Federico Varisco, portato dal Partito popolare come aderente al suo programmacon un atto d’incoerenza inqualificabile passò al Blocco dal quale aspettava la morte del socialismo e la salvezza della PatriaLa domenica antecedente le elezioni, dopo aver raccomandato in pieno Consiglio comunale il Blocco Nazionale colsignor Roberto Brambilla presentò allo scarso pubblico il candidato fascista avv. AlfieriTale atto, da tutti disapprovato, diede buon gioco ai socialisti di dipingere i due signori nemici dell’operaio....L’esito, inaspettato dal Sindaco, provocò le sue dimissioni... Dal risultato delle elezioni si vede un aumento dei socialisti. (Popolari voti 630; Socialisti 360; Blocco 95; Comunisti 1). Quali le cause? La disamina del Parroco è chiara e vi si coglie l’incertezza del domani. Qui si apre, infatti, lo spartiacque che dividerà ulteriormente le forze esistenti in paese. Ma don Girotti non depone per questo la sua combattività. Trascorrono i mesi in uno stato di frizione crescente, nel 1923 per il Monumento ai Caduti e con la fondazione della «sezione del Fascio e benedizione del gagliardetto»; nel 1924 quando la banda dell’Oratorio, di cui il parroco è presidente, si rifiuta di suonare Giovinezza. Seguono le elezioni politiche che, se anche ebbero come scrive don Girotti un esito «non certo lusinghiero per il partito dominante in Lombardia e specialmente nel nostro circondario», daranno il via all’inchiesta in Comune per presunte irregolarità amministrative. «Ormai, commenta don Girotti, tutti i Consigli comunali sono stati sciolti dal governo fascista» con relativo insediamento di un Commissario prefettizio.
Questa inchiesta in Comune scatenerà un’accesa polemica tra i fascisti e un anonimo su  “Il Cittadino di Monza”, passando dal Giornale di Monza al Popolo di Lombardia e sfociando dopo circa un anno in uno scontro tra don Girotti e Bonati a causa di don Ricotti, assistente dell’Oratorio maschile, che «da acceso antifascista, scrisse don Girotti, era passato con i fascisti»
Salto nel buio
La vicenda era iniziata dopo l’inchiesta in Comune, come dirà il Parroco, per contrastare l’affermarsi dei fascisti in paese, ma era purtroppo scivolata sul piano personale. Infatti, secondo l’anonimo, de “1l Cittadino”, Bonati avrebbe provocato la crisi comunale per prendere le redini del Comune.
Tale presa di posizione non era piaciuta ai fascisti (neppure fuori dal paese) e meno ancora a Bonati che non sapeva chi fosse l’autore degli attacchi sulla stampa. E divamparono le polemiche che si trascinarono per quasi un anno. Fu quando si giunse al termine del periodo di commissariamento e si dovette procedere alle elezioni che la situazione precipitò. Alla data del 19 agosto, concordata fra parroco e commissario prefettizio, le elezioni non avvennero e la responsabilità venne attribuita a don  Girotti dai suoi stessi coadiutori, don Bogni e don Ricotti, ai quali egli aveva dato l’incarico di provvedere per la lista dei candidati prima di partire per Vendrogno. Elezioni fallite, fu nominato Commissario Angelo Aldovini. L’atmosfera in paese si surriscaldò: «un astioso proclama contro il parroco fu affisso ai muri delle case». La polemica sui giornali si fece più rovente. E ad agosto esplose: Gerolamo Bonati in una lunga «lettera aperta all’anonimo de Il Cittadino a proposito di responsabilità per mancate elezioni amministrative» dimostra di essere informato sugli antecedenti delle corrispondenze da Concorezzo a «Il Cittadino», ribatte le accuse e precisa le responsabilità. «Comodi alibi, falsificazione sistematica della realtà. Da qui nacque l’odio contro di me», interpreterà il parroco in una sua autodifesa anni dopo. E proseguirà dicendo che «qui incomincia la campagna denigratoria contro il Parroco da parte del povero coadiutore Ricotti collegato con i fascisti»,  Ma quello che trasformò la burrasca in maremoto fu quanto seguì fra parroco e don Ricotti. Questo coadiutore, capitano degli arditi durante la guerra, si scontrò con il parroco coinvolgendo il paese, la Curia e la Federazione fascista di Milano. Dopo la denuncia a Bonati, don Ricotti fece di tutto perché il 25° di sacerdozio del parroco divenisse un vero calvario portando don Girotti al punto di voler rinunciare alla Parrocchia se Mons. Cavezzali e la Curia non lo avessero dissuaso. Il calvario di don Girotti, però non terminò neppure dopo l’allontanamento dei due coadiutori, perché soprattutto don Ricotti  godeva di vive simpatie tra la gioventù degli Oratori. Il Parroco «passò giorni pieni di amarezza di ansie e di pianti» e Concorezzo «non vide la sua Parrocchia elevata a Prepositura». Inoltre sulle calunnie sparse dall’assistente dell’Oratorio i fascisti basarono anche in seguito i loro attacchi a don Girotti. Il tempo invece di dissipare i contrasti li incancrenisce, si incattiviscono i rapporti e gli animi. E tutti i pretesti sono buoni per dare vita a tanti episodi che per riportarli e valutarli occorrerebbe assai più spazio.
Il fronte del clero in Parrocchia, momentaneamente spezzato, fa intravedere le prime smagliature nella fitta rete tessuta dal parroco in campo sociale. Don Girotti e Bonati si mostrano tuttavia decisi a mettere una pietra sul passato. Intanto dalle ultime elezioni comunali Gerolamo Bonati ne esce sindaco, dopo essere stato commissario prefettizio ed aver compiuto opere che il parroco aveva riconosciuto utili al paese. Scrive infatti «Se la nomina del Commissario prefettizio in origine fu un atto non da tutti approvato, non mancò tuttavia di frutti immediati, che una amministrazione regolare non avrebbe potuto dare anche per le forme burocratiche ed interessi dei singoli, che sono in pratica gli ostacoli ad ogni buona iniziativa. Per essere imparziali dobbiamo confessare schiettamente che tale nomina diede frutti inaspettati».
L’ombra di don Ricotti, però, aleggia ancora su Concorezzo dove ha lasciato amici tra cui la presidente di plaga della gioventù femminile che si dimette. Don Ricotti ricorrerà infine direttamente a Mussolini. 
Si inaugura la nuova sede del fascio in via san Rainaldo e si apre una sezione dell’ONB «resa obbligatoria in tutti i paesi, ma avversata da parte dei genitori», annota il parroco
Ma la tregua non regge a lungo. Un “interferenza” del parroco in una pratica del Municipio presso l’Amministrazione provinciale per un ricovero di un ammalato in sanatorio ne è la causa ufficiale. In realtàdon Girotti non vuole essere messo da parte e Bonati, ora podestà, non può arrivare al compromesso anche se lo volesse perché egli è solo il podestà e non il deus ex machina di Concorezzo.
Attorno a lui si muovono ante marcia e fascisti della prima ora che, succederà in seguito, non esiteranno ad accusarlo presso il Prefetto e il Ministero degli Interni di averli estromessi dalla sezione. E vi è anche chi si nasconde dietro di lui in attesa che la situazione decanti e l’accesso al potere sia meno a rischio. Mentre il parroco in qualche memoriale, avvocato pro domo sua, dice solo ciò che serve alla causa da lui sostenuta. 
Guerra e pace

Negli oratori vi è chi critica la politica del fascismo. La voce circola, arriva alla sezione del fascio e il podestà scrive al parroco che «della subdola campagna contro il Regime e le sue istituzioni i suoi coadiutori vanno continuamente facendo» ha informato il  Prefetto. Uno scambio di missive tra podestà  parroco  prefetto e Curia, una risposta affrettata del podestà al vicario generale e, come conseguenza, un’inchiesta ordinata dalla Curia. In Oratorio si faceva dell’antifascismo, ma don Ceriani dimostrò che non era vero, con il tacito consenso del Prefetto e con la Federazione Fascista consapevole ma impotente.  E ad essere ripreso fu il Podestà. E’ una pagina di storia che ci dice come fosse fragile il potere dei fascisti specialmente nei confronti della Curia milanese e poco omogenea la loro coesione politica. Ce ne danno ampia conferma i rapporti dei Carabinieri di Milano e di Desio, dei Questori e dei Prefetti di Milano in questo momento e negli anni successivi. Un segno di ciò lo si può già rilevare nel commento alle elezioni politiche dell’aprile del 1924 in “il Popolo d’Italia” a firma di Gian Mario Guerrini: «La Brianza non è antifascista».Ora la mano passa alla Curia milanese per il parroco ed alla Federazione Fascista milanese per il Podestà.  mons. Giovanni Rossi e mons. Melchiorre Cavezzali dirigono le azioni concordate con il parroco.  Dalla parte del Podestà sta l’on. Ettore Boschi di Monza che agisce sulla Federazione milanese ed a Roma.Si va avanti fra schermaglie e memoriali di don Girotti a  mons. Cavezzali e di questi alla Prefettura, attacchi anche pesanti al parroco in Il Popolo in Lombardia dei fascisti di Concorezzo ed esterni, fino a che parroco e Podestà, in Curia, raggiungono un’altra tregua. E da mons. Cavezzali «fu raccomandato caldamente al Podestà di liberarsi di certi tristi individui che lo circondavano e lo rendevano mal accetto al popolo». Per il S. Natale del 1928 il parroco invia gli auguri al podestà, che contraccambia «con pari cordialità a piacere». aggiunge: «La mia modesta opera dedita con amore verso l’elevazione del nostro popolo ha bisogno di più valido appoggio ed aiuto...». Al riguardo don Girotti scriverà più tardi: «il 1° gennaio 1929 nella relazione annuale della parrocchia data dal pulpito, dopo aver alzato la voce contro i soliti e comuni disordini, specialmente quello dell’ubriachezza, mi rivolgevo al podestà e raccomandavo di essere lui pure energico contro gli ubriachi e se necessario di usare anche il manganello. Mi ringraziò. Ma ciò provocò un grande disordine». Accade, infatti, in quel mese di gennaio, che ne subisse le conseguenze un uomo sulla strada di casa una domenica a tarda sera. Un intrico di fattori, in cui l’esteriorità mascherava il terrore, stravolsero i connotati dell’accaduto. Esplosero risentimenti che, come scrisse il Parroco, richiamato d’urgenza dal Podestà in paese, sfociarono in «una vera sommossa» di una parte della popolazione, manovrata dai vecchi antifascisti. «Fra gli agitatori, si leggerà in altro documento, si devono annoverare individui che dal Comune non poterono ottenere quanto, per disposizione di legge, era vietata». Anche in questo fragrante don Girotti attraversò giorni di grande preoccupazione. E il lavoro di anni per «riportare la pace in paese» veniva gravemente compromesso. Un gruppo di notabili di Concorezzo, fra i quali il Medico condotto, che primo, il 27gennaio, aveva visitato l’uomo, che sarebbe morto il 10 marzo presso l’Ospedale di Vimercate, si rivolgono, «dopo l’increscioso incidente», al Prefetto esponendogli «i fatti nella loro realtà... Il movente che diede origine  all’ attuale situazione, va precisato nei suoi veri termini, poiché solo da essi emerge la gravità della situazione che èda iscriversi a puro caso accidentale...» Il Parroco, invitato ad unirsi a loro, interpella però la Curia e mons. Rossi già segretario del card. Ferrari ed ora vicario capitolare per la scomparsa del card. Tosi, gli risponde negativamente. E le ostilità fra potere religioso e potere politico riprendono. Intervengono Boschi; il giovane Cottini, federale, Starace, segretario del PNF, personalità cattoliche, come il comm. Ernani; e vaticane, come mons. Pizzardo ed alla fine anche il ministro della Giustizia Rocco. Se il podestà è nella bufera, il parroco non ne è fuori. Vecchie accuse di antifascismo (don Girotti viene accusato di avere preso posizione persino in occasione del delitto Matteotti) e personali riemergono da parte della Federazione Fascista, che domanda il suo allontanamento dal paese. La Curia risponde ad ogni accusa con meticolosità sono pagine e pagine contro e a favore.

Morto anche mons. Rossi, è il cardinal Schuster a sostenere don Girotti. Nel frattempo Pio XI ha elevato mons. Minoretti, già suo collega nel Seminario di Milano, alla porpora cardinalizia dopo averlo trasferito alla sede arcivescovile di Genova. E mons. Minoretti non ha mai dimenticato don  Girotti dai tempi in cui era prevosto di Seregno. Ma più in là di così non si può andare senza rischi, forse anche non lievi, né da una parte né dall’altra. Ed è il nuovo  negoziato in casa. Si aspetta solo che «l’increscioso incidente» abbia il suo epilogo, che nel 1931 sarà una piena assoluzione in tribunale. Rimane il problema dell’opinione pubblica, forse anche di quella parte della popolazione che siera ribellata, e qualche particolare nella forma ancora da ritoccare. Sarà, difatti, tale negoziato, solo temporaneamente sospeso, a far sì che, quando Mussolini ordina lo scioglimento di tutte le organizzazioni giovanili non fasciste e muove la guerra all’Azione Cattolica, non se ne risenta anche a Concorezzo. Bonati, intanto, procede all’epurazione tra fascisti della prima ora di Concorezzo che non erano graditi né in parrocchia né in Curia per i loro precedenti per la loro condotta. In paese i segni del riavvicinamento tra parroco e podestà sono diversi.  Più chiaramente si notano alla celebrazione del 25° di fondazione dell’Oratorio maschile, fine settembre 1933. Ma la riconciliazione definitiva tra parroco e podestà sarà sanzionata l’anno successivo, in una «pagina gloriosa», con la consacrazione di Concorezzo a Re Crocrefisso e nel corso della visita pastorale del settembre 1934 il card. Schuster esprimerà “un vivissimo plauso al Parroco che nulla ha tralasciato affinché l’eminentissimo Arcivescovo rimanesse soddisfatto di Concorezzo»
L’anno seguente don Girotti muore lasciando dietro di sé una memoria che è ancora molto viva in paese. Alla benedizione di Pio XI e del card. Minoretti si unì il cordoglio del card. Schuster, di Achille Grandi e di tante altre personalità. E il Podestà, dopo imponenti funerali, gli indirizza “il commosso addio del Comune» e si  assume un impegno che stava tanto a cuore a don Girotti, per la Scuola di Economia domestica. Ecce Homo.